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Pensioni: il vantaggio dell’Italia è di aver già raggruppato la miriade di Casse ed Enti. Ora tutti nell’Inps

FIRSTonline

Rispetto ad altri Paesi dell’Unione, in tema di pensioni, il nostro – tra tanti demeriti – ha sicuramente un merito: quello di essere riuscito ad uniformare le regole del pensionamento, pur partendo da una giungla inestricabile costituita dalla costruzione alluvionale del sistema nel contesto, tra le due guerre del secolo scorso, di una cultura corporativa quale fondamento dell’ordinamento statuale. Trent’anni orsono quando cominciò il calvario delle riforme (spesso col seguito di controriforme) c’erano decine di regimi. A metà degli anni ’90 la struttura del sistema pensionistico obbligatorio italiano per lavoratori dipendenti e autonomi, consisteva in ben 47 regimi pensionistici (amministrati dagli enti previdenziali).

L’incorporazione nell’Inps della miriade di Enti e Casse

Questa pletora passò praticamente indenne l’esame della nuova Costituzione che nell’artico 38 (il caposaldo del welfare italiano) al comma 4 sancisce: ‘’Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato’’. Sappiamo che oggi, oltre all’omogeneizzazione delle regole è venuta avanti una forte unificazione degli Enti e delle Casse che ora, passate attraverso aggregazioni parziali, sono tutte incorporate nell’INPS (la disciplina antinfortunistica è gestita dall’INAIL), con a fianco una balcanizzazione delle Casse e dei Fondi dei liberi professionisti, vere e proprie monadi ‘’senza porte né finestre’’.

Ovviamente, i processi di omogeneizzazione hanno salvaguardato tipologie lavorative particolari (si pensi ai piloti) e condizioni operative usuranti e disagiate, superando, però, regimi attinenti ad un vero e proprio status (come l’appartenenza alla PA e a categorie definite speciali o all’economia privata) a cui venivano riconosciuti veri e propri privilegi di casta. Qualche retaggio è rimasto. Il governo se ne è accorto nella legge di bilancio per il 2024, quando ha provato a modificare una norma che consentiva al personale sanitario, degli enti locali e di altre due categorie minori, in grado di far valere, con riferimento ad anzianità pari o superiori a 15 anni al 31 dicembre 1995, anche un solo anno nel calcolo retributivo (al limite riscattando un anno di frequenza all’università) per acquisire un sostanzioso beneficio sull’importo della pensione. Su questo punto però il governo è stato costretto a fare marcia indietro, apportando norme di graduale rientro nella regola generale sui soggetti che alla fine del 2023 non avevano ancora maturato il diritto.

In altri Paesi persistono le resistenze dei trattamenti privilegiati

Perché abbiamo detto che l’omogeneizzazione è un nostro punto di merito? Negli altri Paesi (vedi in particolare la Francia) le maggiori resistenze alle riforme sono venute proprio dalle categorie che hanno trattamenti privilegiati. Mentre da noi la battaglia per l’uniformità delle regole e non solo per i nuovi assunti l’hanno combattuta le grandi organizzazioni confederali, misurandosi con resistenze anche all’interno dei loro corpi associativi, in particolare nel pubblico impiego e nei servizi. Tutto ciò premesso, va da sé che, essendo la pensione una proiezione dell’attività lavorativa, non c’è da stupirsi se i trattamenti pensionistici dei pubblici dipendenti risentano (soprattutto per le donne) di una storia lavorativa.

Le pensioni per il pubblico impiego

Passiamo ora all’esame dei dati forniti dall’INPS per il pubblico impiego, ricordandone, nell’ambito della GDP, le Gestioni interessate: CTPS per i dipendenti delle amministrazioni statali, CPS per il personale sanitario, CPDEL per i dipendenti degli enti territoriali e locali, CPUG per gli ufficiali giudiziari, CPI insegnati di scuola elementare privata o parificata. Il numero delle pensioni della Gestione Dipendenti Pubblici (GDP), vigenti al 1° gennaio 2024 è pari a 3.137.572, in aumento rispetto all’anno precedente, in cui ammontava a 3.107.983 pensioni, dello 0,9%; l’importo complessivo annuo delle pensioni (importo complessivo mensile moltiplicato x 13) è di 90,1 miliardi di euro, con incremento percentuale del 8,2% rispetto all’anno 2023, in cui l’importo risultava di 83,3 miliardi di euro. La ripartizione per Cassa delle pensioni vigenti all’1.1.2024 evidenzia che il 58,3% dei trattamenti pensionistici è erogato dalla C.T.P.S., seguita dalla C.P.D.E.L. con il 38,1%; le altre Casse rappresentano complessivamente il 3,6% del totale. Con riferimento all’importo complessivo annuo, risulta che il 60,4% è a carico della C.T.P.S., che eroga importi medi mensili pari a 2.289,50 euro, il 32,4% a carico della C.P.D.E.L. con importi medi mensili di 1.876,30 e il rimanente 7,2% è erogato dalle altre Casse, con importi che variano da 1.682,60 euro mensili per la C.P.I. a 5.077 euro mensili per la C.P.S.

Oltre la metà delle pensioni sono di anzianità/anticipate

Con riguardo alle pensioni vigenti all’1.1.2024 distinte per categoria e sesso, emerge che il 58,9% delle pensioni sono di anzianità/anticipate, con importo complessivo annuo pari a 59 miliardi di euro; il 14,6% sono pensioni di vecchiaia con importo complessivo annuo di 15miliardi di euro; le pensioni di inabilità sono il 6,3% e il restante 20,2% è costituito, complessivamente, dalle pensioni erogate ai superstiti di attivo e di pensionato.

Come si vede i dipendenti pubblici sono in condizione di avvalersi del trattamento anticipato. Nella ripartizione delle pensioni per categoria e genere si osserva che il 59,7% del totale dei trattamenti pensionistici è erogato alle donne, contro il 40,3% erogato agli uomini. In tutte le categorie di pensione, eccetto la categoria delle pensioni di inabilità, si rileva una maggior presenza di pensionate sui pensionati, con differenziazione massima nelle pensioni ai superstiti in cui le femmine rappresentano il 16,6% del totale delle pensioni e i maschi il 3,6%.

Mentre nell’impiego privato i trattamenti anticipati sono una prerogativa in prevalenza degli uomini, nel pubblico impiego è più elevato il numero delle donne. La differenza dipende dalla condizione di lavoro che, nella pubblica amministrazione, è stabile e continuativa anche per le lavoratrici, come emerge anche dalla distribuzione delle pensioni liquidate nel 2023 per categoria di pensione. Analogamente alle pensioni vigenti, la categoria delle pensioni di anzianità/anticipate è la più numerosa con il 44,2% del totale e importo complessivo annuo pari a 1.957,2 milioni di euro (53% del totale). Le pensioni ai superstiti rappresentano il 30,4% del totale come numero e il 18,2% come importo. Infine, le pensioni di vecchiaia sono tra il 22,1% come numero e il 25,8% come importo e quelle di inabilità sono circa il 3% sia nel numero sia nell’importo.

La distribuzione per area geografica del numero delle pensioni vigenti all’1.1.2024 mette in evidenza che il maggior numero delle prestazioni è concentrato nell’area settentrionale della penisola con il 41% del totale nazionale, seguito dal 36,5% delle prestazioni erogate nell’area meridionale, isole comprese. Infine, l’Italia Centrale assume, con il 22,3%, il valore minimo.

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