C’è un fantasma che si aggira per la Penisola con particolare frequenza nelle regioni del Centro-Nord: un fantasma contro il quale si sta riconvertendo quel riarmo che l’Europa pretenderebbe di attivare in nome di una presunta difesa contro un nemico che non esiste perché – come disse il Capitano sulla Piazza Rossa – un Putin dimezzato vale almeno quattro Mattarella.
L’entusiasmo per Trump e Vance (che risponde al telefono) e per Elon Musk (che compare sul teleschermo a Firenze e promette a Salvini di metterci una parola buona sui dazi con Trump) non ha soppiantato l’attrazione fatale della Lega per mandare in pensione, il prima possibile, i baby boomers; perché di questo si discute anche se si contrabbanda la questione sotto il pretesto del pensionamento dei giovani di oggi.
Incombe una minaccia implacabile: dal 2027 un meccanismo implicito nella resuscitata riforma Fornero costringerà i poveri italiani ad andare in pensione tre mesi dopo. Sono ricomparse allora le consuete parole fatali: “sterilizzazione” ed “esodati”.
Le pensioni e la lunga storia della “sterlilizzazione”
Facciamo il punto sulla “sterilizzazione”. Erano stati l’ultimo governo Berlusconi e il kombinat Tremonti/Sacconi ad introdurre una norma in base alla quale l’età pensionabile veniva periodicamente agganciata all’incremento dell’attesa di vita certificato dall’Istat. La riforma Fornero estese la norma anche al requisito contributivo del trattamento anticipato (a prescindere dall’età anagrafica). Il governo Conte 1 non si limitò ad introdurre quota 100 per un periodo di tre anni (2019/2021), ma bloccò (fino a tutto il 2026) a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e a un anno in meno per le donne (il meccanismo dell’adeguamento era arrivato a quelle soglie) il requisito contributivo per il trattamento anticipato (di cui usufruiscono in grande maggioranza i lavoratori maschi perché hanno storie occupazionali più lunghe (in media 38 anni), mentre le donne – che non riescono ad avere una storia lavorativa lunga e ininterrotta – in prevalenza – soprattutto nei settori privati – sono costrette ad avvalersi della vecchiaia a 67 anni di età e almeno 20 di contribuzione.
La via d’uscita del congelamento, al riparo della risonanza mediatica di quota 100, è risultata più conveniente per i baby boomers, perché non era richiesto alcun requisito anagrafico (come nel regime delle quote), mentre chi aveva cominciato a lavorare presto (come le coorti interessate) era in grado di raggiungere il requisito contributivo ad un’età inferiore ai 62 (l’età media alla decorrenza delle pensioni di anzianità è pari a 61,7 anni, il che significa che sono tanti quelli che ne usufruiscono prima).
In uno slancio di riformismo inconsapevole il governo Meloni, mentre invertiva da incentivo a disincentivo il regime delle quote, ha anticipato a fine 2024 la scadenza del blocco dei requisiti dell’anzianità. Così da gennaio di quest’anno è tornata operativa la norma del 2011 (che è molto importante per garantire la sostenibilità del sistema dopo lo sperpero con le controriforme di 48 dei 90 miliardi di risparmi previsti a regime).
Pensioni: cosa succede nei prossimi anni
Per il biennio 2025/2026 l’Istat non segnala apprezzabili incrementi dell’attesa di vita, pertanto non vi saranno modifiche dei requisiti. Nel 2027 viene ipotizzato un incremento di 5-6 mesi, che per legge verrebbe ridotto al limite massimo di 3 mesi. Per il biennio 2027-28 si dovrebbe pertanto andare in pensione all’età di 67 anni e tre mesi per la vecchiaia, oppure 43 anni e un mese (un anno in meno per le donne) per le anticipate.
In base alle proiezioni demografiche della Ragioneria Generale dello Stato, nei prossimi quattro bienni potrebbero scattare altrettanti trimestri di innalzamento dei requisiti, per un totale di un anno. Nei calcoli della Cgil, sterilizzare il primo di questi aumenti costerebbe ben 4 miliardi l’anno.
Apriti cielo! Non solo Claudio Durigon, ma persino il virtuoso Giancarlo Giorgetti si è avventurato a promettere una ‘’sterilizzazione’’ dell’aggancio automatico. Anche altre forze di opposizione sono insorte, al grido di “fate presto”, come se oltre all’ora vi fosse anche l’anno legale. Poi seguiranno le solite acrobazie contabili (come la richiesta di una imposta patrimoniale e della tassazione permanente degli extraprofitti) allo scopo di impedire che la demografia faccia il suo corso.
Eppure non è operante un meccanismo diabolico destinato a raggiungere un’età di pensionamento da Matusalemme. La norma si applica solo nel caso dei trattamenti liquidati col sistema misto (retributivo/contributivo) che è in via di esaurimento perché riguarda coloro che hanno iniziato a lavorare prima del 31 gennaio 1995, per i quali sono state predisposte, in più, innumerevoli uscite di sicurezza a tutela di ogni possibile condizione di difficoltà personale o familiare. Peraltro si tratta delle ultime coorti del baby boomers che arrivano all’appuntamento con la pensione ad un’età da anziani/giovani, in grado di sopportare il prolungamento di qualche mese dell’attività lavorativa.
La parola magica: “esodati”
Per i lavoratori che sono interamente nel sistema contributivo (gli occupati dal 1° gennaio 1996) vigono altre regole: essi potranno andare in pensione anticipata a 64 anni, se hanno maturato almeno 20 anni di contributi. È previsto inoltre un requisito di adeguatezza ragguagliato a un multiplo dell’importo dell’assegno sociale per determinare il quale potrà essere computato anche l’assegno della previdenza complementare. La Cgil poi ha pensato di usare la parola magica degli “esodati”, una specie di confetto Falqui previdenziale.
Infatti si è scoperto che l’aumento “mobile” dell’età pensionabile produce gli immancabili esodati, uno dei prodotti tipici italiani. In questo caso, tutte le persone che hanno lasciato il lavoro per effetto di contratti di espansione, isopensione o intervento di fondi bilaterali di solidarietà. Sarebbero in tutto 44mila i lavoratori che nel 2027 si troverebbero senza reddito né pensione per tre mesi. Negli anni scorsi sono state trovate delle soluzioni per 200mila “esodati”. Abbiamo una lunga esperienza ad inventarci i problemi e a risolverli come se fossero reali.