X

Peppe Guida: lo chef stellato nato da un colpo di piccone

Può un colpo di piccone cambiare la vita di un uomo?  Quello che Peppe Guida inferse venticinque anni fa al forno della avviata rosticceria pizzeria di famiglia in quel di Vico Equense sortì l’effetto distruttivo delle bombe piazzate in questi giorni sotto quello che era restato del Ponte Morandi a Genova. Una bomba ad alto potenziale sull’attività sua e della sua famiglia che chiuse un importante e sudato capitolo della sua vita. Ma dalle macerie di quel forno distrutto in un momento di esasperazione si avviò la ricostruzione di una nuova stagione di vita per il cuoco della penisola sorrentina che lo portò alla conquista di un cappello da Chef di alto lignaggio e di una stella Michelin.

Una strada tutta in salita, coronata da successo, che Guida, 54 anni, un volto aperto dalla classica fisionomia dell’entroterra napoletano, impiantato su un corpo solido, ben piazzato, due occhi tranquilli che ti squadrano sornioni, pacatamente sorridente, di poche e misurate parole ma molto cortese nei modi, ha saputo costruire e spianare pietra su pietra, pietre culinarie portate e spalla con sacrificio e umiltà. E soprattutto con un carattere che, nonostante la sua manifesta ritrosa bonomia, è quello testardo di un mulo che sa tirar dritto per la sua strada indifferente alla fatica. Una strada che parte da lontano ed è tutta una sorpresa.

E sì, perché a dire il vero il nostro Guida tutto nasce fuorché chef. Vero è che i suoi genitori cucinavano, per mestiere e per passione, da casa. Tutti li conoscevano, in paese. Erano molto richiesti tra i parenti e gli amici, e spesso erano impegnati anche in banchetti per cerimonie. Peppe li vede all’opera ma è distratto: da giovane pensa molto a divertirsi, ad andare in giro con gli amici. Una tentazione cui è difficile resistere quando si nasce a Vico Equense, sulla costiera sorrentina, ma che si protende anche sul versante della costiera amalfitana, che abbraccia mari incantevoli ma anche montagne come i monti Lattari sorridenti al sole. Insomma le tentazioni con una stagione turistica che va da marzo a ottobre-novembre non mancavano di certo.

I fornelli non lo attirano e per questo il ragazzo si dà da fare con piccoli lavoretti saltuari tanto per raggranellare i soldi per concedersi qualche divertimento. Poi tutti a giocare a calcetto o a ritrovarsi attorno a un tavolo di un bar per giocare alle carte. Quando è sera e viene l’appetito è Guida che viene incaricato, per… competenza familiare di cucinare qualcosa. Il ragazzo è sveglio, anche se la cucina non lo interessa, però ha visto la madre all’opera e qualcosa ha appreso. Con il passare del tempo il gruppetto degli amici si disperde. Uno se ne è andato alle Bermuda e ha messo su una trattoria. Nel frattempo Peppe, sempre per la questione della competenza familiare, si iscrive alla Scuola alberghiera di Vico Equense. 

Ma lo studio lo annoia, e dopo due anni abbandona tutto. Nel ricordo delle belle serate di un tempo, di quegli spaghetti cucinati dopo la partita al calcetto, l’amico delle Bermuda lo chiama da oltreoceano. E gli propone di raggiungerlo per dargli una mano in un locale che ha aperto lì. Si può guadagnare bene. Come direbbe Madama Butterfly, “un po’ per celia un po’ per non morire”… di noia Peppe parte e va. Lo spinge la curiosità di un mondo che non conosce. Ha 24 anni e non ha ancora deciso cosa farà da grande. Una sera un po’ per gioco – ci risiamo – l’amico gli propone, come ai vecchi tempi, di mettersi ai fornelli e cucinare un piatto rapido. Peppe non se lo fa ripetere due volte.

“Cucinai – ricorda ammiccando un sorriso furbetto – un piatto di pasta e fagioli, con fagioli messicani, e li ripassai in padella, come facciamo noi qui, il giorno dopo, quando ne avanza un po‘. Fu un successo pazzesco!”.

Prendendo a prestito un titolo di un film che ha fatto epoca nel 1938 e prese l’oscar, quella sera “E’ nata una stella”. Non ancora Michelin ma diciamo che una cometa si piazzò su quel ristorante alle Bermuda e convinse Peppe Guida che forse era giunto il momento di iniziare un viaggio culinario che avrebbe comportato scelte importanti per la sua vita. Ma soprattutto Peppe avvertì in quel momento forte il richiamo della sua terra e la nostalgia dei suoi valori, un richiamo molto più forte della prospettiva di facili guadagni nel paese caraibico.

