Secondo un recente focus SACE, le esportazioni italiane di prodotti alimentari continuano a crescere, raggiungendo i 21 miliardi di euro nel 2015. E, accanto alla vendita dei prodotti alimentari, ci sono i macchinari per la trasformazione. Soltanto l’anno scorso l’Italia ha esportato macchinari per oltre 3 mld, a fronte di una crescita del 6,3% che molto si avvicina al tasso con cui sono cresciuti gli alimentari che con questi si producono (+6,8%). Si tratta di macchinari specifici e con un uso piuttosto circoscritto, che rappresentano una quota modesta del totale della meccanica strumentale italiana nel mondo (circa il 4%). In questo contesto, i macchinari per la trasformazione alimentare sono stati tra quelli con una crescita più sostenuta, più che doppia rispetto al totale della meccanica strumentale nell’ultimo anno (+2,7%).
Dei 21 mld di beni alimentari esportati nel 2015, la metà ha riguardato solamente tre prodotti: pasta, vino e formaggi, i cui comparti hanno registrato una performance superiore a quella dei concorrenti francesi e tedeschi. Tutt’altra storia per gli USA, in cui le vendite dei competitor sono cresciute a ritmi elevati guadagnando fette di mercato, anche se i valori esportati continuano a essere ridotti. Un caso particolare riguarda la pasta, in cui l’Italia continua a essere il primo produttore ed esportatore mondiale, mantenendo a distanza Cina, Turchia, Thailandia e USA. Allo stesso tempo, le esportazioni italiane di macchine per la produzione di formaggi, pasta e vino risultano essere più solide rispetto ai concorrenti tedeschi e francesi. Se negli ultimi anni i trend di crescita degli alimentari e relativi macchinari hanno seguito andamenti diversi, è tuttavia importante rilevare come, in un’ottica sistemica, l’andamento all’estero degli uni può segnalare opportunità di sviluppo per gli altri e viceversa.
A detta degli analisti, lo sviluppo nei mercati di sbocco dei prodotti alimentari Made in Italy non passa solo attraverso una maggiore promozione dei prodotti stessi, tramite canali distributivi tradizionali e non, e perseguendo strategie produttive, commerciali e distributive adattive alle specificità dei mercati di sbocco: potrebbe anche essere valorizzato proprio attraverso il traino del comparto macchinari. Una maggiore possibilità di esportare le macchine per la lavorazione del prodotto alimentare può infatti segnalare una maggiore domanda del prodotto sul mercato estero e quindi un canale di sviluppo per il settore alimentare italiano e un ampliamento del mercato nel suo complesso. Focalizzandosi solamente su tre prodotti, formaggio, pasta e vino, e su quattro geografie di destinazione sarebbe possibile, secondo SACE, incrementare l’attuale export di oltre 400 mln entro il 2019. Al contempo, un mercato in cui sono storicamente richiesti macchinari italiani destinati al ciclo produttivo della pasta, del vino e dei formaggi sono anche mercati da presidiare, trovandovi una clientela a valle già interessata a un certo gusto e a una determinata cucina.
Ecco allora che, appare chiaro come in un approccio di filiera la possibilità di fare sistema tra diversi comparti produttivi apre nuove possibilità nell’identificazione delle geografie di opportunità e nuove strade nell’espansione nei mercati esteri. L’ampliamento del mercato dei prodotti alimentari non deriva solo da un maggiore domanda dei beni stessi, ma puo’ arrivare anche dalla vendita dei macchinari specializzati in quella produzione, e viceversa. Analizzando l’andamento dell’export italiano negli ultimi anni in alcune delle geografie più promettenti come Cina, India, Messico e USA, c’è una chiara relazione tra prodotto venduto e macchinario necessario alla sua produzione per tutti e quattro i Paesi nel caso dei formaggi e, più in generale, per tutti i prodotti considerati esportati verso Cina e Messico. Tuttavia, storicamente appare difficile seguire un approccio di filiera sui mercati come India e USA: le ragioni sono diverse e risiedono, probabilmente, nel primo caso in un fattore culturale e a delle differenze di gusto, mentre nel secondo nel fenomeno dell’Italian sounding e nella concorrenza delle produzioni locali. Secondo le previsioni degli analisti, l’export aggiuntivo al 2019 nei sei comparti verso questi quattro mercati potrebbe superare i 400 milioni di euro, il che significa il 20% in più rispetto al 2015 (2078 milioni di euro), dove il maggior export potenziale viene trainato in particolare dal comparto del vino (215 mln) e geograficamente proprio dagli USA (330 mln).