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Pd, Franceschini come Bersani: apre ai Cinque Stelle e incassa solo fischi

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Dario Franceschini ha fatto l’umiliante fine di Pierluigi Bersani all’inizio della scorsa legislatura. Bersani volle aprire un dialogo in streaming con i Cinque Stelle, ma rimediò solo una figuraccia stellare. Ora la storia si ripete con l’ex ministro ed ex segretario del Pd, Dario Franceschini che, in un’intervista pubblicata ieri dal Corriere della sera, ha acriticamente spalancato le porte ai Cinque Stelle, sostenendo che sono diversi dalla Lega e che “insieme possiamo difendere certi valori”.

Dopo solo poche ore lo stesso leader dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio, gli ha sbattuto fragorosamente la porta in faccia sostenendo non senza jattanza che i grillini sono “orgogliosamente diversi dal Pd e non vogliano aver niente a che fare con loro”. Chiaro? Chiarissimo.

Quali fossero poi i valori comuni tra un partito politico come il Pd che è organizzato democraticamente e un partito come M5S che è invece posseduto da una Spa privata come quella di Davide Casaleggio e che ad essa risponde, solo la fantasia di Franceschini può immaginarlo. E che cosa c’entri poi un partito come il Pd, che è erede di forze che hanno scritto la Costituzione, con i Cinque Stelle, che manifestano palese fastidio verso la democrazia rappresentativa, resta un mistero.

Stupisce che un politico navigato come Franceschini non concepisca come qualunque alleanza politica, se non vuol essere solo un gioco di potere, debba basarsi su una almeno parziale identità di vedute e su una trasparente comunanza di contenuti. Ma nel caso di Pd e Cinque Stelle quali sarebbero i comuni programmi? L’odio per le riforme del governo Renzi che anche Franceschini ha votato quando era in maggioranza con il leader fiorentino? Sarebbe meschino se fosse così, ma è francamente difficile seguire le confuse e gratuite aperture di credito dell’ex ministro ai grillini che l’hanno mortificato subito come fecero con Bersani.

Ovviamente per il Pd è importante dialogare con altre forze politiche – e dunque anche con i Cinque Stelle – per allargare e far esplodere le contraddizioni dell’attuale maggioranza, ma un conto è il confronto politico e parlamentare e tutt’altro conto è ipotizzare suicide alleanze di governo. Ma – obietta Franceschini – “senza ricostruire il campo del centrosinistra e la ricerca di potenziali alleati, difficilmente il Pd con il proporzionale può arrivare al 51%”. Giusto, ma c’è un punto cruciale che non tollera ambiguità ed è questo: prima si definisce che cosa si vuole (i contenuti) e poi si cercano gli alleati o il contrario? Se non si chiarisce questo punto, si possono solo fare discussioni da bar sport.

È illusorio cercare scorciatoie: anche in politica la confusione e il pressapochismo finiscono per avere il fiato corto e rischiano solo – come testimoniano gli schiaffi di Di Maio a Franceschini – di produrre sconfitte umilianti. Prima dirà che cosa vuol realmente fare dell’Italia e prima il Pd potrà definire la sua identità e potrà trovare nuovi consensi elettorali e – solo dopo – cercare da posizioni di forza nuove alleanze. Scegliere il timing giusto è decisivo.

Naturalmente nessuno pensa che Franceschini sia uno sprovveduto e se ha deciso di buttare adesso il sasso nello stagno qualche ragione ci sarà. Magari quella di offrire al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con cui l’ex ministro dem ha da sempre un ottimo feeling, nuovi elementi di riflessione in vista di una possibile crisi di governo e in funzione di un eventuale incarico a Giuseppe Conte di formare un governo – numeri permettendo – con il sostegno di M5S e Pd. Ma, dal punto di vista di una valutazione politica generale e al di là dell’effetto Conte, se non è zuppa è pan bagnato.

Se non vuole menar il can per l’aia e vuole davvero costruire l’alternativa democratica al sovranismo, è ora che il Pd impugni – nei fatti e non solo a parole – la bandiera del moderno riformismo sociale e dia battaglia su questo terreno. Il resto sono solo diversivi o pie illusioni.

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  • Egr. sig. Locatelli,
    la sua analisi del recente pensiero di Dario Franceschini avrà anche rilevanza morale, ma seguendo le sue idee, che però sembrano essere maggioritarie, ci si incammina in un vicolo senza sbocchi.
    La storia ci dice che nel 1919 i veti dell'ala massimalista del PSI alla formazione di un governo proposto da Filippo Turati portarono il re a consentire la marcia su Roma e all'andata al potere di Mussolini; nel 1933 in condizioni simili in Germania andò al potere Hitler. Non siamo ancora a questo punto, ma il non cercare di costruire accordi per superare l'attuale governo ci prterà inevitabilmente ad un governo Salvini-Meloni. Se è questo che si vuole: avanti!