La riforma del Patto di stabilità e crescita avanzata da Bruxelles offre al nostro paese la opportunità di impostare una politica economica pluriennale basata sulle riforme e gli investimenti in modo da dare una spinta alla crescita facendola uscire dal misero zero virgola del ventennio passato, e per questa via rispettare i parametri europei di contenimento del deficit entro il 3% e della graduale riduzione del rapporto debito/PIL.
La riforma del Patto di Stabilità non deve spaventare: ecco perché
“Il commissario Gentiloni – afferma Stefano Micossi, economista e ex direttore generale di Assonime – è riuscito a mettere insieme le preferenze dei vari paesi, quelli del Nord fautori di regole più rigide, e quelli del Sud che hanno bisogno di organizzarsi per poter rispettare le regole evitando politiche restrittive”.
L’allarme che si è letto su vari giornali sulla “stangata” che sta per arrivare da Bruxelles di 8-15 miliardi all’anno in realtà non ha fondamento. Già oggi il Def presentato dal Governo (e per il momento bocciato dalla Camera per disattenzione della maggioranza) prevede proprio una riduzione del nostro deficit di oltre mezzo punto all’anno tanto che nel 2025 dovremmo essere al 2,5%. Per il debito pure si prevede una piccola riduzione, in linea con quanto stabiliscono le nuove regole di Bruxelles. Nell’immediato quindi il nostro governo non dovrebbe avere eccessivi timori. Certo non si devono fare nuovi tagli, ma non ci saranno soldi per soddisfare le promesse elettorali dei partiti di governo sulle pensioni, sulle tasse, sugli stipendi pubblici o in generale per continuare la politica dei bonus volti a calmierare il caro vita. E del resto queste promesse elettorali erano nella maggior parte dei casi scritte sulla sabbia.
Le nuove regole di Bruxelles: serve un piano credibile, dice Micossi
Più in generale quello che conterà non è tanto la politica dei prossimi mesi, ma la capacità di mettere in piedi un piano “credibile” per stimolare la crescita da un lato, contenendo le spese pubbliche dall’altro.
“Bruxelles – dice Micossi – ci offre tempo per riflettere senza imporre drastici vincoli nel breve termine ma vincolandoci a proporre un piano “credibile” per contenere la traiettoria del debito. Tale piano non esautora i governi nazionali in quanto spetterà a loro proporlo e andarlo a trattare con la Commissione. Il vincolo sta nel fatto che poi bisogna rispettare gli impegni presi. E questo non solo per evitare le procedure di disavanzo eccessivo da parte delle autorità della UE, ma per evitare le sanzioni dei mercati che, se venisse meno la fiducia sulla capacità del governo italiano di portare avanti i suoi impegni, potrebbero prontamente penalizzare i nostri titoli del debito pubblico che già oggi soffrono di uno spread particolarmente elevato”.
La Lega non ha imparato dall’esperienza del 2011
In questo senso potrebbe tornare l’incubo del 2011 quando Berlusconi fu costretto a dimettersi perché la Lega gli impedì di tenere fede agli impegni che lui stesso aveva preso circa la riforma delle pensioni e della finanza locale. Ma la Lega non sembra aver imparato molto dai propri errori tanto che ancora oggi molti suoi esponenti stanno dichiarando ai quattro venti che non riusciremo a spendere i soldi del Recovery e quindi meglio sarebbe prenderne atto e rinunciare a parte di quei soldi. Non capiscono che gli investitori internazionali continuano a comprare i nostri titoli del Tesoro perché pensano che l’Italia avrà una crescita vicina a quella dei due anni passati e che quindi il debito si ridurrà automaticamente. Ma questa crescita si basa essenzialmente sugli investimenti finanziati dall’Europa i quali peraltro dovrebbero portare un rilevante aumento della nostra competitività. Andare a dire che non siamo in grado di fare quegli investimenti, sta suscitando nuovi timori sui mercati. Un bel risultato di Salvini e soci!
La riforma del Patto: la riduzione di debito e deficit sarà graduale
Come hanno sottolineato Dombrovskis e Gentiloni le proposte della Commissione mirano ad una riduzione graduale del deficit e del debito evitando una drastica austerità come quella sperimentata dalla Grecia nel decennio scorso, ma imponendo ai governi la scelta di politiche capaci di stimolare la crescita evitando di puntare solo sulle spese correnti, come peraltro hanno fatto tutti i governi italiani degli ultimi vent’anni. Infatti la strada per ridurre il deficit , e quindi il debito, dovrebbe passare non da politiche di austerità ma dalla crescita del PIL nominale (cioè comprensivo dell’inflazione) che se si collocasse intorno al 4-5% determinerebbe una graduale ed automatica riduzione del debito tanto più forte quanto minori saranno i tassi d’interesse.
L’Italia si trova in una situazione economica relativamente buona. La fiducia di imprenditori e consumatori rimane abbastanza elevata. Spetta al Governo consolidare questa fiducia indicando una traiettoria credibile di finanza pubblica e accelerando su quelle riforme (a cominciare dalla concorrenza) che possono contribuire a contenere i prezzi e accelerare la sviluppo. Soprattutto occorre troncare le ambigue dichiarazioni di molti ministri sui temi più vari, dalla transizione ecologica al mercato del lavoro, dalla finanza pubblica all’assetto istituzionale basato su un regionalismo che sfascerebbe definitivamente il Paese. Tutte queste dichiarazioni non fanno che aumentare l’incertezza in un momento in cui, specie sul versante internazionale, non mancano certo i motivi di preoccupazione. Per vincere le paure l’unica strada è quella di fare e spiegare bene quello che si è deciso.