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Pensioni: scatta la riforma, ma restano gli esodati

Dal primo gennaio è in vigore la riforma delle pensioni, ma il difetto principale della legge firmata dai tecnici aspetta ancora di essere corretto per intero. Parliamo naturalmente dei cosiddetti “esodati“. Fin qui, attraverso tre decreti, sono stati stanziati 10 miliardi di finanziamenti pubblici per tutelarne 130 mila, ma il numero dei lavoratori in questa condizione rimane ancora alto.

Si tratta di quelle persone che negli anni scorsi hanno abbandonato il lavoro (spesso in seguito ad accordi aziendali) nella convinzione di ottenere l’assegno previdenziale entro una certa data, ma ora – a causa dell’innalzamento dell’età pensionabile – non hanno più i requisiti per accedere alla pensione. E rischiano di ritrovarsi senza alcuna fonte di reddito. 

Il primo decreto in favore degli esodati puntava al recupero di 65 mila persone, da pensionare entro fine 2013. Con quel provvedimento sono stati protetti 25 mila lavoratori in mobilità ordinaria, 17 mila sotto la copertura dei fondi di solidarietà, 10 mila appartenenti alla categoria dei prosecutori volontari, 3.500 in mobilità lunga e un migliaio tra esonerati e lavoratori in congedo. 

Altre 55mila persone erano state tutelate con una norma inserita nella spending review dello scorso luglio, ma per loro la questione rimane aperta, perché il ministero del Lavoro non ha ancora varato il decreto attuativo. 

Un emendamento alla recente legge di stabilità ha poi ampliato la platea dei salvaguardati di altri 10mila lavoratori: di questi, 800 appartengono alla mobilità ordinaria e circa 5 mila vengono protetti a patto che abbiano lasciato l’impiego in seguito alla sottoscrizione di accordi collettivi o individuali entro il 31 dicembre 2011.

Al momento, è davvero complesso stabilire con precisione quante persone siano rimaste senza tutela. Secondo la Cgil sarebbero 200 mila, per la maggior parte lavoratori di piccole e medie imprese del nord, agricoltori, interinali e donne. Di certo restano fuori dai provvedimenti correttivi fin qui varati dal Parlamento tutti i lavoratori che hanno sottoscritto accordi di mobilità validi dopo il 4 dicembre 2011, così come quelli che hanno aderito fuori dalle sedi di carattere governativo.

Sono esclusi anche i lavoratori che hanno firmato accordi territoriali o aziendali, oltre a chi, entro il 6 dicembre 2011, non aveva ancora effettuato alcun versamento volontario. Quanto alle donne, a preoccupare è la situazione delle molte lavoratrici che – in base alla riforma del 1992 – ritenevano di poter andare in pensione a 60 anni con soli 15 anni di contributi. Dopo la riforma Fornero questo non è più possibile.

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