Siede alla testa di uno dei colossi dell’agroalimentare italiano, Il gruppo Di Martino, pastai da tre generazioni: 118 milioni di Euro di fatturato consolidato al 2017 ( e in forte crescita per il 2018) 150.000 tonnellate annue di prodotto, 7 stabilimenti produttivi, 395 dipendenti, esportazioni in 50 paesi del mondo (terzo gruppo in Italia). Ogni giorno nei cinque continenti 10 milioni di persone mangiano la sua pasta. Non c’è che dire Giuseppe Di Martino, 48 anni, che porta con orgoglio il nome del nonno fondatore dell’azienda, può guardarsi indietro soddisfatto, anche se ama poco farlo. Non si parte infatti da 6 milioni di fatturato per arrivare a 118, mantenendo l’impostazione familiare dell’azienda, se non si impara a guardare molto ma molto in avanti per pianificare decisioni strategiche e conquiste di mercati internazionali dovendo reggere il confronto con le grandi aziende industriali del centro nord.
La curiosità, la voglia di imparare, di crescere, di sfidare e sfidarsi sono attitudini che Giuseppe Di Martino ha avuto sempre nel sangue, anche da bambino quando il nonno lo portava in giro per lo stabilimento al centro di Gragnano facendogli toccare, odorare la pasta, facendogliela mangiare cruda, portandolo nei locali di essiccazione, per tastare vari stadi di prosciugazione. E già pensava a come avrebbe potuto fare una pasta tutta sua una volta diventato grande. Le parole con cui il nonno gli spiegava la pasta lo affascinavano e quelle sensazioni sono rimaste indelebili facendogli esclamare a distanza di anni: ”I momenti più preziosi sono quelli in cui possiamo dedicarci a ciò che amiamo. Come un buon piatto di pasta, che, preparato nel rispetto di sapienti equilibri frutto della tradizione, è un’armonia delicata, che amplifica le sensazioni ed apre un po’ anche il cuore. Un piacere sottile come quello di una poesia, ma immediato e concreto”.
Passione e voglia di sfida non nascono però dal nulla. Giuseppe queste qualità le aveva ereditate dal nonno, l’uomo che aveva dato vita alla avventura industriale della famiglia, che in fatto di audacia e dedizione al lavoro non scherzava di certo. Un’avventura che per la famiglia Di Martino parte, a dire il vero, con un colpo di fortuna. Nel 1912 nonno Giuseppe, allora diciottenne lavoratore del pastificio gragnanese Cipolla Lauritano, fondato nel 1850, si mette in mostra con il proprietario per la sua determinazione, il suo impegno, il suo attaccamento al lavoro. Nell’azienda è entrato a lavorare da bambino all’età di dieci anni, ma sale presto tutti i gradini fino a diventare “capo d’arte della pasta corta” e poi “impastatore”, ovvero direttore generale del pastificio. Il proprietario dell’azienda, è anziano, ha tre figlie femmine. Mette gli occhi su di lui e gli fa una proposta. Il pastificio non deve morire, e le sue tre figlie sono inadatte a lavorare in un ambiente di lavoro duro come il pastificio. “Secondo il padre – spiega oggi Di Martino – non erano adeguate per poter lavorare dentro lo stabilimento dove c’erano più di 70 uomini quasi nudi perché dovevano lavorare in ambienti caldi e umidi dove si asciugava la pasta, entrare e uscire vestiti solo di un sacco di juta. A inizio secolo non era una cosa molto onorevole per una donna gestire un’azienda dove c’era un gran via vai di uomini discinti, per cui il proprietario garantì un prestito a mio nonno il quale compro l’azienda pagandola in 20 anni”.
E qui inizia l’incredibile avventura della famiglia Di Martino. Dopo soli tre anni il pastificio sotto la direzione del nonno Giuseppe è già avviato sui grandi numeri. Nel 1915 è la prima pasta italiana ad attraversare il canale di Panama per arrivare ai milioni di italiani che erano espatriati negli Stati Uniti e nelle Americhe fra la fine e l’inizio secolo. Alla morte di Giuseppe gli subentrano i figli Valerio e Gaetano. Nel frattempo la pasta di Gragnano si è fatta apprezzare in tutta Europa gli affari vanno a gonfie vele. Ma poi c’è una battuta d’arresto. Il Novecento è un secolo difficile per la città della pasta. Le due Guerre Mondiali hanno fatto entrare in crisi la produzione della pasta gragnanese che, nel dopoguerra, deve affrontare la concorrenza dei grandi pastifici del Nord Italia, industrializzati che disponevano di capitali maggiori. Il terremoto del 1980 aggravò poi la situazione e ridusse il numero di pastifici a sole 8 unità. I Di Martino tengono duro, la loro è una famiglia molto unita, solidale nelle scelte, radicata nel territorio e nel solco della tradizione, animata da una dedizione verace e da un’irrefrenabile passione, per il lavoro e per l’azienda di famiglia.
