La tempesta delle pensioni scuote violentemente la Francia. Ieri, nuova massiccia giornata di protesta contro la riforma delle pensioni in Francia. Il ministero parla di un milione di manifestanti ma i sindacati ne rivendicano 2,5 milioni per la quarta volta in tre settimane e promettono un appuntamento ancora più duro per il 7 marzo. Mentre si inasprisce così la lotta tra il governo e una parte della popolazione, ecco alcune chiavi di lettura della situazione.
Perché una riforma delle pensioni?
Il sistema pensionistico francese è un sistema “a ripartizione”. Funziona secondo una logica di solidarietà intergenerazionale: la popolazione attiva sovvenziona direttamente i pensionati contemporanei attraverso i contributi.
A partire dalla metà degli anni ’70, come i suoi omologhi europei, il sistema francese è entrato in un periodo di turbolenza. Si è trovata tra il calo dei contributi, causato dal rallentamento dell’attività economica, e l’aumento del fabbisogno finanziario, dovuto all’invecchiamento generale della popolazione. A partire dagli anni ’90, la Francia ha avviato una serie di riforme, senza però cambiare l’essenza del sistema.
Queste riforme hanno permesso di limitare il deficit senza eliminarlo. Il dipartimento governativo dedicato al monitoraggio del sistema pensionistico, il COR, stima ora che il sistema sia leggermente, ma strutturalmente, in deficit. Ciò significa che i contributi dei lavoratori e delle aziende non sono sufficienti a pagare le pensioni dei pensionati e che è necessario un contributo statale. D’altra parte, “i risultati di questo rapporto non convalidano la retorica che avanza l’idea di una dinamica incontrollata della spesa pensionistica”.
Che tipo di riforma?
Esistono tre opzioni principali per affrontare il deficit. La prima è quella di non cambiare il sistema e di rimanere in una logica di sostegno statale, come avviene attualmente. Infatti, il deficit è sotto controllo e non presenta alcun rischio di embolia ma implica un costo sempre più ampio per i contriuenti. Il secondo è quello di un radicale cambiamento di filosofia, con il passaggio a un sistema per capitalizzazione. Questo sembra essere politicamente difficile, perché i francesi sono molto legati al sistema per ripartizione. Infine, c’è la soluzione intermedia, quella di un adeguamento parametrico del sistema esistente. In questo caso, sono disponibili tre leve: la durata del contributo, il livello delle pensioni o il tasso di contributo con conseguente innalzamento dell’età pensionabile.
È l’ultima opzione che il governo ha scelto, e più precisamente la strada dell’allungamento del periodo di contribuzione. La riforma mira a posticipare l’età pensionabile legale da 62 a 64 anni e ad aumentare il numero di anni necessari per ricevere una pensione completa da 42 a 43 anni. Non dimentichiamoci che l’età pensionabile è già a 64 anni in Germania e a 67 in Italia.
Emmanuel Macron ha quindi compiuto una doppia scelta politica. La volontà di fare una riforma si spiega con la preoccupazione per la credibilità di bilancio sulla scena europea e con il desiderio di mantenere un’immagine di riformatore. Il tipo di leve scelto per questa riforma, cioè la durata di lavoro, si ottiene per eliminazione. Impegnato nella logica dell’offerta fin dall’inizio del suo primo mandato quinquennale, il presidente si rifiuta di aumentare le tasse. Inoltre, poiché i pensionati costituiscono il cuore elettorale della maggiorità, ciò esclude una riduzione delle pensioni. Ma i sindacati sono compattamente contro la riforma voluta da Macron.
Perché questa opposizione?
Per capire la portata della mobilitazione – stiamo parlando del più grande movimento di mobilitazione degli ultimi 30 anni, in un Paese che non ne manca – dobbiamo innanzitutto tornare al contesto politico. Lontano dall’ondata di entusiasmo che ha caratterizzato la sua prima elezione, Emmanuel Macron sta vivendo un inizio complicato del suo secondo mandato. Dopo aver vinto il contro Marine Le Pen, ha perso la maggioranza assoluta in parlamento e deve quindi trattare con l’opposizione.
Nella forma, la riforma è poco compresa dai francesi che non ne capiscono la necessità. Mentre i membri della maggioranza ripetono che è necessario “salvare il sistema a ripartizione”, i vari esperti, anche governativi, concordano sul fatto che questo sistema non è per ora in pericolo. Inoltre, alcuni segmenti della popolazione saranno penalizzati dalla riforma, in particolare le donne, come ha riconosciuto il Ministro del Lavoro, O. Dussopt.
In sostanza, gli osservatori concordano sul fatto che la comunicazione del governo è stata caotica. Il governo cambiava regolarmente registro e ci sono voluti mesi per avere una visione chiara dei cambiamenti futuri. Inoltre, non è riuscito a convincere nessun sindacato riformista, e quindi soffre dell’immagine di un esecutivo che vuole imporsi con la forza. Infine, il passaggio dai 62 ai 64 anni costituisce, anche per il suo valore simbolico, un punto di cristallizzazione delle tensioni.
Perché è probabile che il braccio di ferro duri?
Il governo si trova attualmente tra due fuochi. Da un lato, ha impegnato la sua credibilità politica in questa riforma. Sulla scena interna, è una delle promesse della campagna elettorale di Macron, che vuole mantenere un’immagine di riformatore. Sulla scena esterna, la Francia si è impegnata con i suoi alleati europei, mentre il governo non può permettersi un declassamento del rating da parte dei mercati.
D’altra parte, i sindacati sono in rivolta contro questa riforma, mentre il governo non ha più la maggioranza assoluta in Assemblea. L’esecutivo sta quindi cercando un’alleanza con la destra tradizionale, il cui sostegno non è assicurato.
Stretto tra i suoi impegni e la realtà politica, il tutto in un contesto sociale altamente infiammato, il governo ha davanti a sé diverse settimane cruciali.