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Pensioni, l’insostenibile leggerezza di un sistema tra declino demografico e fuga di cervelli. E gli stranieri?

FIRSTonline

La prima tabella sottostante potrebbe essere assunta come cartina di tornasole della insostenibilità del sistema pensionistico. Addirittura, senza avere la pretesa di un assoluto rigore scientifico, si potrebbe individuare il punto in cui le generazioni numerose degli anni 1960 e 1970 sono andate in pensione con una anzianità contributiva importante maturata ad un’età da anziano/giovane, impattandosi con il momento in cui le generazioni del declino demografico entravano nel mercato del lavoro in numero inadeguato rispetto a coloro che ne uscivano. Certo nella tabella non è incluso il contributo dell’emigrazione, che seguirà nelle tabelle successive.

Sappiamo però che i flussi di lavoratori stranieri sono stati in grado di compensare lo squilibrio demografico dei nativi fino al 2014 e che da quell’anno i residenti (italiani più stranieri) sono diminuiti di 1,4 milioni di unità di cui 900 mila nel Mezzogiorno. Anche il Comitato di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’Inps in uno degli ultimi rendiconti sociali ha rilevato che, per quanto concerne l’andamento della natalità, dopo il boom demografico degli anni Sessanta si riscontra una sostanziale e progressiva diminuzione delle nascite, che da 923.000 del 1960 si riducono a 392.598 nel 2022. Ciò mentre, nello stesso arco temporale, si assiste ad un incremento nel tempo dei decessi, che aumentano da 481.000 a 713.499. Con riferimento all’indice di longevità, si evidenzia un’aspettativa di vita alla nascita costantemente in crescita per l’arco temporale preso in esame, sia per quanto concerne le donne che gli uomini.

Pensioni tra declino demografico e fuga di cervelli

Difatti, nel 2021 la speranza di vita alla nascita corrisponde a 84,8 per le donne e 80,3 per gli uomini, in crescita rispetto ai dati del 2011, rispettivamente 84,5 e 79,6. Un analogo aumento si riscontra anche con riferimento alla speranza di vita a 65 e a 85 anni. I picchi negativi per quanto concerne l’aspettativa di vita a cavallo del biennio 2020-2021 sono da attribuire come naturale conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. A livello regionale, sebbene non vi siano significative differenze tra le Regioni, l’indice di longevità più elevato si rileva nel Trentino-Alto Adige e il più basso in Campania, sia per le donne che per gli uomini. Per quanto concerne i flussi migratori, è possibile osservare un progressivo aumento degli emigrati ad eccezione del biennio 2020-2021 ed un andamento oscillatorio degli immigrati.

Sebbene sin dalla seconda metà degli anni Ottanta l’Italia sia stata fortemente caratterizzata dal fenomeno dell’emigrazione, l’aumento riscontrabile nell’ultimo decennio non è riconducibile ai flussi migratori dei secoli scorsi, bensì è dettato dagli effetti della grave crisi economica che ha avuto inizio nel 2007. È possibile osservare come tale flusso migratorio abbia interessato principalmente la popolazione con età compresa tra i 18 e i 39 anni, sia per quanto concerne le donne che gli uomini. Trattandosi principalmente di giovani, spesso laureati, per tale fenomeno migratorio è stata coniata l’espressione “fuga dei cervelli”. Anche per quanto concerne gli immigrati, la maggior parte di essi rientra nella suddetta fascia d’età, anche se il loro numero supera di gran lunga quello degli emigrati, presentando un andamento oscillatorio. Ad oggi l’Italia risulta il quarto Paese in Europa per flusso di immigrati con permesso di soggiorno a lungo termine; tuttavia parlando di concentrazione in rapporto alla popolazione, l’Italia si posiziona, nel 2023, al dodicesimo posto tra i Paesi europei.

È bene allora cogliere l’occasione offerta dal Rendiconto del Civ per dare una dimensione effettiva alla cosiddetta fuga dei cervelli, mettendo in evidenza le caratteristiche di genere e di età, nell’arco dell’ultimo decennio. A parte il 2021 che ha risentito ovviamente delle limitazioni alla mobilità imposte dalla emergenza sanitaria. dal 2011 al 2020 le emigrazioni sono praticamente raddoppiate in totale, con un visibile incremento sia per gli uomini che per le donne, con una maggiore frequenza per le coorti più giovani. È altresì significativo che non si riscontri una soverchiante differenza tra il numero degli uomini e quello delle donne (ambedue gli insiemi di una linea di incremento sostanziali rispetto al 2011.

Quanto al flusso degli immigrati si è mantenuto sostenuto e tutto sommato anche uniforme. Si direbbe anzi che non abbia particolarmente risentito degli anni più gravi della crisi sanitaria. in sostanza mediamente sono entrati nel nostro paese circa 250 mila stranieri ogni anno.

Tirando le somme il panorama sociodemografico dell’Italia, al 31 dicembre 2022, contava 58.850.717 abitanti, classificandosi come il terzo Paese dell’Unione europea per popolazione. Nello specifico, la popolazione si concentrava principalmente nel Nord Italia, dove risiede circa il 46% degli abitanti, a fronte del 20% nel Centro, di circa il 23% nel Sud e dell’11% nelle Isole. È possibile osservare come la popolazione di sesso femminile sia leggermente superiore a quella di sesso maschile, rispettivamente pari al 51,1% e al 48,9% degli abitanti. Il 12% della popolazione ha un’età compresa tra 0 e 14 anni, il 63% rientra nella fascia d’età compresa tra 15 e 64 anni, mentre gli abitanti aventi più di 65 anni rappresentano circa il 24% del totale, evidenziando una forte erosione alla base della cosiddetta piramide delle età della popolazione italiana.

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