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Pensioni: età salirà a 71 anni e con integrazione “pubblico-privato”

Imagoeconomica

Fra età pensionabile teorica ed effettiva, in Italia, c’è una bella differenza. Secondo lo studio Ocse dal titolo “Uno sguardo alle pensioni”, oggi l’età effettiva di pensionamento nel nostro Paese è in media di 62,1 anni per gli uomini e di 61,3 anni per le donne. Sono dati fra i più bassi dell’intera area Ocse, dove la media è rispettivamente di 65,1 e 63,6 anni. Un confronto che stride con la normale età pensionabile prevista dalla legge, che in Italia è mediamente di 66,6 anni per gli uomini e di 65,6 anni per le donne, la quarta più elevata fra i Paesi industrializzati.

La situazione, tuttavia, è destinata a cambiare radicalmente nel nostro Paese. E non solo nel breve periodo, con l’adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita che scatterà nel 2019 (un meccanismo su cui Ocse e Ue raccomandano all’Italia di non fare marcia indietro), ma anche e soprattutto sul lungo termine.

Sempre secondo i calcoli dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, con le regole attuali i 20enni italiani che hanno iniziato a lavorare nel 2016 andranno in pensione a 71 anni. Ma solo se avranno una carriera lavorativa senza interruzioni, il che non sarà frequente. A quel punto avremo la seconda età di pensionamento più alta dell’area Ocse (dopo i 74 anni dei danesi), dove la media sarà intorno ai 65,5 anni.

L’INVECCHIAMENTO DELL’ITALIA

Questo cambiamento è legato all’invecchiamento della popolazione italiana. Un processo “costante, che pone una difficile sfida sul futuro ruolo del sistema di welfare”, spiega Giorgio Alleva, presidente dell’Istat, intervenuto martedì al convegno “A ciascuno il suo Welfare”, organizzato a Roma dal Gruppo Unipol.

L’Istituto di statistica rileva che il primo gennaio la popolazione di età compresa tra 0 e 14 anni era al 13,5%, il dato più basso di sempre. Gli over 65, invece, hanno superato per la prima volta il 22%. “L’Italia è uno dei paesi col più basso peso delle nuove generazioni”, sottolinea ancora Alleva.

SALUTE, UN BENE PER RICCHI

In questo scenario bisogna far fronte a una situazione sanitaria caratterizzata da molte ineguaglianze. In media si dichiara in buona salute il 67,7% degli italiani, ma tra le persone appartenenti alla classe dirigente questa percentuale sale al 75,6 percento, mentre fra anziani soli e giovani disoccupati scende al 60,5%.

Il livello di benessere economico incide anche sulla disponibilità a effettuare controlli, al punto che il 21% delle famiglie a basso reddito rinuncia a esami e cure per i costi eccessivi. “Sono necessarie politiche che riducano le diseguaglianze – conclude Alleva – Non solo aiuti economici, ma anche maggiori servizi”.

Questo non toglie che in Italia “gli indicatori su qualità e speranza di vita siano molto buoni, in un contesto in cui spendiamo meno rispetto ad altri Paesi – spiega Francesca Colombo, responsabile della divisione Sanità dell’Ocse – Ma ci sono pressioni sul futuro, in primo luogo l’invecchiamento. Il sistema sanitario va riorientato sulla prevenzione”.

L’INTEGRAZIONE PUBBLICO-PRIVATO

Per far fronte a questa sfida “bisogna prendere coscienza che in futuro lo Stato da solo non potrà mantenere livelli alti di prestazioni in termini di quantità e qualità – sostiene Pier Paolo Baretta, sottosegretario al ministero dell’Economia – La spesa per l’assistenza è destinata a crescere e se vogliamo mantenere un livello alto sarà necessaria un’integrazione tra sistema pubblico e privato. Il che non vuol dire rinunciare all’universalità dei trattamenti, ma superare il concetto secondo cui solo lo Stato può garantire l’universalità. È necessario considerare terza età e quarta età come un aspetto centrale dell’economia”.

Il numero uno dell’Inps, Tito Boeri, sottolinea che tutto questo non ha a che vedere solo con le pensioni: “Si parla molto di previdenza – spiega – ma non abbastanza del problema della non autosufficienza. Oggi spendiamo per questo settore meno del 2% del Pil ma entro il 2060 arriveremo al 3,2-3,3%. Dobbiamo essere molto selettivi e combattere gli abusi. E accanto al pubblico devono svolgere un ruolo anche le assicurazioni e le imprese private”. Un’integrazione che, secondo il Ceo di Unipol, Carlo Cimbri, “non è più una questione filosofica o politica, ma è ormai accettata da tutti come una necessità operativa”.

Sulla stessa linea Vincenzo Boccia: “Dobbiamo aprire un tavolo di confronto sul welfare del futuro per concepire un intervento organico di politica economica – dice il presidente di Confindustria – Siamo all’inizio di una nuova fase e non dobbiamo commettere l’errore di tornare indietro, ma aprire una nuova stagione riformista. Per pagare le pensioni occorre costruire occasioni per il lavoro, puntando sulla competitività delle imprese. Sviluppo e solidarietà sono complementari, non antitetici”.

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