Peppe decide a questo punto di ritornare a Vico Equense. Non ha studiato, è un autodidatta, ma la cucina comincia a sentirsela nel sangue. Va a fare esperienze in alcuni ristorante di Vico, di Capri e soprattutto al Sirenuse di Positano, l’albergo cinque stelle lusso tutto mattonelle di Vietri dipinte a mano impreziosito da collezioni di mobili antichi e quadri della famiglia Sersale, frequentato da VIP di tutto il mondo, dove si appassiona per la prima volta al valore della materia prima, del pesce fresco appena pescato, dei prodotti dell’orto, delle carni che vengono dai monti lattari. Ed è Antonio De Luca, nella sua breve esperienza di Chef del grande albergo di Positano a indirizzarlo verso una cucina di qualità e di ricerca.

Peppe comincia a divorare libri di cucina, studia metodi di cottura, legge riviste specializzate. Si sente come sui carboni ardenti. Ha voglia di fare un’esperienza tutta propria.  Decide si ricavare un piccolo spazio dal vecchio casale di famiglia, un po’ fuori Vico, dove apre una pizzeria-rosticceria.  Siamo nel 1994, con la determinazione che gli è propria sostenuto dalla mamma Rosa, mitica preparatrice di paste fatte a mano che creavano languore allo stomaco al solo vederle, Peppe sistema i locali alla bell’e meglio. Non si sguazza nell’oro. Lo intitola “Nonna Rosa”, un omaggio alla mamma che, avendo molti nipoti veniva chiamata sempre nonna, ma anche un richiamo indiretto ai tanti piccoli segreti di una cucina strettamente di territorio che le donne di qui si tramandano di madre in figlia da tempi immemorabili. 

Le sue pizze, leggerissime, saporite, fatte di farine ricercate a lunghissima lievitazione, così come i suoi crocché, le sue paste cresciute, le frittate di maccheroni, le palle di riso, le zeppolelle di alghe, attirano clienti da Vico e da fuori, il nome del suo locale passa di bocca in bocca, “C’era sempre gente che affollava le scale che portano all’ingresso – ricorda ancora oggi con soddisfazione – Ma dopo qualche anno, questa cosa cominciava a starmi stretta. Avevo altre ambizioni.

Riecco uscire fuori sempre il suo carattere, la voglia di esperienze, di sfidarsi sempre con emozioni nuove. E le emozioni le ha trovate scoprendo la storia di Alain Prassard, il grande cuoco francese, primo a conquistare due stelle Michelin a soli 26 anni, che poi portò a tre, sempre mantenute. La rivoluzione di Prassard? Abbandonata la carne – e ce ne vuole di coraggio in un paese come la Francia – sposa il mondo vegetale, porta le materie prime a livello di culto mistico. Per questo compra terreni in giro da cui provengono le verdure, la frutta, le spezie e gli odori rigorosamente bio che usa per il suo ristorante. È coltivatore diretto, si sporca le mani verifica personalmente la nascita e lo svilupparsi della pianta ed è Chef rigorosissimo al tempo stesso, determina i suoi menù sull’andamento non solo delle stagioni ma anche del momento produttivo dei suoi terreni, disposti strategicamente perché tutto l’anno possa rifornirsi della sua preziosa materia prima.  Nel suo caso più che di Km0 si deve parlare di metro0. 

Peppe Guida realizza che la rosticceria non può più essere la sua strada. Ma le cose vanno bene, la moglie, mamma Rosa, faticano, si lavora molto ma sono contente dell’andamento del locale.

Guida ci pensa a lungo, poi un giorno decide che il coraggio va preso a due mani e con quelle due grandi mani che hanno sfornato tante pizze afferra un piccone e comincia a demolire il forno della rosticceria. Lo prendono per matto: buttare all’aria tutto ora proprio che gli affari vanno bene dopo tante sofferenze, non è normale! La moglie che ha capito la sua insofferenza e la mamma che lo conosce a fondo gli si stringono attorno, gli danno coraggio. E’ una scelta difficile per loro ma capiscono quello che c’è nell’animo del congiunto.  Non capiscono invece i clienti di “Nonna Rosa”.  Il nuovo ristorante che Guida costruisce sulle rovine della vecchia rosticceria, per concretizzare la sua idea di ristorazione di qualità, non li convince, li lascia freddi. Erano abituati a ritrovarsi in un ambiente familiare senza pretese, come attorno a un vecchio tavolo per giocare a carte. Ora abbandonano.

