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Pensioni e Consulta, due strade per il Governo: rimodulare i tagli e rateizzare i rimborsi

TUTTI I NUMERI DEI TAGLI DELLA PEREQUAZIONE AUTOMATICA DELLE PENSIONI rimessi in discussione dalla controversa sentenza della Corte Costituzionale – Le due vie del Governo: rimodulare l’intervento e rimborsare a rate – Ma per i pensionati la restituzione delle somme decurtate non sarà automatica: bisognerà citare in giudizio l’Inps.

Pensioni e Consulta, due strade per il Governo: rimodulare i tagli e rateizzare i rimborsi

Il Governo non deve farsi intrappolare dalla discutibile sentenza della Consulta sulla perequazione automatica delle pensioni. Innanzi tutto, occorre interpretare correttamente le motivazioni della sentenza (secondo le indiscrezioni votata da una maggioranza ristretta dei giudici). La Corte non ha ritenuto illegittimo l’intervento in sé (se lo avesse fatto avrebbe contraddetto la sua stessa giurisprudenza in materia), ma i suoi criteri e modalità. E’ bene ricordare, infatti, che nella Legge Finanziaria per il 2008 il Governo Prodi, nel quadro dell’attuazione del Protocollo sul Welfare del 2007, tagliò per un anno la perequazione automatica sulle pensioni di importo superiore ad 8 volte il minimo (allora circa 3,5mila euro mensili lordi). Vennero presentati dei ricorsi che la Consulta bocciò. 

Ora, ad avviso della Consulta, il caso è diverso, perché la misura contenuta nel decreto Salva Italia interveniva – in modo permanente – su trattamenti medio-bassi, tanto da mettere in discussione la loro adeguatezza (principio solennemente ribadito dall’art. 38 Cost.). Che fare adesso ? Se il Governo, con un provvedimento d’urgenza, rimodulasse il taglio (magari portandolo a livello di cinque volte l’importo del minimo) si avvicinerebbe, in pratica, alla proposta contenuta nella Relazione di Carlo Cottarelli (in tema di contributo delle pensioni alla spending review) e ridurrebbe l’ammontare da restituire ai pensionati. L’altra operazione da compiere potrebbe essere quella di una rateizzazione in un certo numero di anni. 

Se un’operazione siffatta tornasse all’esame della Consulta, essa dovrebbe giudicare ex novo e potrebbe anche riconoscere più equo, e quindi ispirato a criteri di ragionevolezza, l’intervento. Si tenga presente che la restituzione della rivalutazione non è un fatto automatico e che gli interessati dovrebbero citare l’Inps in giudizio, salvo il caso, peraltro problematico ed inconsueto, di una class action. Insomma nessuno si illuda di avere già in tasca quelle risorse o di potersene avvalere come misura di rilancio del mercato interno. Non può venire alcun vantaggio da una destabilizzazione dei conti pubblici. Ma in che modo hanno inciso i tagli del 2011 sui pensionati e le loro famiglie ? I conti come al solito ballano. 

A chi scrive, limitatamente al pregresso, risultano i seguenti dati. La riforma Fornero, per il 2012 e il 2013, aveva stabilito il seguente meccanismo: sulle pensioni di importo pari o inferiore a tre volte il trattamento minimo (1.405,05 euro mensili lordi) veniva garantita la rivalutazione nella misura del 100% dell’inflazione (2,6% nel 2012); per gli importi superiori a tale limite non operava alcuna perequazione. E’ bene ricordare che se l’importo della pensione era compreso fra tre volte il minimo e la stessa cifra incrementata dalla perequazione (1.451,58 euro mensili lordi) l’incremento della perequazione veniva corrisposto fino a tale limite maggiorato. Quali effetti si sono avuti? 

Nel 2012 sono stati interessati dalle nuove misure ben 5.192.338 pensioni per un totale di perequazione non erogata di circa 3,8 miliardi (la quota più consistente, per poco meno di un miliardo, è gravata sui percettori di un trattamento superiore a 3mila euro lordi mensili). Nel 2013 la platea è rimasta la stessa, ma il taglio è salito a 4,4 miliardi (di cui 1,1 miliardo a carico dei predetti pensionati con più di 3mila euro). In sintesi ed arrotondando gli importi: nei due anni di blocco (2012 e 2013) la perequazione persa (per sempre) è ammontata a 8,2 miliardi (sic!) che, spalmati su 5,2 milioni di trattamenti (e di soggetti) interessati, ha determinato una riduzione media pro-capite di 1.584 euro. 

Nel 2014 sarebbe dovuto tornare in vigore il sistema previgente di perequazione, ordinato come segue per fasce orizzontali di pensione: 100% per i trattamenti fino a tre volte il minimo; 90% per la quota di pensione compresa fra tre e cinque volte il minimo; 75% per la quota oltre cinque volte il minimo. La legge di stabilità (legge n.147/2013) per il triennio 2014-2016 ha previsto un nuovo sistema che passa da un regime di fasce orizzontali ad uno di fasce verticali, nel senso che le nuove aliquote si applicano su tutto l’importo della pensione e non sulle quote eccedenti i multipli del trattamento minimo. Così fino a tre volte il minimo (1.486,29 euro mensili lordi) la perequazione è pari al 100% (1,2% di maggiorazione); oltre 3 volte ed entro 4 volte (oltre 1.486,29 e fino a 1.981,72 ) è in misura del 90% (1,08% di maggiorazione); da 4 volte ed entro 5 volte (oltre 1.981,72 e fino a 2.477,15) al 75% (0,90% di maggiorazione), oltre 5 volte ed entro 6 volte (oltre 2.477,15 e fino a 2.972,58) al 50% (0,60% di maggiorazione). 

Al di sopra dell’ultimo importo opera un complesso meccanismo di calcolo che porta in pratica ad una cifra fissa stabilita provvisoriamente dall’Inps in 17,84 euro, ma destinata ad essere ricalcolata in poco più di 14 euro. Esistono fasce di garanzia quando, calcolata la perequazione con la fascia di appartenenza, il risultato ottenuto è inferiore al limite della fascia precedente perequato. Il passaggio al sistema di perequazione per fasce verticali dovrebbe determinare, secondo le previsioni ufficiali, una riduzione di spesa, nel periodo considerato, di circa 5 miliardi di euro. 

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