Tre storie diverse legate dalla seta. Si tratta di Domenico, Miriam e Giovanna e del loro Nido di Seta, la Cooperativa di San Floro in provincia di Catanzaro, che grazie ad un’antica tradizione, quella della lavorazione della seta, hanno trovato la chiave del loro futuro.
Eppure dietro a questo tessuto si cela una storia vecchia di secoli. Da sempre famosa per essere un bene di lusso, usata per realizzare abiti, damaschi e paramenti, la seta affonda le sue radice in Cina. Un vero e proprio prodigio della natura, questa fibra è prodotta dai bachi, meglio note come larve, che durante la loro metamorfosi costruiscono un bozzolo per “proteggersi” dagli agenti esterni.
E proprio da questo tessuto che prende vita una storia fatta di passione e amore per la propria terra. Dopo aver girato l’Italia i tre ragazzi calabresi hanno deciso di riprendere un vecchio progetto del Comune di San Floro per riscoprire un’arte dimenticata, quella della gelsibachicoltura, che aveva lasciato in eredità oltre 3mila piante di gelso di varietà Kocusò, distribuite su un’estensione di circa 5 ettari di terreno.
In realtà, si tratta di una tradizione che risorge dalle ceneri. Dato che fino alla fine dell’800, Catanzaro è stata la capitale della seta. Un’attività che si diffuse anche nei paesi circostanti, dando vita alla cosiddetta “via della seta calabrese”, un corridoio che congiungeva la costa tirrenica con quella ionica. Quella stessa via è tornata in vita grazie alla volontà di questi ragazzi, che su di essa hanno creato un’attività ecosostenibile e rilanciato l’economia locale.
Una volta ottenuto il via libera dal Comune, i ragazzi hanno seguito corsi di formazione arrivando fino in Thailandia per scoprire i metodi di lavorazione serica non convenzionali e in Messico per scoprire nuove tinture naturali. Dopodiché si sono fatti svelare i segreti di questa antica arte anche dagli anziani del paese, veri maestri setaioli.
Fondata nel 2014, la Cooperazione Nido di Seta è l’attrattiva principale di questo piccolo paesino, che conta circa 600 abitanti. Al centro della loro attività c’è proprio la gelsibachicoltura, seguita in tutte le sue fasi: dalla terra fino alla produzione del filato, in un contesto naturalistico mozzafiato.
La Cooperativa si occupa contemporaneamente anche della vendita di more fresche, di confetture di more e di liquori certificati bio, fra questi il Moretto, ottenuto dai frutti del Morus Nigra, annoverati nella categoria dei frutti perduti, e di cosmetici. Inoltre producomno gioielli, stoffe e capi d’abbigliamento con seta grezza e ceramica di Squillace e, infine, organizzano escursioni eco-esperienziali, che prevedono un’esperienza naturalistica a tutto tondo: dal Museo della Seta, all’interno di un antico castello, al trasferimento in Cooperativa per visitare l’allevamento del baco fino alla degustazione di prodotti biologici presso il punto di ristoro. E così, tra la gelsibachicoltura, la produzione tessile e quella di confetture e liquori, oggi la cooperativa dà lavoro ad altre sette persone.
Non è finita qui. Per diffondere questo antico sapere, la Cooperativa ha dato vita anche a dei corsi tematici, dall’allevamento del baco da seta alla lavorazione serica e tessitura fino ai vari metodi di tintura naturale.
Ma come si allevano i bachi da seta? La tecnica utilizzata da questi giovani imprenditori è del tutto ecosostenibile e tradizionale. Per prima cosa bisogna procurarsi i semi dei bachi, ovvero le piccole uova e metterle in incubazione in delle strutture chiuse.
Durante la primavera, tra aprile e maggio, le uova iniziano a schiudersi, momento in cui le foglie di gelso sono completamente formate. Prima di raggiungere lo stato di bozzolo, affronterà 4 mute e 5 fasi larvali diversi. Una volta schiuse, le larve iniziano a nutrirsi esclusivamente delle foglie di gelso e, raggiunto il peso ideale, le larve diventate bachi. A quel punto smettono di nutrirsi e iniziano a costruire con la loro bava serica il bozzolo. Per ottenere i fili di seta, bisogna mettere questi bozzoli in una pentola di acqua calda in modo che la sericina, ovvero la colla secreta dal baco, si sciolga.
Trascorsi quattro o cinque giorni il bozzolo è finalmente pronto e dopo una decina di giorni la falena lo buca per uscire. In questo intervallo di tempo, una parte dei bozzoli viene essiccata per ottenere la seta e una parte conservata per la biodiversità. Attualmente la Cooperativa vanta 5 varietà che riescono a riconoscere dai colori: c’è il bozzolo giallo, il giallo oro, il giallo verde, il rosa antico e il bianco. Ognuno è, in pratica, un filo continuo di seta che va dai 900 fino ai 2mila metri, il quale verrà unito ad altri a seconda dello spessore del filato che si vuole ottenere.
Dopodiché si passa alla produzione tessile. Il filo d’oro viene lavorato su antichi telai a quattro licci e tutti i capi vengono colorati con prodotti naturali e autoctoni, come il papavero, la mora di gelso, i fiori di ginestra, il mallo di noce, il tartufo nero di Calabria, bacche di sambuco e la cipolla di Tropea. Ad esempio la radice di robbia, veniva utilizzata fin dall’antichità per tingere i tessuti come il copri inginocchiatoio per il Papa, che ancora oggi si trova in Vaticano.
Si tratta di una pratica molto interessante, ma altrettanto faticosa e impegnativa. Nonostante ciò, i giovani imprenditori sono riusciti a riportare in vita l’antica filiera della gelsibachicoltura, scrivendo un nuovo capitolo nella storia di Catanzaro. La dimostrazione che il nostro Paese ha ancora molto da offrire, soprattutto alle nuove generazioni.