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Pensioni, Quota 100 perde appeal anche per il Covid

Photo by Yannes Kiefer on Unsplash

Con la consueta puntualità, il Coordinamento attuariale dell’Inps ha pubblicato i dati del monitoraggio dei flussi pensionistici (ovvero delle pensioni decorrenti nel periodo considerato) in tutto il 2019 e nei primi nove mesi del 2020, limitatamente ai settori privati dipendenti, autonomi e parasubordinati. Sarebbe curioso capire perché, pur essendo le relative gestioni incorporate nell’Inps, non sia prevista una puntuale rendicontazione dei trattamenti erogati ai dipendenti pubblici. La rilevazione è in data 2 ottobre. Dall’analisi degli indicatori statistici si osserva che il peso delle pensioni anticipate su quelle di vecchiaia, che aveva visto un importante aumento nel 2019 rispetto all’anno precedente sia per l’aumento dell’età legale sia per l’introduzione della “quota 100”, conferma nei primi nove mesi del 2020 un andamento decrescente.

La percentuale delle pensioni erogate a lavoratrici aumenta rispetto a dato annuo del 2019; a livello territoriale è confermato il peso percentuale (52% nei primi nove mesi del 2020) dei trattamenti erogati al Nord.

Questi indicatori statistici mettono bene in evidenza i rapporti tra le differenti tipologie di pensioni. Il numero delle pensioni di vecchiaia viene assunto come base 100 e gli altri trattamenti (anzianità/anticipata, invalidità) vengono parametrati alla base stessa. Emergono chiaramente i trend già anticipati, con differenze qualitative anche se il confronto avviene tra i dati di un intero anno, il 2019, e i primi nove mesi dell’anno in corso. È tuttavia improbabile che i pensionamenti che interverranno nel quarto trimestre possano alterare un quadro di significative variazioni. Si nota subito un netto ridimensionamento dell’invalidità pensionabile (nel Fpld da 90 su 100 a 36 su 100). Anche per quanto riguarda il trattamento di anzianità – l’istituto-chiave di tutte le riforme (e le controriforme) – il ridimensionamento è evidente. Si passa nel Fpld da un indicatore 336 su 100 a 174 su 100. La spiegazione del picco del 2019 e della flessione dei primi nove mesi di quest’anno è, in buona misura, legata all’adesione dei soggetti aventi diritto all’uscita dal lavoro attraverso quota 100. In sostanza, se vi è stata una forte richiesta subito dopo l’entrata in vigore della norma di cui al decreto n.4 del 2019, l’interesse è andato via via scemando come è dimostrato anche dai flussi, in decrescita, delle domande nel corso del 2019.

Del resto questa considerazione è confermata dallo stesso Inps. Nel XIX Rapporto annuale 2019 vi sono valutazioni che riguardano anche il 2020. E a proposito di quota 100 il documento sostiene che, “considerando le domande pervenute, al netto delle respinte, nel 2020 da gennaio ad agosto si sottolinea che la crisi epidemiologica di inizio anno non ha evidenziato una scelta dei lavoratori più anziani ad anticipare l’uscita dal mondo del lavoro; infatti in questi mesi di crisi non si registrano variazioni sostanziali del trend delle domande di pensioni Quota 100. Dopo i primi mesi del 2019 in cui si è assistito a una richiesta più forte di esse, dovuta alla presenza di varie generazioni di soggetti che maturavano i requisiti, le domande si possono considerare stabili e anche per il 2020 si conferma l’utilizzo parziale degli aventi diritto come accaduto nell’anno 2019. Tale scelta, che – osserva malignamente il Rapporto – non rispecchia le aspettative del policy maker ovvero di quelle forze politiche cha hanno preteso la norma, potrebbe essere dettata dalle condizioni di lavoro in smart working, soprattutto nella pubblica amministrazione, e dall’utilizzo della cassa integrazione nel settore privato. Infatti, in tale situazione i lavoratori sembrano ritenere – secondo l’Inps – più opportuna e conveniente la loro permanenza nel mondo del lavoro, in modo da poter ottenere una futura pensione con un importo più elevato“.

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Categories: Pensioni