Nel ’95 si avvicina per Giuseppe l’età della chiamata alla leva. Come molti giovani dei quegli anni studia come evitarla: “E’ stato un momento chiave nella mia vita perché finita università con la laurea in economia e commercio non volevo fare il servizio militare perché lo trovavo una perdita di tempo. Venni a sapere che se si lavorava all’estero si poteva arrivare all’ età di 27 anni e far scattare il congedo per limite di età e così me ne andai in Inghilterra a lavorare per una società di trading di importazione e distribuzione di prodotti alimentari. Mi si aprì un orizzonte nuovo: tecniche commerciali di vendita, di negoziazione, di promozione, ma soprattutto, entrai mentalmente nella tipologia dell’azienda inglese, nel metodo anglosassone di fare affari, basato su fatti e numeri, su una capacità di sviluppare marketing interno al prodotto e soprattutto sul fatto che deve esserci una catena del valore intorno alla produzione”.
Una vera e propria rivoluzione per un’azienda condotta fino a quel momento secondo tradizioni familiari. Giuseppe torna in Italia pieno di idee nuove.
“Dopo il terremoto del 1980 avevamo fatto molti investimenti all’interno dell’azienda per rinnovare lo stabilimento ma i finanziamenti promessi dal governo sono arrivati dopo 25 anni, per cui l’azienda si era molto esposta. Al mio arrivo dall’Inghilterra fatturavamo 12 miliardi di lire di fatturato ma avevamo debiti per 15 miliardi. Ci voleva un colpo d’ala: rivoluzionai tutto dal punto di vista commerciale. Ebbi la fiducia di mio padre Valerio, di mio zio Gaetano, capirono che il mondo stava cambiando e che io avendo vissuto due anni in Inghilterra potevo portare qualcosa di nuovo. Sia chiaro non è facilissimo perché in aziende familiari lo spazio te lo devi conquistare. Cominciai a girare le Fiere di tutto il mondo, a studiare concorrenza, materie prime, forme di packaging, come cambiare l’approccio al mercato, ottimizzazione delle risorse, snellimento di procedure, comunicazione, e via di seguito”.
Giuseppe inizia a girare il mondo senza sosta per studiare il destinatario finale e i mercati, gli è capitato anche di dormire in condizioni di fortuna. “A volte andavo nell’ufficio di un mio importatore e chiedevo di poter rimanere a lavorare fino a tardi. In realtà era una scusa, rimanevo a dormire su una poltrona per risparmiare”. Ma i risultati di tutto questo lavoro non hanno tardato a manifestare i loro effetti. Dalla fine del ’97 l’azienda è in continua espansione. “Soprattutto grazie ai mercati esteri dove va il 70 per cento della nostra produzione. Come mi piace ripetere Gragnano è una provincia di Tokio perché per noi andare a Milano costa 2500 euro mentre andare a Tokio costa 800 dollari. Questa condizione ha sempre portato noi a guardare e cercare fuori dalla nostra nazione i nostri clienti.
La capacità produttiva dell’azienda a questi ritmi si satura ben presto. Nel 2006 dal momento che una quota della clientela non chiedeva espressamente Pasta di Gragnano, i Di Martino costruiscono a Pastorano a nord di Capua, uno stabilimento di grandissime dimensioni, oggi è uno dei più grandi e moderni pastifici d’Italia, completamente automatizzato, fa più di 5000 quintali di pasta al giorno. Tutti destinati all’esportazione.
Ma non bastava. Fra i fornitori del Gruppo di Martino c’era il Pastificio Antonio Amato , un passato glorioso, con esportazioni in tutto il mondo: in Europa, Giappone, Medio Oriente, America del Nord e del Sud, Australia e Nuova Zelanda”. Il Pastificio Amato entra in crisi, cassa integrazione, bilanci in tribunale e un groviglio di in chieste civili e penali. E’ una scommessa azzardata. Di Martino guarda lontano, si fa avanti per rilevare l’azienda. E alla fine del 2012 anche questa scommessa è vinta, Il Pastificio Amato entra a far parte del gruppo Di Martino e torna sul mercato con i trenta formati principali, distribuiti in 600 punti vendita italiani, australiani, sudafricani, canadesi, californiani, tedeschi e kuwaitiani.
