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Perchè Monti vuole rottamare gli opposti estremismi di Brunetta e Fassina

Dopo la presentazione dell’Agenda Monti sugli orientamenti programmatici e riformistici che stanno alla base della salita in politica del Premier, nulla meglio della rottamazione degli opposti estremismi di Brunetta del Pdl e di Fassina del Pd chiesta in settimana dal Professore vale a fotografare e a definire con esattezza gli orizzonti politici dell’iniziativa stessa di Monti e la sua volontà di rompere la stantia polarizzazione tra destra e sinistra per colpire al cuore i conservatori di tutti gli schieramenti.

Ma perché Monti prende di mira due oppositori che non potrebbero sembrare più lontani tra di loro? In realtà,  pur differendo nelle soluzioni proposte, Brunetta e Fassina hanno molti tratti in comune, entrambi lontani e opposti dalla visione e dalla ricetta riformista ed europeista di Mario Monti.

Il primo punto che accomuna Brunetta e Fassina, ma anche buona parte del Pdl e del Pd, è la sottovalutazione della crisi e l’inadeguata percezione del rischio, con la conseguente fallacia delle politiche economiche proposte. Né l’uno né l’altro sembrano cogliere il carattere epocale della crisi globale e considerare che, se la recessione può forse rientrare verso la fine del 2013, al contrario la crisi – secondo quanto suggeriscono i modellini econometrici dei più accreditati centri di ricerca – non finirà prima di altri sette anni e dunque non può essere affrontata con pannicelli caldi o con ricette di vecchio stampo che non sono minimamente all’altezza della sfida dei nostri tempi.

Il secondo punto che unisce Brunetta e Fassina e che deriva dal primo è l’incomprensione dell’intreccio tra crisi nazionale e crisi europea e la sottovalutazione del fatto – cruciale – che la crisi italiana non si può risolvere in casa e non tollera scorciatoie domestiche ma reclama una vigorosa strategia europea.

Il terzo punto che avvicina Brunetta e Fassina è l’incapacità di intendere che la sola austerità è sì una politica monca e rovinosa ma che la battaglia per la crescita non può cancellare l’austerità e dimenticare l’obbligo di tenere i conti pubblici in ordine come premessa per rispettare il pareggio di bilancio concordato in sede europea: in altre parole, l’austerità da sola è insufficiente ma resta necessaria.

Il quarto punto che porta fuori strada Brunetta e Fassina come diretta conseguenza di un’analisi della crisi superficiale è l’inadeguatezza delle rispettive proposte programmatiche che si sostanziano nel ritorno al “tassa e spendi” in Fassina e nel sogno di un irrealistico slancio privatizzatorio in Brunetta che non tiene conto del fatto che le privatizzazioni più grosse sono già avvenute – malgrado il suo padrino politico (Gianni De Michelis) continuasse a difendere lo Stato imprenditore dell’età dell’oro – e che le altre privatizzazioni      (soprattutto a livello locale) non si possono risolvere con un colpo di bacchetta magica del potere centrale ma richiedono tempo.

Ecco perché – come acutamente scriveva ieri sul Foglio un fine riformista del Pd  come Umberto Ranieri,  uno dei politici da sempre più ascoltati e più amati dal presidente Giorgio Napolitano – l’iniziativa di Monti colma un vuoto politico che Berlusconi e la destra non hanno mai saputo riempire sia per i loro limiti culturali che per l’incapacità di governare e di riformare il Paese. Ma colma anche le lacune di una sinistra che il buon Bersani si illude di trascinare su coerenti sponde riformistiche ma che è zavorrata dall’incomprensione della reale dimensione della crisi internazionale e che continua a intestardirsi nella separazione delle politiche interne da quelle europee.

Ecco perché – scrive Ranieri – è ora di liquidare due colossali sciocchezze che campeggiano nella campagna elettorale e che l’offensiva anti-Brunetta e anti-Fassina di Monti concorre a demolire:

1) “occorre farla finita sulle chiacchere circa la rinegoziazione degli impegni presi dal nostro Paese in sede europea e che garantiscono che anche Paesi indebitati come l’Italia avranno comportamenti virtuosi” nelle politiche di bilancio;

2) “non dovranno esserci incertezze sul proseguire nelle riforme avviate da Monti: basta con l’ossessione – insiste il politico riformista più vicino al Quirinale – che la missione del Pd debba consistere nella revisione della riforma delle pensioni e del mercato del lavoro” come improvvidamente suggeriscono i Fassina e i Damiano, per non dire di Sel.

Se queste ambiguità verranno rimosse non è impossibile che, dopo le elezioni, possa nascere un governo basato sull’asse Monti-Bersani che abbia come fari l’Europa e il cambiamento, ma perché ciò avvenga, oltre al consenso degli italiani, è essenziale che il Pd – conclude Ranieri – “non si fermi alle goliardate di Fassina sul conto della lista Monti liquidata come lista Rotary” che, tuttavia, sono meno rovinose delle sue improbabili ricette economiche.

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