“Berlusconi presidente? Solo del Pdl“. Roberto Maroni non ha dubbi, ma la situazione non è affatto chiara e nel centrodestra montano le polemiche sul nome da proporre per Palazzo Chigi. A riaccendere la miccia è stata la presentazione del simbolo elettorale pidiellino, su cui campeggia come nel 2008 la dicitura “Berlusconi presidente”. Un’ambiguità che, nonostante le rassicurazioni del segretario, genera malcontento soprattutto nella base leghista.
La condizione fondamentale alla base della ritrovata alleanza fra i due partiti era proprio che il Cavaliere rinunciasse a correre ancora una volta per la poltrona da Premier. Berlusconi aveva sbloccato la situazione dicendosi disponibile, in caso di vittoria, ad occupare la poltrona di ministro dell’Economia. Maroni, da parte sua, aveva indicato in Giulio Tremonti il candidato premier favorito dalla Lega. Il segretario del Carroccio ha tolto così il proprio nome dal simbolo per le politiche e ha annunciato che non correrà alle consultazioni nazionali, ma solo in Lombardia.
Con un occhio ai sondaggi – che li vedono ancora in svantaggio -, i due partiti arriveranno quindi alle urne senza proporre un nome unico per la presidenza del Consiglio. Una scelta coerente con la legge elettorale (l’incarico di premier è conferito dal Presidente della Repubblica dopo le consultazioni), ma contraria alla consuetudine che si è affermata nel corso delle ultime legislature.
Berlusconi vuole evitare a tutti i costi di esasperare i contrasti nella coalizione sulla questione della leadership e nella sua ultima apparizione televisiva ha ribadito ancora una volta la nuova linea: “Il candidato presidente del Consiglio sarà scelto poi, ma io non ho alcuna intenzione di fare il premier per la sesta volta. Preferisco di gran lunga fare il ministro il ministro dell’Economia e dello Sviluppo”.
Intanto, l’equilibrismo pidiellino è messo a dura prova dagli avversari Democratici. Nei giorni scorsi il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, aveva chiarito di non essere disposto allo scontro televisivo con Berlusconi: ”Io il confronto Tv lo faccio solo con i candidati a Palazzo Chigi”. I pidiellini sono “gli unici a non avere un candidato premier”, ha aggiunto il vice segretario, Enrico Letta.
Ad alimentare le polemiche nelle file della destra c’è anche la questione dei cosiddetti “impresentabili“. Meno di due mesi fa il segretario del Pdl, Angelino Alfano, aveva garantito che non si sarebbe candidato alle primarie del partito se si fossero presentate anche persone sotto inchiesta da parte della magistratura. Le primarie poi sono saltate, in compenso gli indagati sono tornati a popolare le ultime liste elettorali del Pdl.
In prima fila a Napoli Nicola Cosentino (imputato in due processi per concorso in associazione camorristica, corruzione e reimpiego di capitali illeciti aggravati dalla finalità mafiosa e destinatario di due ordinanze di custodia in carcere non autorizzate dal Parlamento), Marco Milanese (anche lui indagato per corruzione), Luigi Cesaro (indagato per violazione della normativa bancaria in una delle indagini su Cosentino, anche se la Procura ha stralciato la sua posizione e potrebbe chiederne l’archiviazione). E bussa ancora alla porta Marcello Dell’Utri.