Benché praticamente sconosciuti dalle nostre parti, i thailandesi di Central Group sono una realtà di peso nel proprio paese d’origine e hanno sotto il loro ombrello una controllata che opera nel settore retail (e che è leader del mercato locale), una che opera nel settore del real estate, una nel marketing, una che si occupa di ristorazione e una catena di hotel. Il loro interesse in una preda grossa come la Rinascente è forse quindi meno curioso di quanto non sembri a prima vista. Per tre ragioni.
Il Central Group, sembra avere le spalle abbastanza larghe per lanciarsi in un’operazione del genere (e infatti l’offerta da 250 milioni di euro ha superato le attese di buona parte degli azionisti). In secondo luogo perché dopo l’annus horribilis del 2010, quando la sua proprietà più prestigiosa (il mall Central World) venne distrutta durante la ritirata delle camicie rosse del centro di Bangkok, il Central Group sembra intenzionato a spingere di nuovo sul pedale degli investimenti, sia in patria che non. E quindi perché, all’interno di questa strategia di rilancio, i mercati esteri sembrano destinati a giocare un ruolo di rilievo.
Ma il vero driver dietro l’assertività della società thailandese sono le grandi aspettative che circondano le propensioni ai consumi dei cinesi all’interno del proprio paese, ma anche durante i viaggi all’estero, sia quelli più a buon mercato nel Sud Est asiatico che quelli, di qui l’interesse nell’Italia, più costosi e selettivi in Europa.
Per comprendere le ragioni per cui un retailer thailandese punta sull’Italia per intercettare i consumi dei nuovi ricchi cinesi è sufficiente guardare ai dati di Global Blue, una società svizzera specializzata nel tax refund. Nel 2010 ogni cinese in viaggio in Europa ha speso mediamente 744 euro in acquisti tax free, più di statunitensi (554), giapponesi (521) e russi (368). Una cifra che, in un paese caratterizzato da uno shopping di fascia medio alta come la Francia (e per questo paragonabile all’Italia), è arrivata a 1.300 euro a testa.
Il fenomeno degli acquisti dei turisti cinesi in Europa ha rilevanza anche in termini assoluti. Sempre prendendo ad esempio la Francia è difficile non notare come lo scorso anno la spese dei turisti siano cresciute del 35% arrivando a 3 miliardi di euro di cui 650 milioni sono da imputare esclusivamente a cinesi in viaggio di piacere o d’affari. Non è un caso che oggi i principali clienti dei servizi di value added tax refund di Global Blue siano proprio i cinesi, con il 17% delle transazioni contro il 15% dei russi.
L’altro segnale vistoso della volontà di ripresa del gruppo controllato dalla famiglia Chirathivat viene invece da Bangkok, dove dallo scorso febbraio sono iniziati i lavori per la costruzione del Central Embassy, uno shopping mall che dovrà cambiare la skyline della capitale thailandese e diventare un’attrazione per i sempre più numerosi turisti cinesi – sempre loro – di passaggio in Thailandia. Una categoria di viaggiatori certo non esigua, ma con un’attitudine alla spesa inferiore a quella degli amanti dell’Europa e che resta al di sotto del 250 dollari al giorno.
Il boom cinese però non è fatto solo di viaggiatori, ma anche di consumatori stanziali. È con loro in mente che il Central Group ha appena aperto un department store nella città di Hangzhou nella provincia di Zhejiang e si appresta ad aprirne due a Shenyang nella provincia di Liaoning e uno a Chengdu nel Sichuan. Tutti progetti da oltre 30 milioni di dollari di investimento ciascuno che dovrebbero essere la testa di ponte di un piano di espansione da 2-3 centri commerciali all’anno.
Con queste premesse e con tutto questo interesse nei consumi di fascia alta dei cinesi è difficile immaginare che un marchio con il posizionamento di Rinascente in un paese a forte vocazione turistica come l’Italia potesse sfuggire ai piani di un Central Group determinato a risorgere dalle ceneri del proprio mall più prestigioso, cavalcando il boom di Pechino. Ovunque esso lo porti.
La richiesta di sequestro del 96% delle azioni di Ru, la holding di controllo della Rinascente, è stata rigettata da Vincenzo Perozziello, giudice dell’ottava sezione civile del Tribunale di Milano. A presentare la richiesta era stato Maurizio Borletti, presidente della stessa holding e proprietario del restante 4% del capitale.