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Perché il calcio è indebitato? Lo spiega il libro “Il calcio italiano 1898-1981. Economia e potere”

Il libro, scritto da Nicola De Ianni, professore associato di Storia economica e finanziaria presso l’Università Federico II di Napoli, e edito da Rubbettino, spiega come il calcio si è trasformato da semplice sport a industria, dal 1898 al 1981 – Uva: “Troppi soldi hanno narcotizzato il calcio” – Il modello del Napoli di De Laurentiis.

Perché il calcio è indebitato? Lo spiega il libro “Il calcio italiano 1898-1981. Economia e potere”

Perchè nel calcio si perdono solo soldi? A spiegarlo è il libro “Il calcio italiano 1898-1981. Economia e potere”, scritto da Nicola De Ianni, professore associato di Storia economica e finanziaria presso l’Università Federico II di Napoli, e edito da Rubbettino. Dopo il successo di Napoli, venerdì il testo è stato presentato a Roma presso il Circolo Canottieri Aniene. Presenti, tra gli altri, l’ex presidente di Coni e Figc, Franco Carraro, il direttore generale della Federcalcio, Michele Uva e il decano della procura sportiva Dario Canovi. Il dibattito ha tracciato un quadro storico, economico e sociale del fenomeno calcistico italiano.

“De Ianni ha fatto un enorme lavoro di ricerca – ha spiegato il dg della Figc, Michele Uva -, il calcio italiano per molti periodi è stato narcotizzato dall’afflusso di nuovi fondi. Il Totocalcio prima, i diritti tv dopo, sono stati due fattori che hanno portato denaro indotto e che hanno probabilmente narcotizzato il sistema rendendo una sedimentazione per mancanza di progetti”. Nella discussione si sono approfonditi i meccanismi economici e imprenditoriali che in più di un secolo di storia si sono celati dietro questo sport.

“Perchè il calcio perde sistematicamente? Qualsiasi siano gli incassi si spende sempre il 5-10% in più per due motivi fondamentali: nella stragrande maggioranza dei casi – spiega l’ex presidente della Federcalcio e del Coni, Franco Carraro – nessuno approccia il calcio per fare guadagno. Lo fanno per soddisfare la propria ambizione e passione, poi magari attraverso la notorietà del calcio ti apri altri scenari e mercati”. Ma l’era dei presidenti tifosi sembra essere cambiata: “Oggi – spiega il procuratore Dario Canovi – i Thohir e i Pallotta non vengono a fare i presidenti perchè tifosi ma per altre ragioni: uno stadio o il prestigio internazionale che un grande club ti da’”.

Nel calcio si perde, o forse si perdeva. Perché lo stesso autore ha ben chiaro quale può essere il modello da seguire, Aurelio De Laurentiis: “Quello che colpisce di questo presidente moderno e dai toni coloriti, un Bartali del 2010, è che finora – conclude l’autore del libro – è riuscito a sfuggire alle regole base. E cioè che, mentre gli Agnelli e i Berlusconi avevano solo un decimo del loro fatturato nel calcio, la sfida di De Laurentiis è quella di guadagnare nel calcio tanto che oggi la FilmAuro forse fattura 50 milioni di euro mentre il Napoli, preso dalla Serie C, oggi fattura 150-200 milioni. Una sfida interessante, vedremo cosa potrà succedere”.

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