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Partite Iva, regime forfettario: M5S vuole cambiare la manovra

Imagoeconomica

Mantenere il regime del 15% per le giovani partite iva. Questa una delle tre proposte che il Movimento 5 Stelle avanzerà lunedì nel corso del l’ennesimo vertice di governo sulla legge di Bilancio 2020. E non si tratta di un invito al dialogo, ma di un’imposizione: “O si fanno o non esiste la manovra”, si legge sul Blog delle Stelle.

Nel dettaglio, riguardo al regime forfettario per le partite Iva, “è importante che le giovani partite Iva continuino a pagare solo il 15% di tasse – scrive il capo politico pentastellato, Luigi Di Maio – cosa che non è così, perché in questa manovra gli si alzano persino le tasse. E non è accettabile”.

Insomma, secondo i pentastellati, i giovani professionisti sarebbero le vittime dei nuovi obblighi (a cominciare dalla tenuta delle scritture contabili) che scatterebbero – in base a quanto quanto si ricava dal Documento programmatico di bilancio – per entrare nel regime forfettario al 15% con limite di ricavi a 65 mila euro. L’idea per venire incontro alla richiesta è lasciare il regime forfettario fino a 30.000 euro: per la partite Iva da 30mila a 65.000 euro, invece, si darebbe la possibilità di scelta tra regime forfettario o analitico, premiando chi opta per la fatturazione elettronica. Il tutto sempre con aliquota invariata al 15% (o al 5% in caso di start up).

Il numero uno del M5S chiede poi di ridurre i costi delle carte di credito: “Vanno bene le multe sul mancato utilizzo del Pos solo se ai commercianti gli abbattiamo i costi del Pos, se gli abbattiamo i costi delle carte di credito. Perché altrimenti rischiamo di trovarci in una situazione in cui stiamo introducendo una nuova tassa per i commercianti, non una multa. E non va bene”.

Infine, il terzo punto riguarda il carcere per i grandi evasori “e la confisca per sproporzione – scrive ancora Di Maio – Chi evade più di 100mila euro all’anno deve essere punito seriamente col carcere e bisogna confiscargli più di quanto ha evaso”.

Nel decreto fiscale, varato con la formula “salvo intese”, è previsto solo l’aggravio di pena da 6 a 8 anni di carcere per il reato di dichiarazione fraudolenta. Ora Di Maio vorrebbe andare oltre, ma su questo versante incontra l’opposizione di Italia Viva. Secondo i renziani, il carcere per i grandi evasori è già previsto dall’ordinamento giuridico italiano e bisogna evitare un approccio troppo punitivo, che su questo tema si rivelerebbe controproducente.

Pd e Leu fanno notare che – in base all’intesa preliminare raggiunta in Consiglio dei ministri – la norma relativa al carcere per i grandi evasori deve essere definita con un emendamento parlamentare al decreto fiscale. Ma il Movimento 5 Stelle spinge ancora perché si agisca subito, nella bozza di decreto che sarà inviato al Parlamento.

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