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Pedrocchi (Polimi): “Sul clima tanti tabù da sfatare”

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“Il riscaldamento globale è certo, ma non dipende solo dall’uomo e non mette in pericolo la sua sopravvivenza”. In questi giorni di grande caldo (anche se finora i dati sembrano indicare – almeno in Italia – un’estate meno torrida rispetto ai picchi degli ultimi anni) FIRSTonline ha interpellato un esperto controcorrente e autorevole come Ernesto Pedrocchi, Professore Emerito di Energetica al Politecnico di Milano e che nel 2019 ha pubblicato un volume dal titolo “Il clima globale cambia. Quanta colpa ha l’uomo?”. La risposta, stando ai dati e alle elaborazioni addotte dal docente, va in una direzione che può sembrare negazionista ma che in realtà guarda al fenomeno in maniera più ampia. Gettando però ombre sul futuro e sulla soluzione del problema: “La temperatura media globale continuerà a variare secondo natura e l’uomo può farci ben poco”.

Professore, partiamo dalla base: si può confermare che il riscaldamento globale esiste per davvero ed è un problema serio per la sopravvivenza della specie umana? 

“Il riscaldamento globale è certo. Su tutto il globo terrestre il valore medio di aumento della temperatura globale media (Tgm) dal 1850 è di circa 1°C. L’emisfero nord si è scaldato di più di quello sud, in particolare si è più scaldata la zona artica. Certamente però non è un problema per l’uomo, che è vissuto in climi più caldi, ad esempio nel periodo della civiltà romana e circa 1.000 anni fa, quando ci fu il periodo caldo medioevale testimoniato da infiniti riscontri”.

Però nella zona artica il ghiaccio si sta sciogliendo a vista d’occhio. Non è questo un problema?

“E’ vero che sta accadendo ed è coerente con l’aumento della temperatura globale, ma in passato, con l’uomo già in vita sul pianeta, i ghiacciai si sono ritratti molto di più. Ad esempio sulle Alpi mille anni fa i ghiacciai occupavano una superficie ben inferiore a quella di adesso, ed è documentato. Ricordo infine che il 90% del ghiaccio sulla Terra si trova in Antartide, che è pressoché intatto”.

Quanta parte del fenomeno del riscaldamento globale è realmente, secondo le sue considerazioni, attribuibile all’uomo e alle sue attività?

“A mio parere il cambiamento del clima globale in corso è prevalentemente dovuto a fattori naturali e solo in piccola parte ad attività umane. A livello locale, nelle zone fortemente antropizzate, c’è invece un segno importante delle attività antropiche, ma si tratta di meno del 3% della superficie del pianeta, se si pensa che il 71% è acqua e del restante 29% buona parte è occupata da deserti, zone glaciali, foreste e tundre disabitate”.

Spesso si confonde tra fattori climalteranti e fattori inquinanti. Ci può spiegare precisamente quali sono le attività che incidono di più sul cambiamento climatico, distinguendole da quelle che generano inquinamento atmosferico? 

“E’ questo un grave equivoco. L’uso dei combustibili fossili, imputati principali, comporta emissioni in atmosfera di H2O e CO2, che sono reflui fisiologici della combustione ed entrambi gas serra potenzialmente climalteranti. Ma i combustibili fossili possono emettere anche inquinanti quali ossidi di zolfo, ossidi di azoto, incombusti e particolato per impurezze presenti nei combustibili e per la modalità di combustione. Gli inquinanti sono nocivi per la salute dell’uomo e hanno un effetto essenzialmente sul clima locale, e bisogna fare ogni sforzo per ridurli il più possibile. Le migliori tecnologie attuali lo permettono, seppur aumentando il costo dell’energia prodotta. H2O e COinvece non sono inquinanti, ma come gas serra potrebbero contribuire al cambiamento climatico. Il vapor d’acqua prodotto dai combustibili fossili è del tutto irrilevante rispetto al contributo proveniente da evaporazione dai mari, laghi e terreni umidi. La CO2 proveniente dai combustibili fossili costituisce ora circa il 5% di tutte le immissioni di questo gas in atmosfera”.

La concentrazione di CO2 è però molto aumentata in epoca recente.

