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Pera: “Sulle liberalizzazioni troppi pregiudizi: è ora di smontarli”

L’ultima picconata alle liberalizzazioni l’ha data nei giorni scorsi il vicepresidente grillino della Camera, Luigi Di Maio, accusandole addirittura di sfasciare le famiglie e di rendere tutti più poveri solo perchè gli outlet e i centri commerciali restano aperti anche la domenica per la liberalizzazione degli orari nel settore distributivo. Se anche una forza politica di nuovo conio, che si candida alla guida del Paese come il Movimento Cinque Stelle, ragiona come Di Maio, c’è da pensare che l’Italia, salvo brevi parentesi, non sia proprio il Paese della libera concorrenza. Del resto l’Autorità Antitrust è arrivata da noi solo nel 1990, con cent’anni di ritardo sugli Stati Uniti e, per tornare a vicende più recenti, nelle scorse settimane il completamento della liberalizzazione elettrica è stato rinviato di un anno e la nuova legge sulla concorrenza è arenata da oltre due anni in Parlamento. Eppure i benefici della liberalizzazione dei telefonini o voli low cost per non dire della liberalizzazione dell’elettricità e del gas o del trasporto ferroviario sono sotto gli occhi di tutti. Come si spiega questo paradosso e come si spiega la diffidenza e la sordità del Paese ad avanzare sulla via di una maggior apertura del mercato e della concorrenza? FIRSTonline lo ha chiesto ad Alberto Pera, che è stato il primo Segretario Generale dell’Autorità Antitrust e che ora, oltre a fare l’avvocato specializzato nella regolamentazione presso lo studio Gianni Origoni e Partners, è da tre anni consigliere d’amministrazione dell’Enel come indipendente. Ecco la sua intervista.

Avvocato Pera, nei giorni scorsi ha fatto scalpore un post su Facebook del vicepresidente grillino della Camera, Luigi Di Maio, che, prendendo spunto dall’apertura degli outlet e dei centri commerciali anche la domenica, ha sostenuto che le “liberalizzazioni sfrenate” hanno fallito, non hanno fatto crescere l’economia, ci hanno reso più poveri e sfasciano le famiglie: venendo da una forza politica di tipo nuovo come il Movimento 5 Stelle che si candida alla guida del Paese, è il segnale del profundis della libera concorrenza in Italia?

“Spero proprio di no, ma certamente quella di Di Maio è una visione nostalgica e retrograda del mondo che non sa raccogliere le sfide che vengono dalla globalizzazione e dal progresso tecnologico e che si rifugia negli schemi dell’altroieri confidando in un’illusoria decrescita felice. Purtroppo Di Maio non è solo, se dobbiamo tener conto del coro composto dal segretario della Fiom Landini, dal Governatore della Toscana Rossi, dalla battaglia del Fatto quotidiano, che hanno sparato e sparano a zero sulla liberalizzazione degli orari proprio in un settore, come quello della grande distribuzione, che è un caso emblematico dei benefici di sistema che la liberalizzazione può portare non solo ai consumatori ma all’intera filiera produttiva, spingendola a innovare e a riorganizzarsi”.

Vediamo nel merito le critiche che Di Maio muove alle liberalizzazioni: sono fallite, non hanno fatto crescere l’economia, ci rendono tutti più poveri?

“Mi sembrano critiche disinformate da opportunismo elettorale che danno fiato ai peggiori corporativismi che hanno bloccato e bloccano lo sviluppo del Paese. Di Maio, e con lui Landini, difende chi il lavoro ce l’ha già, ma il flop dello sciopero dell’outlet di Serravalle Scrivia dovrebbe aprire gli occhi e, soprattutto, perché non fare un referendum non solo tra i lavoratori ma anche tra i consumatori che vogliono andare nei centri commerciali nei giorni in cui sono liberi? In realtà la liberalizzazione del settore distributivo offre nuove opportunità sia ai consumatori che al mondo del lavoro e bisogna prendere atto che nelle economie moderne un settore distributivo basato sul piccolo negozio sotto casa non è più il modello prevalente. Non rendersene conto penalizza non solo i consumatori, ma anche le imprese fornitrici, che non articolano la produzione secondo i requisiti della distribuzione moderna. Il mondo cambia e anche l’Italia deve cambiare passo se non vuole soccombere: gli atteggiamenti difensivi e di chiusura non sono una risposta vincente”.

Di Maio però censura le liberalizzazioni “sfrenate”.

“Sfrenate? A me sembra invece che in Italia ci sia ancora un deficit di liberalizzazioni che, dopo la felice parentesi 1995-2000 con casi di grande successo come nella telefonia, nell’elettricità e nel gas, nel trasporto aereo, si sono arenate anche per effetto della Grande crisi. Ma le liberalizzazioni, come le privatizzazioni, non sono un optional, ma sono la molla dell’innovazione e servono, oltre che a soddisfare i consumatori, a riorientare il sistema industriale e l’intera economia di un Paese come l’Italia che ha bisogno di riprendere a correre se vuole affrontare le grandi sfide della disoccupazione, soprattutto giovanile, e delle diseguaglianze sociali”.

I grillini, come già in passato il centrodestra, mostrano di non amare le liberalizzazioni, ma non sono i soli: è da due anni che il disegno di legge sulla concorrenza è fermo in Parlamento e la maggioranza guidata dal Pd non è in grado di farlo approvare. Come si spiega, secondo lei, questo generale impaludamento?