Ma la vera svolta verso una nuova cultura della pasta ha una radice lontana. A via dei campi a Gragnano, dove Giuseppe e la sorella Giovanna hanno avviato fin dal 1998 l’attività di un centro di ricerca per migliorare la qualità del prodotto che poi, si trasforma in un pastificio sperimentale. “Quando siamo partiti con il Pastificio dei Campi – ricorda Giuseppe Di Martino – io dissi a mia sorella: nel 1912 il nonno comprò il pastificio. Sono passati cento anni. Quale è stato l’apporto mio e tuo all’interno dell’azienda da quando ci lavoriamo? Non vorrei che fra un secolo, saremo ricordati soltanto come gli eredi”. L’idea di volare alto, di lanciare l’ennesima sfida era già nell’aria. In realtà già dal 1999 il Pastificio dei Campi faceva solo pasta di grano duro italiano tracciato al campo ed è stato un grande azzardo. “Nel 2102, la mia ricerca fu indirizzata essenzialmente alla materia prima alla ricerca dei sapori della pasta di una volta che si erano oramai persi. La capacità e la produzione di grano italiano si riduceva del 30% ogni anno proprio per la concorrenza dei mercati canadesi americani dove grandi multinazionali grandi cooperative e anche grandi clienti industriali italiani spingevano perché volevano mercati più stabili in cui i grandi produttori potevano programmare la produzione rispetto alla miriade di piccoli produttori italiani”.
Giuseppe intravvede in quella grande miriade di piccolissimi produttori sparsi fra Campania il Molise la Puglia “che per me è la zona più naturalmente votata a fare grano duro, una ricchezza, perché lì dove c’è biodiversità c’è ricchezza”. Parlando con i contadini scopre che loro utilizzavano più di 250 varietà di grano mentre la grande industria ne usa solo 3 o 4. Da li scatta la grande intuizione. “Ci sedemmo attorno a un tavolo e io dissi loro: come si fa il miglior grano di sempre? Dobbiamo partire dalla terra. Tutti i pastifici parlano della loro pasta nessuno della terra. Proposi loro accordi di programma contrattuale, legandoli per un periodo di sei anni, che avrebbero ridotto di molto la resa per ettaro in quanto su quei terreni avremmo seminato un anno favino, una leguminosa ricca di azoto fissante, un anno avremmo tenuto i terreni a maggese, ovvero a riposo, e solo l’anno successivo avremmo seminato a grano.”
Economicamente una idea temeraria se non folle, l’azienda avrebbe remunerato i contadini per tutti i mancati guadagni di una semina intensiva annuale per avere un raccolto una volta ogni tre anni. “Riscontrai molte resistenze anche da parte della famiglia: soprattutto per gli elevati costi dell’operazione che si sarebbero riflessi sul costo del prodotto per il quale previdi anche un packaging adeguato alla sua caratura. La mia risposta fu: siccome io lo pago così tanto, se qualcuno vuole seguirmi, deve pagare altrettanto. Avevo concepito una politica di trasparenza e qualità alla quale nessuno aveva mai pensato prima”. E la qualità va alle stelle, lo slogan del prodotto ottenuto da quel grano diventa senza falsa modestia: “Pastificio dei Campi, la pasta migliore di sempre”. Una pasta prodotta con semola di grano duro 100% italiana, con un contenuto proteico che supera il 14% , trafilata in bronzo. E, altra grande trovata, una pasta realizzata con grano tracciato: il consumatore può seguire tutti i passaggi della filiera semplicemente inserendo sul sito www.pastificiodeicampi.it il nome del formato e il codice di scadenza del prodotto, tramite Google Maps può arrivare direttamente al campo e verificare da dove viene ciò che sta mangiando.
Nel 2009 esce la prima confezione, è un successo immediato. I grandi chef la richiedono e mettono il nome del pastificio nei menù accanto ai piatti per sottolineare la qualità della preparazione: “mi chiamavano e mi dicevano, ma questa pasta sa di grano, ha un odore di grano, i consumatori iniziano a chiedere ma che grano usi? Una domanda impensabile fino a quel momento, era quello che avevo voluto, il ritorno ai sapori veri di una volta accogliendo come mie le parole d’ordine “buono, pulito e giusto” di Carlo Petrini fondatore di slow food. A questo aggiungi un’altra soddisfazione: l’anno scorso quello che era un mio progetto diventa un diventa legge di stato, il ministro Martina promulga una legge che dice ogni pasta deve avere l’etichetta l’origine del grano, deve indicare la nazione da cui proviene e si sono scoperti molti altarini” .
Può bastare ? Assolutamente no, perche la rivoluzione culturale della pasta avviata con il Pastificio dei Campi è solo all’inizio. A Giuseppe Dio Martino non basta aver affermato l’importanza della qualità c’è soprattutto, oggi come oggi, l’esigenza di formare culturalmente il consumatore, perché l’uso della pasta sia consapevole dei suoi valori non sono organolettici e gustativi ma anche sociali e culturali.
