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Pensioni, la flessibilità non è un pasto gratis

DA FORMICHE.NET – Il sottosegretario Nannicini ha spiegato che la flessibilità in uscita per le pensioni costa dai 5 ai 7 miliardi di euro l’anno ma i conti pubblici non permettono di migliorare la condizione lavorativa e contributiva dei giovani e al tempo stesso anticipare la pensione agli anziani: bisogna scegliere

Pensioni, la flessibilità non è un pasto gratis

Lo si potrebbe chiamare “desiderio di flessibilità’’ annoverandolo nella ricca casistica del “cupio dissolvi’’ (perché solo un impazzimento collettivo potrebbe indurre il Governo ed il Parlamento a smontare la Riforma delle pensioni made by Fornero sotto gli occhi vigili dell’Unione europea e, soprattutto, dei mercati). Eppure, quando il ministro Pier Carlo Padoan , in un incontro con la Commissione Lavoro della Camera (la sede avita degli ‘‘sfasciacarrozze’’ della previdenza) si è lasciato scappare una frase sarchiaponesca che combinava insieme alcune parole senza dare loro un senso compiuto, gli insonni talk show, la sera stessa, e i quotidiani, l’indomani, hanno aperto su questa (non) notizia, annunciando segnali nuovi sul terreno dell’agognata flessibilità-tà-tà in uscita. Ciò, nonostante che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio  Tommaso Nannicini si fosse precipitato a ricordare che un’operazione siffatta costerebbe dai 5 ai 7 miliardi all’anno a seconda del requisiti previsti per accedervi.

Il bello è che Padoan non ha rinunciato a dare un colpo al cerchio dopo averne inferto uno, robusto, alla botte. Il titolare del MEF si è  messo a dissertare sulle grandi virtù della riforma Fornero, per quanto riguarda la stabilità non solo del sistema pensionistico, ma anche dei conti pubblici. Ma se si andasse a manipolare quell’impianto sul versante dell’età pensionabile resuscitando (in verità non è mai morto ma è tuttora sopravvissuto vivo e vegeto) il pensionamento anticipato/anzianità, che cosa resterebbe di quelle conclamate virtù?

Di rincalzo, nel giorno della follia pensionistica, poteva stare in silenzio il presidente tuttofare (e tutto dire) dell’Inps, Tito Boeri? Il nostro ha preso la palla al balzo fantasticando di un futuro assai triste dei giovani nati negli anni ’80, costretti a lavorare (chissà perché?) fino a 75 anni. Boeri ha ribadito, poi, l’urgenza di misure di flessibilità-tà-tà per gli anziani, nello stesso momento in cui ha affermato che è ora di tutelare i giovani. Il fatto è che non ci sono risorse sufficienti per “pensare’’ ad un sistema in grado di provvedere alla condizione lavorativa e contributiva dei  giovani e, nello stesso tempo, di consentire agli anziani di andare in quiescenza quando potrebbero ancora lavorare. Facendone, poi, pagare il conto salato di nuovo ai  giovani. Occorre scegliere. E sinceramente ci siamo rotti le scatole di darà priorità ad anziani che di vantaggi ne hanno avuti già tanti.

A pagina 31 di un recente documento dell’Inps, nella parte in cui vengono sintetizzate le più importanti modifiche normative sulle pensioni leggiamo sotto il titolo Decreto legge 6 dicembre 2011 n.201 (“Salva Italia’’, “Riforma Fornero’’): “Fascia flessibile di pensionamento per i lavoratori con riferimento ai quali il primo accredito contributivo decorre successivamente al 1.1.1996 (ovvero i soggetti a cui si applica il calcolo contributivo, ndr): 63-70 anni’’. E allora? Quando si smette di dar la caccia alle farfalle sotto l’Arco di Tito?

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