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Pellegrino Artusi: la scienza in cucina e l’arte di mangiar bene

Pellegrino Artusi: la scienza in cucina e l’arte di mangiar bene

Ecco chi ha introdotto in Italia il “virus” dell’alimentazione

Il 25° episodio della serie degli autori best seller italiani non è dedicato a un narratore. È dedicato a Pellegrino Artusi che ha introdotto nel nostro paese un “virus” del tutto particolare: quello dell’alimentazione. È stato lui il capofila di quel mondo vastissimo che gira intorno al cibo. Un mondo che in questi ultimi tempi si è talmente radicato nella nostra società da prevaricare e quasi cannibalizzare, dal punto di vista mediatico, ogni altro comparto come mai era avvenuto prima.

Un settore in grande spolvero

È infatti sotto gli occhi di tutti come a tutte le ore e in tutti i canali sia pubblici che privati, si assista a un succedersi continuo di rubriche e di trasmissioni che vertono sul cibo: dalla sua preparazione alle sue caratteristiche, dalle materie prime ai vari ingredienti, dalle star più blasonate ai locali più tipici, fino agli altri innumerevoli aspetti che fanno da contorno a questo elemento primario della nostra esistenza.

E in libreria le cose vanno più o meno allo stesso modo, tanto che quella sull’alimentazione rimane una presenza massiccia e ingombrante, da spingere taluni a non poterne più e a dire che sarebbe l’ora di darci un taglio. Ma finché gli indici di ascolto continueranno a rimanere alti è ben difficile che ciò avvenga, anche perché il settore copre un’alta percentuale della nostra disastrata economia e garantisce l’occupazione a una moltitudine di concittadini.

Una volta non era così. Una volta la cultura dell’alimentazione era riservata solo alle classi più abbienti, altoborghesi e nobiliari, e neanche sempre; e i testi di cucina erano assai rari, da contarsi sulle dita di una sola mano.

Per i ceti popolari e piccolo borghesi non c’era nessun manuale che fornisse indicazioni precise in materia, era già tanto se si riusciva a sbarcare il lunario, a tirare avanti, a non morire di fame. Figuriamoci se si poteva discettare sulla preparazione dei cibi. Quello era argomento per chi disponeva di grandi risorse.

Una cucina accessibile a tutti

L’Artusi smentì questa diceria e dimostrò che ragionevolmente quella tematica poteva interessare anche la brava massaia. Lo fece in nome dell’“igiene”, dell’“economia” e del “buon gusto”, i tre capisaldi che volle porre sulla copertina del suo libro, in quest’ordine rigoroso. E ad essi si attenne sempre con grande scrupolo.

Usò un linguaggio piano, chiaro, comprensibile e accessibile a tutti, sia pure con qualche sfumatura fiorentina, perché tutti potessero accostarsi alle sue ricette, dall’esperto cuoco partenopeo, alla semplice donna di casa bergamasca, fino all’impiegato statale romano.

E sotto questo punto di vista il manuale ha svolto anche un importante ruolo nel processo di unificazione linguistica del paese, che pur a 30 anni dalla sua nascita, lasciava ancora molto a desiderare e la percentuale di italiani in grado di conoscerne e parlarne la lingua ufficiale non andava oltre il 40–45% della popolazione. Non si era ai tempi dell’unità d’Italia, quando poco più del 20 % della popolazione era in grado di parlarne la lingua, ma la strada da percorrere per una effettiva padronanza della lingua era ancora lunga.

Certo l’Artusi non fu il Manzoni, e neanche Collodi o De Amicis, che con le loro fortunatissime opere contribuirono ben più di lui al medesimo fine; ma dopo loro, se si guarda alla straordinaria diffusione che ebbe il suo libro, si colloca sicuramente questo strepitoso ricettario.

Tuttavia quando il libro uscì parve a molti un’anomalia, una stranezza, un colpo di testa. Sembrava che il geniale autore, che sino ad allora aveva sempre dato prova di averla, la testa, ben piantata sulle spalle, si fosse lasciato attrarre da un qualche ghiribizzo, tanto che non trovò nemmeno un editore disposto a pubblicarglielo il suo libro. E se volle che l’opera uscisse dovette stamparsela da solo.

La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene

Il libro, La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene, uscì nel 1891 senza nessun clamore, e edizione dopo edizione è diventato quel long seller strepitoso che ancora oggi viene ristampato a 130 anni dalla sua uscita.

Eppure, si diceva, non gli fu possibile pubblicare il libro, nonostante si fosse a Firenze, che di editori, anche accorti, certo non mancava. Ma non trovò nessuno che volesse rischiare il proprio capitale per delle ricette di cucina. Ed allora l’Artusi, consigliato dagli amici con i quali si vedeva spesso nel suo villino in piazza D’Azeglio a Firenze, e che verificavano di persona la bontà dei suoi piatti, amici che rispondevano al nome di Paolo Mantegazza, Yorick, Jarro, e Olindo Guerrini, sopra tutti, si rivolse a uno stampatore, tale Salvatore Landi.

Pubblicò la prima edizione di mille copie del suo ricettario per proprio conto, ne pagò le spese, ne curò le vendite di persona o per corrispondenza, e, ovviamente, ne intascò anche i proventi, che si rivelarono via via sempre più alti, in proporzione al favore sempre maggiore che l’opera incontrava.

