Nella conferenza stampa dopo la riunione del Consiglio dei ministri del 12 marzo, Renzi ha elencato alcune possibilità di copertura finanziaria, dichiarandosi tranquillo sulla concretezza e solidità delle risorse citate, indicate come addirittura abbondanti. Ma, in realtà, nessuna di queste, o quasi, è immediatamente disponibile.
Si può discutere sulla scelta di privilegiare per l’alleggerimento fiscale i lavoratori dipendenti privati e pubblici, piuttosto che le imprese sul versante degli oneri del costo del lavoro; oppure di privilegiare i soli lavoratori dipendenti piuttosto che tutti i contribuenti con bassi redditi, compresi i pensionati. Ma vanno riconosciuti al premier Renzi la volontà e l’impegno di fare qualcosa comunque di concreto e significativo per la ripresa dell’economia e dell’occupazione. Iniziative di questo genere sono essenziali per smuovere il ristagnante andamento dei consumi e degli investimenti, per cercare di invertire il ciclo congiunturale.
Il problema, che Renzi forse aveva sottovalutato e con il quale sta cominciando a fare i conti, è che per passare dalla progettazione alla realizzazione degli interventi di defiscalizzazione i margini per il nostro Paese sono scarsissimi, almeno nel brevissimo periodo. Le condizioni della nostra finanza pubblica, con l’asfissiante montagna del debito pubblico da gestire, dopo anni, ormai decenni, di manovre e manovrine, e con i vincoli delle regole europee e costituzionali che la irrigidiscono, consentono margini di movimento irrisori per iniziative di politica economica fondate sull’alleggerimento delle entrate tributarie. Non dipende da chi ci mette mano o da quali idee voglia realizzare.
Le entrate non si possono aumentare più. Su questo non serve soffermarsi. Il disavanzo annuale non può crescere, anzi deve ridursi. Non basta più per il nostro Paese rispettare il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil, poiché la montagna del debito pubblico dev’essere erosa. L’Unione europea ci sta addosso, su questo punto. A meno di non mettere in discussione la nostra appartenenza all’euro, dobbiamo scendere verso il pareggio di bilancio. Non basta più l’attivo del solo saldo primario. La Banca centrale europea ce lo ha ricordato, forse non a caso, subito dopo l’annuncio di Renzi sulle possibili coperture della manovra sul cuneo fiscale.
La riduzione dei tassi di interesse di remunerazione dei titoli di Stato può darci una bella mano, ma si ottiene e mantiene solo con un attento controllo dei conti pubblici e con i saldi in miglioramento. Non possiamo finanziare spese in disavanzo.
La sola via di uscita è la riduzione delle spese correnti, la sola in grado di restituire manovrabilità al bilancio dello Stato. Ma ormai non c’è più nulla di significativo, dopo anni di raschiamenti del barile, che si possa realizzare da un giorno all’altro, solo con una norma o un taglio di forbici. A meno di non voler procedere con metodi del tipo di quelli adottati in Grecia due anni or sono.
L’unica soluzione è procedere decisamente sulla strada della cosiddetta spending review, intrapresa con passo incerto da qualche anno, ma percorsa adesso con miglior lena dal commissario Carlo Cottarelli. Bisogna dare fiducia al lavoro svolto da Cottarelli e presentato al Senato, che come ogni cosa potrà essere discutibile per alcuni versi, ma che è il solo che può aprire varchi di manovra nelle ristrettezze del bilancio pubblico. Secondo Cottarelli, sarebbe possibile tagliare, realisticamente, circa tre miliardi di spese già quest’anno, e poi, proseguendo le azioni delineate, puntare a 18 miliardi l’anno prossimo e addirittura a 36 nel 2016.
Sembra un sogno, per la politica economica: potere disporre di queste importanti risorse per alleggerire il prelievo fiscale e avviare un serio piano di investimenti pubblici. Ma rimarrà tale, se il Governo non applicherà tutto il suo impegno e la forza possibile per realizzare il piano di Cottarelli.Incontrerà resistenze straordinarie, alcune anche ragionevoli, e dovrà fare scelte dolorose; ma potare a fondo il giardino, recidere foglie e rami, è il solo modo per vederlo ancora vivo e rigoglioso negli anni seguenti.
Tagliare le spese dello Stato è l’impresa più difficile cui il Governo può applicarsi, ma è la vera sfida da vincere per la rinascita del Paese, è per l’Italia la sola via per la rinascita. Scorciatoie non ne esistono più.