Peppe tiene duro, e tengono duro la mamma Rosa, la moglie Lella, una vera e propria colonna granitica della sua vita, capace di tenere sempre la situazione in pugno, di creare atmosfera positiva e gradevole con i clienti mentre il marito è impegnato ai fornelli, precocemente scomparsa quest’anno. E tengono duro anche i fedelissimi Eduardo Buonocore, maître, e il sommelier Gigi Casciello.  Guido guarda con desolazione il nuovo locale sul quale ha investito la sua vita mezzo vuoto, ma non cede alla disperazione è convinto di quello che ha fatto ed è sicuro che prima a poi la sua coraggiosa scelta verrà premiata. 

Volevo cambiare e lo volevo fare tagliando completamente con quello che era stata la mia cucina fino a quel momento. Fu uno shock per tutti. Anche per chi era nostro cliente abituale. Tanti non sono più venuti, la sala non era più piena come prima. Sono stati anni difficili. Ma volevo crescere, volevo far conoscere la nostra tradizione culinaria, la volevo proporre in modo più leggero e moderno. Mi sono messo a studiare, ho cercato i migliori produttori della zona, ho cominciato a selezionare la materia prima. Volevo che la mia cucina fosse riconoscibile e non una delle tante. Non tutti hanno capito. Ma col senno di poi posso dire che è stata una scelta vincente”.

Aveva perfettamente ragione, la cucina del territorio poteva liberarsi dai lacci e lacciuoli della consuetudine, nobile quanto si vuole, per entrare in una nuova dimensione sempre rispettosa del passato ma più eterea, più brillantemente evocativa, più emozionale, fatta di pesci poveri che lui eleva a quarti di nobiltà come il palamita, il pesce perchia, le alici, le aguglie, la ricciola, il merluzzo.

Altrove proponevano spigole, orate, salmone, e lui invece ti porta in tavola i veri sapori di quello specchio di mare nel quale si riflette il golfo di Napoli. E ci aggiunge le paste di Mamma-Nonna Rosa, le sue conserve di pomodori fatte in casa, i pomodori del piennolo o quelli corbarini dei monti lattari, i formaggi della penisola sorrentina che si portano appresso la loro lunga tradizione casearia, le radici, le foglie i funghi, le erbe spontanee, i limoni, manco a dirlo di Sorrento, e l’olio che a Sorrento c’è arrivato con i Greci e li è sempre rimasto migliorando costantemente sapore e qualità. Insomma la sua cucina è un trionfo di sapori antichi e moderni rivisitati ed esaltati dalla sua mano (e mente) felice, è una cucina di recupero, una cucina della memoria dei tempi grami in cui non si buttava nulla e si facevano uscire fuori sapori dalla materia più povera, il tutto portato a levità di nuvola. E tutto ciò non passa inosservato.

Nel 2007 quella cometa partita a suo tempo dal sud america si trasforma in una vera e propria stella, quella Michelin che accende i riflettori della notorietà italiana e internazionale sulla sua Antica Osteria Nonna Rosa. Peppe fa il suo ingresso nel Gotha culinario italiano accanto a Niko Romito, Paolo Lo Priore, Enrico Crippa.

E arrivano anche i primi grandi impegni come quello con lo Yacht Club di Marina di Stabia, progettato dall’architetto Massimiliano Fuksas, inaugurato nel 2010 nel porto turistico di Castellammare.  Lo chiamano per i pranzi delle grandi occasioni committenti pubblici e privati.

Nasce anche un importante sodalizio con Giuseppe Di Martino, il grande industriale della pasta di Gragnano, la cui famiglia fa pasta dagli inizi del 1900.

Di Martino abituato a guardare lontano lo chiama per un progetto ambizioso: far conoscere la qualità della pasta di Gragnano al mondo “assoldando” in questa epica battaglia i giovani chef JRE, l’associazione internazionale che raggruppa giovani chef e ristoratori di grande talento, che condividono una profonda passione per il cibo, per gli alimenti e la loro provenienza, la sostenibilità e l’innovazione in campo culinario.

