Dopo mesi di “tradizione orale”- come se la controriforma delle pensioni e l’istituzione del reddito e della pensione di cittadinanza fossero un poema omerico da diffondere attraverso gli aedi – il Governo ha scoperto l’esistenza della scrittura e ha messo in circolazione una bozza di decreto legge, sul quale i media si sono precipitati con la solita voracità.
Per raccontare come verrà disciplinato il reddito di cittadinanza sarebbe necessario uno studio accurato che non siamo ancora riusciti a compiere. L’impianto è una specie di Disneyland in cui sono rappresentati, in caricatura, più o meno tutti gli istituti che hanno fatto la loro comparsa sul mercato del lavoro nell’ultimo decennio, risistemati in un puzzle sconnesso che pretende di tenere insieme – in un labirinto – la lotta alla povertà, le buone pratiche di inclusione sociale e le politiche attive del lavoro. È per questo motivo che, per ora, rinunciamo a dire la nostra, concentrandoci invece sulle pensioni e su quella fatidica quota 100 destinata – secondo la propaganda di regime – a restituire agli italiani il diritto alla quiescenza.
Iniziamo con una domanda: che cosa succederà della bistrattata riforma Fornero? Per anni il vicepremier Matteo Salvini ha “pasturato” il suo elettorato accusando di macelleria sociale il famigerato articolo 24 del decreto Salva Italia (convertito nella legge n.214/2011); non ha esitato a portare le truppe sotto la casa dell’ex ministro; ha spergiurato, urbi et orbi, che, con il suo arrivo al Governo, quelle norme sarebbero state abrogate, stracciate, vilipese, nel giro di mezz’ora. Poi, strada facendo, la condanna al patibolo è stata tramutata in un vago “superamento” attraverso, appunto, la possibilità di andare in quiescenza facendo valere 62 anni di età e 38 di anzianità contributiva. Ci si aspettava che si trattasse dell’aggiunta di un percorso parallelo (sovraccarico di limiti e divieti), di carattere sperimentale per un triennio (quota 100, appunto) destinato a coesistere con i requisiti del pensionamento anticipato introdotti nel 2011. In caso contrario, le due colonne d’Ercole (età e anzianità) in concorso tra di loro avrebbero potuto determinare per molti soggetti la ripetizione dell’effetto Fornero: ovvero allontanare, di anni e di colpo, l’accesso alla pensione e soprattutto rendere non conveniente “quota 100”.
Facciamo l’esempio di un lavoratore (il maschile non è causale perché saranno soprattutto i maschi residenti al Nord ad avvalersi della nuova via d’uscita), nato nel 1960, che abbia iniziato a lavorare a 16 anni. Nel 2019 avrebbe maturato, a 59 anni, il requisito di 43 anni e 2 mesi ora previsto. Gli sarebbe consentito, quindi, di andare in quiescenza grazie alle regole made by Fornero (che non richiedono un requisito anagrafico per usufruire del trattamento anticipato) senza dover aspettare altri tre anni per raggiungere quota 62. È altrettanto facile dimostrare che vi sarebbero stati, nel triennio 2019-2021, altri casi di lavoratori precoci a essere penalizzati dall’introduzione di un requisito anagrafico minimo (i 62 anni) per avvalersi del pensionamento anticipato.
Inizialmente – prima dell’abrogazione delle norme relative – anche la disciplina del 2011 prevedeva un limite dei 62 anni per il trattamento d’anzianità. Ma non era un vincolo preclusivo del diritto al pensionamento; si limitava a una modesta penalizzazione economica per chiunque avesse intrapreso il percorso dell’uscita anticipata avendone maturato il requisito contributivo ordinario prima dei 62 anni. In sostanza, se fosse stata sostituita in toto la disciplina vigente, il requisito dei 62 anni (di quota 100), avrebbe potuto trasformarsi in una sorta di scalone, per diverse generazioni di baby boomers. Come si vede dalla sottostante tabella l’età effettiva alla decorrenza delle pensioni di anzianità, ancora nel 2018, risultava mediamente inferiore ai 62 anni (il che significa che molti maturano i requisiti prima dei 60 anni).
Età effettiva alla decorrenza delle pensioni (Fpld) nel gennaio-settembre 2018 (fonte: Inps)
Maschi: vecchiaia 66,5, anzianità 61,0.
Femmine: vecchiaia 65,9, anzianità 60,1.
Totale: vecchiaia 66,3, anzianità 60,7.
Peraltro, il numero dei pensionamenti di anzianità è costantemente crescente, tanto che, nel Fpld-Inps, fatto uguale a 100 il flusso nel 2018 dei trattamenti di vecchiaia, quelli anticipati hanno raggiunto 229.
Ci sarebbe stata, quindi, la possibilità che “quota 100” creasse qualche problema, per via del requisito dei 62 anni, ai pensionandi “ancien régime” (con storie contributive molto lunghe conseguite ad un’età anagrafica inferiore). Così, per stare tranquillo, il Governo ne ha combinata un’altra delle sue: ha bloccato le regole ex Fornero per la quiescenza anticipata ai valori previsti nel 2018 (42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne) sospendendo (anche per i c.d. precoci) l’adeguamento automatico all’andamento dell’attesa di vita: una regola che i “nostri” lasceranno in vigore per pensioni di vecchiaia e quindi soprattutto a carico delle lavoratrici che, per la loro posizione nel mercato del lavoro caratterizzata spesso da carriere brevi e discontinue, non sono in grado di maturare un’anzianità contributiva che consenta di anticipare la quiescenza. A questo punto, il peso dei maggiori costi è destinato ad ampliarsi. Vedremo se la relazione tecnica confermerà l’adeguatezza delle coperture finanziarie previste (e peraltro ridotte).