In politica è più importante definire gli obiettivi da raggiungere e poi cercare le alleanze per realizzarli o il contrario? Prima i contenuti o prima gli schieramenti? E dunque: avanti da soli o insieme a una coalizione? Ridotto all’osso sembra questo il bivio di fronte al quale si trova il Pd dopo la sconfitta nei ballottaggi di domenica per l’elezione del sindaco in molti importanti Comuni d’Italia. Ma è una pista falsa. Nessun confronto serio sul futuro del Pd e del centrosinistra può essere così maldestro da partire dalla coda, come se decidere se scendere in capo da soli o in compagnia alle prossime elezioni politiche fosse più importante di stabilire dove si vuole andare e per fare che cosa.
Prima di scegliere la politica delle mani libere di Matteo Renzi o quella delle alleanze preventive (cioè prima e non dopo il voto) invocata dalla minoranza del Pd ma anche dagli scissionisti di Bersani e D’Alema e soprattutto da Giuliano Pisapia, sarebbe forse più saggio chiarire quale sia il fine ultimo della indipendenza o della alleanze e cioè quale idea si ha del futuro dell’Italia e dell’Europa e quali strumenti (a partire dalle legge elettorale) possono renderla possibile non in uno scenario politico ideale ma nell’attuale Parlamento, che è l’unico che può approvare o bocciare nuove leggi elettorali. A meno che la discussione in corso non sia a carte truccate e nasconda ben altri retropensieri come quello di defenestrare Renzi a prescindere dal suo successo alle primarie del Pd o quello, al contrario, di prenotare il ritorno di Renzi a Palazzo Chigi, costi quel che costi.
Dunque: per quale idea di Italia Renzi candida il Pd alla guida del Paese, sapendo fin da ora che non raggiungerà il 51% da solo e che prima o dopo il voto dovrà cercare alleanze e fare ragionevoli compromessi – che non sono un delitto ma il sale della politica – e quali progetti di Italia hanno invece i Pisapia o i Bersani o gli Orlando?
Qualcuno potrebbe facilmente obiettare che è discriminante pretendere chiarezza sul progetto politico per cui ci si candida alla guida del Paese solo dal Pd e dal centrosinistra e non anche dal Movimento 5 Stelle o dal centrodestra, ma se il focus è sul Pd e sui litigiosi vicini di casa qualche ragione c’è. La prima è che, nella maggior parte dei casi, gli elettori che votano i Cinque Stelle esprimono un voto di protesta e non sono più di tanto interessati a sapere che faranno i grillini nel caso in cui dovessero andare al Governo. La seconda ragione è che chiedere chiarezza al centrodestra sarebbe una fatica di Sisifo, sia perché Forza Italia e Lega restano divisi sulle questioni strategiche che solo l’opportunismo elettorale potrebbe nascondere, sia perché il centrodestra preferisce non scoprirsi troppo e giocare di rimessa.
Oggi perciò il punto nevralgico del futuro del sistema politico e dell’Italia, pur nel rispetto delle formazioni minori che popolano il centro, si attesta nel Pd e nel centrosinistra che devono decidersi a mettere in campo progetti (non un programma che non può che essere flessibile, come ha ben spiegato Emmanuel Macron nel suo saggio “Rivoluzione”), il cui spartiacque è fin da ora ben chiaro e va oltre le pur lodevoli, anche se talvolta pasticciate, riforme renziane o la loro ripulsa caldeggiata dai bersaniani, che pure le hanno votate in Parlamento. Una profonda trasformazione dell’Italia o la conservazione dello status quo? Più crescita ma con più competitività, più produttività, più meritocrazia, più protezione e più giustizia sociale ma senza assistenzialismo o la difesa delle rendite di posizione, dei monopoli e dei privilegi pubblici e privati che condannano l’economia italiana alla stagnazione e le nuove generazioni a un futuro peggiore del presente? Questo è il punto e “Il campo inclinato”, l’ultimo libro di Romano Prodi, può offrire al riguardo spunti interessanti.
Sulle grandi opzioni del futuro non c’è spazio per le furbizie semantiche: di qua o di là. Solo dopo ha senso chiedersi come raggiungere o almeno avvicinarsi a un nuovo progetto di Italia e domandarsi se oggi un sistema di alleanze possa davvero aiutare a vincere le elezioni ma soprattutto a governare senza replicare gli scandalosi harakiri che portarono in passato agli autogol dell’Ulivo.
La discussione è aperta ma non può eludere il secondo nodo sul tappeto: per realizzare un progetto di grande trasformazione qual è la legge elettorale più adatta ma soprattutto qual è quella possibile in questo Parlamento? Se tutti preferiscono il proporzionale per coltivare il proprio orticello, sarà meglio non farsi troppe illusioni di cambiamento. Se invece si preferisce il sistema maggioritario, qualcuno dovrà convincere Berlusconi e Beppe Grillo. Buona fortuna.