Il format si chiama “Indovina Chi Viene a Cena”. Un giovane chef europeo ma anche grandi chef stellati italiani e internazionali, vengono invitati al Pastificio dei Campi, una azienda di nicchia che produce pasta di altissima qualità a Gragnano, preziosa creatura di Giuseppe Di Martino, per una cena ristretta a 10-12 persone, tutti del settore, dove lo chef ospite prepara piatti di pasta, con i formati più disparati del Pastificio dei Campi, usando ingredienti che porta dal suo paese. Poi l’azione passa a Peppe Guida, che cucina le sue paste, in un confronto-sfida, anche se la maggior parte delle volte ama improvvisare con quello che avanza dallo Chef invitato. 

E’ il concetto di recupero che lo chef sui porta dentro e che testimonia la grande capacità inventiva di Guida. E così nelle cucine del Pastificio dei Campi si consuma un patto d’amore fra gli chef europei e la pasta secca italiana un patto che viene rispettato al loro rientro in patria dal momento che la maggior parte di loro, inserisce, poi, almeno un piatto di pasta nel proprio menù. “Sono serate che lasciano un sorriso grande – commenta Guida – sono serate di scambio e di crescita per tutti, sono serate che danno soddisfazioni grandi, perché questi chef vengono qui pensando che la pasta sia una specie di decorazione nel piatto e se ne vanno convinti che sia un ingrediente da valorizzare”.

Ce n’è abbastanza perché possa dirsi oramai veramente soddisfatto? Eh, mai dire mai con Peppe Guida! Perché il nostro pur felice di aver raggiunto tutti gli obiettivi che si era prefissato, aveva ancora un altro desiderio da realizzare, quello di creare un suo buen ritiro alla Alain Prassard, un posto dove ricreare la filosofia della sua terra, un microcosmo di memorie di famiglia, passione per la cucina, convivialità, amore per il territorio, dove vivere quasi estraniandosi dal resto del mondo sentendo il pulsare della terra e del cuore marino e terrestre di Napoli.

E ce l’ha fatta. E’ un progetto nato qualche anno fa che lentamente, meglio dire sornionamente, va prendendo corpo a Montechiaro, una sconosciuta frazione a un chilometro e mezzo da Vico Equense e dalla sua “Antica Osteria Nonna Rosa”.

 Qui è nata e sta crescendo come una creatura, anno dopo anno, “Villa Rosa di nonna Rosa” (ah quel nome che ritorna sempre come le sue radici!).  Inizialmente era un vecchio casale dismesso con un terreno circostante con una strepitosa vista sul Monte Faito, da un parte, e Napoli, con il suo mare da cartolina e il Vesuvio, dall’altra, che Guida ha utilizzato per rifornire il suo ristorante a Vico di prodotti dell’orto. Non è come quello di Prassard ma va bene lo stesso. “A Villa Rosa abbiamo un orto da cui attingo tutta la frutta e la verdura che uso in cucina. Abbiamo gli ulivi da cui produciamo un olio extravergine d’oliva eccezionale. Abbiamo delle vigne da cui produciamo un nostro vino fatto con “uva di sabato”, piedipalumbo, aglianico e sciascinoso”.

Poi sono stati realizzati tre alloggi (ma in cuor suo spera in futuro di farne 10 in totale). Tre anni fa, è nata una cucina che si è trasformata nel regno di suo figlio Francesco che, con cotanto padre, si è affermato come un pasticciere di prima grandezza. Poi completato il restauro si è provveduto a trasformare il casale in un B&B curato con competenza e simpatia dalla figlia Rossella. Ma dove si può mangiare quello che passa il convento, ovvero quello che Guida decide giorno per giorno in base all’orto e alla stagione. La cucina diventa anche una cucina teatro per due stagioni tv molto seguite di Gambero Rosso Channel e, terminata l’esperienza tv, si è trasformata in uno spazio dinamico dove Guida e il suo fedele  sous chef organizzano spesso lezioni di cucina riservate agli stranieri.

“Tutto qui, naturalmente è più rilassato rispetto all’Antica Osteria. Amo questo posto, l’ho desiderato molto e piano piano si sta trasformando in quello che sognavo: un posto dove posso continuare a coltivare il mio amore per la cucina, rimanendo con le mani nella terra e lo sguardo verso il mare, altra mia grande passione. E il mio futuro lo vedo qui, circondato da tutta la mia famiglia: i miei figli, Francesco e Rossella, le mie sorelle, i miei collaboratori, Luigi Casciello, Eduardo Buonocore, Florin Staicu, che con me, nel bene e nel male, hanno attraversato questi ultimi 20-25 anni”.

Una lunga avventura, fatta di alti e bassi, di sacrifici e belle soddisfazioni, ma che avventura straordinaria!

Categories: Food News
Tags: ChefNapoli