“Non sottovaluto certamente le pressioni lobbistiche e corporative che avversano lo sviluppo della concorrenza ma forse bisogna interrogarsi sulla congruità di uno strumento come il disegno di legge annuale sulla concorrenza. Le intenzioni sono nobili ma lo strumento è schematico perché recepisce quasi automaticamente le proposte dell’Autorità Antitrust senza preparare il terreno culturale e politico per farle germogliare ed esponendole invece al massacro del Parlamento. Forse sarebbe più utile organizzare sessioni parlamentari sulla concorrenza in cui far maturare le scelte che su questo terreno Governo e Parlamento vogliono fare nell’interesse dei consumatori ma più in generale dell’economia italiana”.

C’è però chi dice che in realtà il Parlamento e il Governo siano prigionieri di lobbies e corporazioni che non vogliono una politica di libera concorrenza: quando lei era segretario generale dell’Antitrust ha toccato con mano il potere dei gruppi avversi alle liberalizzazioni, ma sono davvero invincibili o è debole e inadeguata la classe politica?

“Non mi piacciono le generalizzazioni ma è difficile non vedere la debolezza e spesso l’impreparazione della classe politica. Lobbies e corporazioni ci sono e sono forti ma esistono in tutti i Paesi e non sono una novità: il compito di una classe politica è trovare il modo di superarne ostacoli e veti in nome dell’interesse generale. Però, per avanzare sul terreno della concorrenza e del mercato, occorre anche demistificare i pregiudizi e le infinite bugie che circolano contro le liberalizzazioni”.

Lei ora fa l’avvocato e sta dall’altra parte del tavolo perchè siede come indipendente del consiglio d’amministrazione dell’Enel, ma proprio nelle scorse settimane il Governo ha rinviato di un altro anno la liberalizzazione elettrica: l’Enel che cosa ne pensa e, più generale, la liberalizzazione del mercato elettrico ha finora portato più benefici ai produttori o ai consumatori?

“Che cosa pensa l’Enel sul rinvio dell’ultimo stadio della liberalizzazione elettrica non sta a me dirlo, ma quello che posso dire è che tutta la liberalizzazione in campo elettrico è stata un caso di grande successo per le imprese come per i cittadini. Ho avuto la fortuna di seguire tutto il processo di liberalizzazione fin dalla nascita, prima come consulente del Ministero dell’Industria, poi come Segretario Generale dell’Autorità per la concorrenza e il mercato e quindi da avvocato specializzato nei casi di regolamentazione. Trent’anni fa l’Enel era proprio l’emblema del monopolio e allora non si sapeva nemmeno che cosa fosse il mercato elettrico. Poi la liberalizzazione, grazie anche all’impulso dell’Antitrust, ha preso la spinta e oggi in campo elettrico è tra le più avanzate d’Europa e i risultati si vedono: quando tre anni fa sono entrato nel consiglio d’amministrazione dell’Enel, la società non era e non è nemmeno lontana parente del monopolio che avevo cominciato a studiare negli anni Ottanta. Non ha più una posizione dominante sul mercato, si è riposizionata e internazionalizzata ed è diventata estremamente efficiente e innovativa”.

L’Italia ha istituito l’Autorità Antitrust con un’ottima legge del 1990 ma con cent’anni di ritardo sugli Stati Uniti e nei decenni scorsi c’è stata da noi, anche per impulso dell’Europa, una breve stagione delle liberalizzazioni – dai telefonini ai voli low cost e dall’energia ai trasporti – che ha offerto benefici indiscutibili ai consumatori ma su cui sembra calato il sipario: perché, secondo lei, l’Italia ama così poco la libera concorrenza?

“Le ragioni sono tante e vengono da lontano. Certamente il contesto culturale italiano pesa: il prevalere del cattolicesimo e del marxismo, che non hanno mai amato il mercato e che hanno spesso visto l’efficienza come alternativa alla solidarietà, ha contato e conta non poco. Però le stagioni politiche non sono tutte eguali e l’avversione o l’apertura al mercato si sono spesso alternate. Pur con tutte le contraddizioni e le lentezze del caso, dalla metà degli anni ’90 fino ai primi anni 2000 la politica della concorrenza ha fatto anche in Italia grossi passi avanti. Temo però che ora dovremo scontare l’esito negativo del referendum del 4 dicembre che, al di là delle diverse opinioni che si possono avere sui singoli punti della riforma costituzionale, ha arrestato la semplificazione del processo decisionale e la ridefinizione di più equilibrati rapporti tra Stato e Regioni, con effetti anche sulle liberalizzazioni”.

Al di là delle resistenze corporative e lobbistiche che dominano ancora largamente l’Italia, non crede che anche la cultura liberaldemocratica debba fare qualche autocritica e debba saper spiegare meglio, con la forza dei numeri e delle argomentazioni razionali, i possibili vantaggi delle liberalizzazioni dando vita a una battaglia civile più incalzante contro la barbarie culturale che difende i monopoli, piccoli e grandi, e le chiusure corporative che avvantaggiano pochi e danneggiano tutti?

“Non è una stagione politica facile e certamente gli effetti difensivi indotti dalla Grande Crisi non si sono ancora del tutto esauriti, ma non c’è dubbio che occorra una grande battaglia culturale che spieghi, con la forza dei numeri e dei ragionamenti lucidi e chiari, che l’interesse generale viene prima di quello di tutte le caste e di tutte le corporazioni e che lo sviluppo della libera concorrenza e la crescente apertura di un mercato bene regolato non sono un optional ma la molla per creare più opportunità soprattutto per i più deboli in un’economia che cresce”.

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