I dati diffusi in questi giorni da vari enti nazionali e internazionali, come Eurostat, Istat, Centro Studi Confindustria, ci ricordano, nel loro complesso, che dall’ inizio della crisi: abbiamo perso 9 punti di Pil (o 35 punti se si esclude l’ apporto della PA), la produzione industriale è scesa del 25 per cento e tra i paesi manifatturieri siamo stati superati da Brasile e India, il reddito disponibile è calato di oltre 11 punti in termini reali, il tasso di disoccupazione generale è ormai al 13,6 per cento e quello giovanile ha superato il 46 per cento, con una occupazione femminile tra le più basse d’ Europa, 20 punti percentuali in meno della Germania. Interi comparti produttivi sono in crisi o si sono fortemente ridotti, dall’ elettronica alla siderurgia, dall’ automotive al tessile, dalla pelletteria al legno, solo per citarne alcuni.
Nel contempo mentre la spesa pubblica per investimenti è crollata, quella corrente, vera variabile indipendente, ha continuato a crescere! Siamo il Paese in cui sulle imprese gravano le tasse più alte d’ Europa, la giustizia è la più lenta, l’ elettricità ed il gas sono i più cari, la burocrazia è la più contorta. Alla lista delle inefficienze si aggiungono la mancata digitalizzazione del Paese e le infrastrutture tra le peggiori d’ Europa, per non dire dell’ evasione fiscale e della corruzione di sistema (Expo di Milano e Mose di Venezia i casi più recenti). Siamo di fronte ad un dramma che pare inarrestabile: precarietà ed impoverimento allagano i più svariati settori, affogando professionalità a tutti i livelli, dagli operai agli impiegati, dai professional ai quadri direttivi, mentre chi è fuori dal mercato del lavoro non intravede la minima speranza di entrarne a farne parte.
Con questi livelli insostenibili di giovani disoccupati, assisteremo a nuove ondate di emigrazione, come il nostro Paese ha già conosciuto agli inizi del novecento verso le Americhe o negli anni cinquanta verso la Svizzera e la Germania. Solo che ora emigreranno verso i paesi del Nord Europa o del Nord America non le braccia, vista la concorrenza di altri disperati del mondo, ma “giovani cervelli”, che le nostre università riescono ancora fortunatamente a formare. Da molti anni la mancata crescita economica non ha prodotto nuovi posti di lavoro.Il nostro mercato del lavoro, già prima della crisi, era un mero mercato di sostituzione generazionale.
Le pensioni di anzianità a 55 anni di età o il prepensionamento a 50 anni, per non ricordare le baby pensioni a 19 anni 6 mesi e 1 giorno di contributi se non ancora meno, la mobilità lunga di 7/10 anni collegata alla pensione, la cassa integrazione a tempo indeterminato, hanno permesso di gestire un turnover generazionale con uno scambio tra le uscite agevolate del personale anziano (o per meglio dire non più giovane !) parzialmente compensate, nella maggioranza dei casi, dall’ assunzione di giovani.
Una pratica che ha evitato il rischio di conflitti intergenerazionali, garantendo la coesione sociale, perlomeno sino ad oggi, ma è costata enormemente alle casse dello stato: cioè a noi tutti.Questa strumentazione e’ oggi impraticabile dato l’ insostenibile peso del debito pubblico e la rilevante incidenza della spesa pensionistica di oltre 250 miliardi sul totale della spesa complessiva di circa 800 miliardi. In sostanza, come rilevato dall’ Istat, siamo un Paese che sta velocemente invecchiando, con molti disoccupati e senza un ricambio generazionale. Dobbiamo tutti capire che ci troviamo in una fase di discontinuità storica. L’ epoca in cui viviamo, e i problemi che dobbiamo affrontare, ci impongono di scegliere tra rompere gli schemi consolidati e portarci al passo con il resto del mondo oppure rassicurarci dal lasciare tutto com’ è, confortati dall’ illusione che prima o poi ci risolleveremo.