Ed ecco la nascita, frutto dell’esperienza maturata nei suoi viaggi in tutto il mondo, di tre progetti che ancora una volta fanno capire come quest’uomo, costantemente irrequieto quando parla del suo lavoro e della sua azienda – forse è il DNA del nonno Giuseppe che preme – stia sempre con lo sguardo all’orizzonte alla ricerca di nuovi progetti, terreni da percorrere e spazi da conquistare. Si chiamano La Devozione, il Pasta Store; il Sea Front Pasta bar. Prepariamoci a ritrovarceli nei prossimi viaggi all’estero, perché le richieste stanno arrivando da tutto il mondo. Tutti fanno parte di una nuova filosofia, la disintermediazione. “La catena di distribuzione – osserva – oggi non è più attuale anzi è in crisi. Il consumatore non ha fiducia nei mercati, è disorientato. Una volta quando andava nei negozi trovava il bottegaio che gli dava consigli, suggerimenti, sui prodotti sugli accostamenti. Oggi tutto è diventato anonimo. E allora io ho iniziato ad aprire una serie di punti vendita con personale che abbiamo formato appositamente, specializzato nel fornire risposte, nel riprendere quel dialogo d’un tempo fra venditore e consumatore che si era interrotto, spiegando i vari tipi di pasta, come cucinarli, come scegliere i migliori accostamenti”.
Il primo Pasta-store parte all’aeroporto di Capodichino, 100 formati di pasta in mostra, c’è solo l’imbarazzo della scelta, la consulenza del personale si trasforma in un viaggio ragionato all’interno del pianeta pasta. Poi è la volta dell’aeroporto di Bologna , poi di un grande spazio a Fico, poi, scelta obbligata, è la volta di Napoli a Piazza Municipio, poi sarà la volta di altri 16 punti vendita negli Aeroporti internazionali di tre continenti fra cui Dubai, Singapore, Taipei, Tokio, Shanghai, Pechino, Hong Kong, New York, San Francisco, Chicago, Londra, Parigi, Monaco, Amsterdam, veri e propri templi della pasta come ambasciatrice italiana nel mondo.
Nella centrale piazza del Municipio a Napoli le tre direttrici culturali della Pasta coniugata da Di Martino trovano la sintesi in uno spazio multifunzionale. Al piano terra, “La Devozione” è un omaggio alla quint’essenza della napoletanità, lo spaghetto alò pomodoro. Si cucinano 125 grammi di Spaghetti di Gragnano IGP prodotti con grano 100% italiano, 400 grammi di pomodoro corbarino, olio evo, un ciuffo di basilico fresco e uno spicchio d’aglio. La sorpresa finale? Una fettina di pane posizionata sul fondo del contenitore per fare la scarpetta! Il tutto preparato espresso e a vista, in soli 8 minuti, per mostrare in totale trasparenza la preparazione degli Spaghetti to go.
Al primo piano dall’antipasto al dolce, la pasta di Gragnano IGP Di Martino, prodotta con semola di grano duro 100% italiano, trafilata al bronzo ed essiccata lentamente a basse temperature, è la vera protagonista del Sea Front Pasta Bar nei suoi oltre 120 formati, interpretati e sperimentati di volta in volta attraverso la creatività del resident chef Pierpaolo Giorgio.
18 le sedute sistemate intorno a un unico bancone che abbraccia la cucina centrale, alla maniera orientale, da cui si può sbirciare cosa c’è sui fornelli, volutamente più vicini ai commensali che agli chef in modo che anc he fisicamente gli avventori partecipino al processo di realizzazione dei piatti; ma c’è anche una table de Chef per due persone che guarda il Maschio Angioino e il porto di Napoli; e 1 tavolo per due domina invece la splendida Piazza Municipio. Nella sua dinamicità il locale propone spazi per una cena sofisticata o romantica, ma anche spazi per un pranzo veloce, in compagnia o anche da soli. Un luogo che si adegua alle nuove tendenze internazionali, ma guardando sempre alla tradizione partenopea del condividere il proprio tempo con gli altri, attorno ad un piatto di pasta fatto come Dio vuole. Uscendo al piano terra si ritrova poi un fornitissimo Pasta-bar con i 120 formati della produzione Di Martino, da quelli noti a tutti a quelli più ricercati e antichi, come gli “Originali” o i formati lunghi avvolti a mano per ricordare e tenere viva la storica tradizione gragnanese dei pastai. E poi un altro tocco di modernità e glamour, le nuovissime confezioni disegnate per il pastificio da Dolce&Gabbana, che ne firma il look strizzando l’occhio ai colori e ai simboli che rendono l’Italia e il Mediterraneo famosi nel mondo.
Che dire? Se pensate che le sorprese siano finite in questo campo siete in grande errore. Perché il viaggio verso il futuro della pasta Di Martino è solo iniziato.