Un vero e proprio long seller

L’edizione di Giunti del 1970 toccava lo straordinario numero della novantesima edizione. Forse le copie vendute potrebbero toccare il milione e mezzo.

Uscito nel 1891, allorché il suo autore aveva da poco superato i settanta anni, in un ventennio si calcola che ne siano state vendute trecentomila copie.

L’autore-editore dell’opera ne curò personalmente quindici edizioni, quasi una l’anno, arricchendole ogni volta di ulteriori ricette, tanto che queste piano piano crescevano di numero edizione dopo edizione. In seguito il libro fu stampato da molti altri editori, fra i quali Salani, Garzanti, Einaudi, De Agostini, Vallardi, Saggiatore, Polistampa, Giunti.

Solo quest’ultimo nel 1970 ne poneva in vendita la novantaseiesima ristampa, per un totale di oltre settecentotrentamila copie. Difficile quantificare oggi il numero complessivo delle copie vendute, ma siamo sicuramente ben al di là del milione e mezzo, due milioni di copie e forse anche di più.

Lo aiutarono due servitori, ai quali alla sua morte, avvenuta nel 1911 a 91 anni di età, lasciò in eredità i diritti d’autore del libro, in quanto avevano dato un contributo davvero notevole alla realizzazione dell’opera. Erano un anziano cuoco di Forlimpopoli, che si era ritirato dalla professione e si era messo al servizio dell’Artusi, e una massaia.

Loro acquistavano “gli ingredienti” al mercato di San Lorenzo, poco distante da dove risiedeva l’Artusi, e collaboravano con lui nella preparazione dei piatti, “provati e riprovati più volte da me medesimo”, scriverà nella prefazione del libro.

La vita

Pellegrino Artusi proveniva da una famiglia di solidi commercianti di Forlimpopoli, dove era nato nel 1820. Il padre aveva un’avviata drogheria, ma aveva allargato il giro d’affari ad altri comparti, anche perché di figli ne aveva ben dodici.

Pellegrino inizialmente aveva deciso di dedicarsi alle belle lettere, si era infatti laureato in lettere a Bologna e in seguito avrebbe addirittura composto una vita del Foscolo e uno studio sul Giusti.

E nella condizione di agiato giovane che si muoveva tra lettere e commerci redditizi trascorse un periodo piacevole e sereno fino ai trent’anni. Poi un evento traumatico gli cambiò completamente la vita.

Nel 1851, il bandito Stefano Pelloni, il celeberrimo brigante noto come “Il passatore”, fece irruzione con la sua banda di accoliti a Forlimpopoli, nel teatro cittadino, mentre si stava rappresentando una commedia. Dopo aver immobilizzato le guardie papaline, la cittadina faceva infatti parte dello stato pontificio, la banda di briganti derubò i presenti al teatro, poi, preso possesso del paese, saccheggiò e rapinò dei suoi averi i più ricchi abitanti, fra i quali anche la famiglia dell’Artusi.

Una sorella di Pellegrino fu addirittura sottoposta a violenza, e ne subì uno choc tale che impazzì, diventò muta e da allora non riuscì più a riprendersi dal trauma subito, tanto da finire i suoi giorni in manicomio.

Il cambio di residenza dopo il trauma della sorella

L’Artusi decise allora di lasciare la cittadina romagnola e si trasferì con la famiglia di origine a Firenze, prima in via Calzaiuoli, proprio all’angolo con piazza della Signoria, poi in via Cerretani, a due passi dal quartiere di San Lorenzo, che anche allora pullulava di trattorie, nelle quali si cucinava secondo la vera tradizione fiorentina.

Viveva della rendita dei poderi che il padre gli aveva lasciato, ma anche di attività commerciali nel settore della seta e finanziarie; aveva infatti fondato un banco di sconto che gli garantiva sicuri guadagni. Il suo patrimonio era cospicuo, non si era formata una famiglia sua, anche se frequentava il bel mondo e non disdegnava la compagnia femminile; si dice fosse anche un valente ballerino, secondo la tradizione romagnola.

Il celebre manuale

Nel 1870, intorno ai 50 anni, l’Artusi si ritirò dagli affari, si ztrasferì in una palazzina al giardino D’Azeglio, sempre dalle parti del centro cittadino, dove una targa ne ricorda ancora oggi la residenza, e si dedicò alla sua passione segreta: la cucina. Per anni creò, provò, sperimentò le ricette con l’aiuto del vecchio cuoco. Ne controllò ingredienti, cottura, sapori, resa. Studiò la maniera migliore per rendere la cucina appetitosa, ma anche oculata, senza sprechi, proprio come avrebbe fatto un attento gestore dei suoi beni. E soprattutto ne curò l’igiene.

Da questa lunga attività nasceva “il manuale” per eccellenza che ha insegnato a tutta Italia i segreti di una alimentazione sana, saporita, equilibrata, economica, nella quale le varie cucine regionali e locali del paese trovano un accorto dosaggio, nobilitando al massimo quel momento di aggregazione familiare che è lo stare a tavola. Sono indicazioni preziose e ancor oggi più attuali che mai.

Nella premessa al libro l’Artusi proclama che l’obbiettivo di fondo che si pone nel licenziare le sue ricette è quello di contribuire a una vita sana, fatta di aria aperta, movimento e buona cucina. Per quest’ultima occorrono solo ingredienti di prima qualità e tanta buona volontà. Il risultato non potrà che essere …vera arte.

Cosa può essere più attuale di queste semplici parole anche ai nostri tempi?

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