“La concentrazione di COin atmosfera ha iniziato a crescere dall’inizio del 1700, ben prima che ci fossero significative emissioni antropiche e da allora è sempre cresciuta da circa 280 a 415 ppm. Reputo che cresca prevalentemente per cause naturali quali il concomitante riscaldamento degli oceani. Inoltre, dall’uscita dell’ultima glaciazione ad ora non c’è evidenza di un effetto della variazione di concentrazione di CO2 sulla Tgm. E’ più spesso evidente il legame opposto: le variazioni di temperatura precedono quelle della concentrazione di CO2. L’anidride carbonica è elemento base per la produzione di carboidrati essenziali per ogni forma di vita sulla terra. Ci sono stati nella storia della Terra periodi con concentrazione di COnettamente superiori ai valori attuali”.

Quest’anno il lockdown globale ha fatto sì che in primavera le emissioni di CO2, secondo Nature, si siano ridotte del 9% (anche se in proiezione sull’intero anno, con la ripresa delle attività dall’estate in poi, la diminuzione sarà molto minore). Secondo lei un calo del genere sarebbe sufficiente, qualora confermato, per raggiungere gli obiettivi degli accordi di Parigi? 

“Il calo delle emissioni antropiche per il lockdown è del tutto irrilevante rispetto alle immissioni totali di COin atmosfera. L’accordo di Parigi si è formalizzato in un contenimento dell’aumento della Tgm entro 1,5/2,0°C che reputo, in base a quanto detto prima, non essere un obiettivo alla portata dell’uomo”.

Quest’anno, in Italia, stiamo avendo un’estate molto calda nelle ultime settimane, dopo una prima fase più mite e piovosa soprattutto al Nord, rispetto al solito. Come valuta questo andamento?

“Il clima dell’Italia è un dato locale non significativo, l’unico parametro significativo è quello della Tgm, la temperatura globale media, e i dati disponibili fino al mese di luglio ci dicono che questa estate è stata meno calda rispetto ai picchi raggiunti nel 2016 (l’anno più caldo dal 1850) e nel 2019”.

E’ possibile che un’estate inizialmente meno torrida sia stata un effetto diretto del lockdown, o è solo un caso? 

“E’ solo un caso”.

Quando si parla di global warming si fa riferimento a un periodo che va dalla metà dell’Ottocento in poi, da quando si è in grado di misurarlo con più precisione. Ma ha senso secondo lei parlare di “norma” o la storia climatica del pianeta ci dice altro? 

“Non c’è un clima di “norma”. La Terra è passata da periodi nettamente più caldi senza che sul pianeta ci fosse ghiaccio a periodi in cui era una palla di ghiaccio. L’uomo c’è da relativamente poco sulla Terra ed è sopravvissuto ad una glaciazione, un periodo di gran lunga più anomalo rispetto ad ora”.

Ma come viene misurato, oggi, il caldo? E quanto incide l’effetto “isola di calore” nelle grandi città?

“Come dicevo, il parametro di gran lunga più importante per caratterizzare il clima globale è la Tgm che ingloba la copertura niveo-glaciale e il livello del mare. Ovviamente, ma erroneamente, l’uomo è portato a valutare il clima globale con il clima che sente lui. E’ indubbio che le aree fortemente antropizzate, ovvero le grandi città, sono certamente isole di calore che possono raggiungere temperature di qualche °C superiori alle aree limitrofe non antropizzate”.

Se dovesse dirne solo una, quale sarebbe la prima attività climalterante che eliminerebbe o ridurrebbe drasticamente?

“Ridurre il più possibile la produzione di inquinanti nell’uso dei combustibili fossili. I combustibili fossili coprono ora circa l’80% del fabbisogno energetico mondiale, è impensabile rinunciare al loro uso. Si dice che al 2050 non si useranno più, ma supposto conservativamente che il fabbisogno energetico allora sia eguale all’attuale, la sostituzione ad esempio con l’energia eolica richiederebbe la messa in funzione da ora ad allora di 6.000 grosse pale eoliche ogni giorno”.  

Insomma pare di capire che secondo lei non abbiamo molte chance di contenere le emissioni di CO2 e l’aumento della temperatura atmosferica come prefissato dagli accordi internazionali.

“Le emissioni di COconseguenti l’uso dei combustibili fossili dipenderanno solo dalla loro disponibilità, la Tgm varierà secondo natura e l’uomo può farci ben poco”.

Alcuni dei dati citati in questa intervista sono pubblicamente consultabili sul sito climate4you.

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