Uno degli effetti, collaterali e marginali, di un periodo di crisi economica e di recessione, è la nascita di neologismi che rapidamente si diffondono nel linguaggio comune. Negli anni Ottanta, a seguito dei processi di ristrutturazione della grande industria, per i lavoratori eccedenti sospesi a zero ore e posti in cassa integrazione guadagni straordinaria fu rapidamente coniato il termine di “cassintegrati”.
A metà degli anni Novanta, dopo l’entrata in vigore della Legge 223/91, i processi di riduzione di personale cominciarono ad essere affrontati con la collocazione in mobilità (lunga o ordinaria) di quei lavoratori che avrebbero raggiunto i requisiti della pensione al termine del periodo di mobilità: nacquero così i “mobiliferi”, intendendo con questo termine i lavoratori che, tramite la mobilità, accedono ad una sorta di prepensionamento.
Negli ultimi mesi, dopo la riforma pensionistica Fornero, è entrato nel linguaggio comune il neologismo degli “esodati” con a ruota quello dei “salvaguardati”.
Con il termine “esodati” si è inteso definire quei lavoratori che, estromessi dai processi produttivi a seguito di procedure di mobilità o per dimissioni incentivate, sulla base di accordi individuali o collettivi, resteranno per un certo periodo di tempo senza sostegno al reddito (indennità di mobilità o altre forme) prima di accedere al trattamento pensionistico, in quanto la riforma Fornero ha spostato in avanti il limite di età per la pensione rispetto alla previgente normativa.
“Salvaguardati” saranno invece quei lavoratori “esodati” che, con apposito provvedimento normativo di deroga alla riforma Fornero, potranno accedere alla pensione nei prossimi anni con le vecchie regole.
Sulla quantificazione degli “esodati”, dopo l’entrata in vigore della riforma previdenziale, è nata da subito la querelle con le parti sociali.
Dopo alcuni tentennamenti iniziali il ministro quantificava in 65.000 il numero dei lavoratori per cui era necessario derogare al nuovo regime pensionistico per evitare che si trovassero in vuoto temporale di reddito prima di accedere alla pensione, mentre i sindacati da subito stimavano tale numero in oltre 300.000 lavoratori.
A complicare il tutto contribuiva il direttore generale dell’Inps, nell’audizione presso la commissione Lavoro della Camera dell’11 aprile 2012, che quantificava in 130.000 i lavoratori interessati alla deroga. Secondo quanto precisato successivamente dallo stesso direttore generale dell’Inps e dal ministro del Lavoro, in realtà non sussisterebbe contraddizione tra le cifre riportate, in quanto: il ministero del Lavoro ha fotografato la situazione dei lavoratori al 31 dicembre 2011 e si riferiva quindi a quelli che avevano cessato il rapporto di lavoro entro quella data, a seguito di dimissioni o di collocazione in mobilità sulla base di accordi individuali o collettivi; la stima dell’Inps era stata invece formulata tenendo conto dei potenziali lavoratori che potrebbero essere coinvolti nei prossimi 4 anni da processi di espulsione dal mondo del lavoro a seguito di procedure di mobilità o di esodi individuali senza avere i requisiti pensionistici previsti dalle vecchie regole.
Il ministro del Lavoro ha ora chiarito la questione nel recente incontro tecnico con i sindacati nel corso del quale ha illustrato l’imminente decreto interministeriale sulla salvaguardia previdenziale dei 65.000 “esodati” certi, così individuati: 25.590 lavoratori collocati in mobilità sulla base di accordi sindacali stipulati prima del 4 dicembre scorso e che maturino i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell’indennità di mobilità; 3.460 lavoratori collocati in mobilità lunga per effetto di accordi collettivi stipulati sempre entro il 4 dicembre scorso; 17.710 lavoratori titolari di prestazione straordinaria a carico dei Fondi di Solidarietà di Settore (Credito; Credito Cooperativo; Esattoriali; Poste Italiane; Monopoli di Stato) sino al raggiungimento dei requisiti per l’accesso alla pensione stabiliti dalla previgente normativa; 10.250 prosecutori volontari della contribuzione autorizzata antecedentemente al 4 dicembre 2011; 950 lavoratori del settore pubblico che sempre alla data del 4 dicembre erano esonerati dal servizio; 150 genitori in congedo per assistenza ai figli disabili gravi; 6.890 lavoratori, dato verificato dall’Inps, che hanno risolto il rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2011 con la data di cessazione dal servizio certificata da elementi certi e oggettivi, quali le comunicazioni obbligatorie alle direzioni territoriali del lavoro o ad altri soggetti equipollenti.
Per gli “esodandi”, cioè quei lavoratori che presumibilmente saranno espulsi nei prossimi anni dal mercato del lavoro a seguito della recessione in atto ma che oggi sono al lavoro, la cui platea è stimata in 130.000 unità dall’Inps e da oltre 300.000 unità dai sindacati, l’eventuale soluzione per garantire – compatibilmente con le risorse economico-finanziarie disponibili – l’uscita dal mondo del lavoro con i requisiti pensionistici in vigore prima della riforma Fornero, è demandata alla Commissione Lavoro della Camera che la prossima settimana dovrebbe già incontrare i sindacati confederali.