La scelta è tra “rimboccarsi le maniche” ed avere il coraggio di cambiare oppure di difendere lo status quo, quello che per gli ultimi 20/30 anni ci ha condotti ad un lento e inarrestabile declino. E se non sapremo riformare tutti i fattori di freno che hanno da lungo tempo compresso la competitività del Paese, compreso il fattore lavoro, ben difficilmente si potrà sperare in una ripresa economica che possa creare nuova occupazione. In questo senso, è auspicabile che il jobs act del Governo (anche se ad oggi è legge solo il Decreto Poletti, mentre per le altre riforme, in particolare degli ammortizzatori sociali e del contratto a tutele crescenti, si conoscono solo le linee guida) riesca davvero a creare un rapporto diverso tra imprese e lavoratori, contribuendo a costruire quell’ ambiente più favorevole per coloro che vogliono iniziare o ampliare un’ attività economica.
Ma le regole da sole non sono sufficienti se le imprese, perlomeno quelle grandi, si chiudono in se stesse e non trasformano l’attuale fase di crisi in opportunità per individuare giovani di valore su cui investire per il futuro e dare loro prospettive lavorative. E’ in questo framework nazionale del lavoro che si inquadra il progetto “Employability 2.0”, come illustrato da Ilaria Dalla Riva, la responsabile delle Risorse Umane, Organizzazione e Comunicazione di Banca Monte dei Paschi, al Forum HR dell’ ABI svoltosi di recente a Roma. “Employability 2.0” è un progetto di Elis (il Consorzio per la formazione professionale superiore) che vuole rispondere alla domanda di cosa possano fare le aziende per intercettare il flusso di giovani talenti sempre più condannati ad emigrare o al precariato, ed è stato lanciato all’ inizio del 2012 sotto la Presidenza semestrale proprio di Ilaria Dalla Riva, nel ruolo al tempo di responsabile del Personale di SkyTV.
Il progetto, che, terminata la fase sperimentale, avrà il suo kick off definitivo fra pochi giorni, permette l’ inserimento di giovani laureati nelle imprese consorziate in Elis attraverso uno strumento, unico in Europa, che permette di conciliare flessibilità per le imprese con sicurezza e formazione per i giovani.Punto essenziale del progetto è un percorso basato su job rotation e investimento formativo. L’obiettivo è quello di agevolare le aziende e i giovani nell’ incontro tra domanda ed offerta attraverso un processo finalizzato a capitalizzare l’esperienza dei partecipanti nel primo anno in un’ottica di crescita professionale, e di valore aggiunto per le aziende nel secondo anno.
Il programma è caratterizzato da:
Company rotation: due esperienze professionali retribuite di un anno ciascuna in due grandi aziende italiane e internazionali di settori diversi (la forma contrattuale utilizzata è il contratto di somministrazione, non essendoci al momento a disposizione per questa co-titolarità del rapporto di lavoro una tipologia contrattuale specifica).
Formazione: è suddivisa in due pacchetti. Uno di pre-inserimento, finalizzato all’ apprendimento di competenze necessarie all’entrata in azienda, e l’ altro di post-inserimento, che prevede l’alternanza tra tematiche di general management e formazione specialistica in ambito Operations, ICT, Mktg & Sales.
Mentoring: affiancamento allo sviluppo personale e professionale attraverso figure di riferimento in azienda che trasferiscano conoscenze ed expertise ai giovani.
Al termine dei due anni, il giovane riceve una proposta di assunzione da parte di una delle due aziende in cui ha vissuto la sua esperienza. Ad oggi nel progetto sono state coinvolte una ventina di aziende e sono stati avviati al lavoro un centinaio di giovani. Questo progetto del tutto “innovativo” ha permesso dunque di creare, per il tramite del Consorzio Elis, un pool di aziende di settori diversi che possono condividere persone che maturano esperienze e culture differenti, sviluppando con il loro inserimento un up grade della cultura aziendale ed una continua innovazione. In questo modo il risultato finale sarà quello di comunicare una nuova cultura del lavoro: ieri si chiedeva alle imprese la “certezza” di impiego, oggi si deve chiedere l’ “impiegabilità”, ovvero formazione unita a esperienze lavorative che rendono le persone costantemente appetibili sul mercato del lavoro.