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Paradosso ebook: il problema della crisi è il Kindle perché la tecnologia di Amazon non aiuta più

Amazon ha inventato l’ebook ma i suoi Kindle e il software che li motorizza non funzionano più perchè la tecnologia è diventata obsoleta e l’accerchiamento dell’industria editoriale tradizionale ha aggravato la crisi – Amazon deve trovare il colpo d’ala e fare un’inversione a U se vuole salvare il mondo degli ebook: ecco come

Paradosso ebook: il problema della crisi è il Kindle perché la tecnologia di Amazon non aiuta più

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Amazon ha inventato l’ebook, allo stesso modo che Apple ha inventato lo smartphone. Prima c’era stato qualcosa, ma questo qualcosa interessa solo gli storici della tecnologia per una nota a pie’ di pagina. Senza Amazon non si sa che cosa oggi ci sarebbe per leggere un romanzo su uno schermo a bordo di un treno o su una spiaggia assolata. Per cui i meriti di Amazon possono difficilmente essere sopravalutati.  Amazon ha avviato questa industria, l’ha difesa e l’ha consolidata. Oggi è proprio Amazon che deve fare un salto in avanti per evitare che tutto questo torni indietro di fronte all’offensiva dell’industria costituita (gli incumbents) che non vuole gli ebook e li combatte su tutti i terreni e con tutti i mezzi.

Oggi gli ebook non sembrano essere più nel gruppo delle tecnologie play off, ma in quelle play out: in tutto l’ambiente si sta diffondendo un pessimismo cosmico. Sull’altro fronte, gli editori, c’è un gran brio e già si pensa a menare il colpo di grazia. Com’è possibile risollevarsi?

La leva sono gli autori. Non tanto gli autori che scrivono qualcosa per vederselo pubblicato (con tutto il rispetto e la considerazione per questa nuova e bella forma di editoria), ma autori mainstream come Stephen King che, se avessero gli stimoli e i mezzi giusti, potrebbero veramente produrre un contenuto narrativo di nuovo tipo in grado di mettere a frutto le potenzialità enormi degli ebook e della loro tecnologia. Purtroppo tutti gli scrittori maggiori giocano nella squadra dei grandi editori tradizionali e Amazon ha potuto misurare il suo isolamento in molte occasioni, compreso quello del suo bootcamp estivo, il cui motto è “have fun!, paga Amazon”, ormai disertato dai nomi noti. Non passa giorno che Scott Turow non scriva qualcosa contro Amazon nemica delle lettere e della cultura. L‘Authors Guild, presieduta dallo stesso Turow, ha invocato l’intervento dell’Antitrust, cioè degli stessi regolatori che hanno appiccato l’incendio. Come succede spesso, la vittoria di Amazon nella causa antitrust contro Apple e i big five sul modello agenzia si è ritorta contro Amazon come una tromba d’aria che cambia direzione. Per Amazon è vermente il momento di un’inversione ad U.

È Amazon – più di Apple, più di Google –  che deve dare agli autori gli strumenti che gli permettano di creare contenuti di nuovo tipo che siano un’evoluzione di quelli di un libro che viene riversato tal quale su un Kindle. Alla fine della fiera il Kindle perde il confronto con il libro. Il libro è meglio e se viene meno, com’è venuto meno, il vantaggio del prezzo, amen. Ormai è chiaro, gli editori non faranno niente per gli ebook. Ma, parliamo un po’ degli editori.

 

Il dilemma dell’editore

Gli editori di libri, come ha scritto sul NYTimes Alexandra Alter, continuano a investire fortemente nel libro: Penguin-Randon House, 100 milioni di dollari, Simon & Schuster, 50 milioni, in nuovi ed efficienti centri di distribuzione e smistamento e in tecnologie di gestione del magazzino (le stesse di Procter&Gamble) così da far arrivare un libro alla libreria nel tempo in cui un lettore lo otterrebbe comprandolo da Amazon. La piaga dei resi, il “colesterolo” di questo business, inizia adesso a preoccupare di meno grazie a queste tecniche lean messe in atto dagli editori.

Prima il libro, poi il resto” è la linea dei grandi editori confermata dal CEO di Simon & Schuster. Infatti Carolyn Reidy ha dichiarato che sugli ebook rimarrà lo status quo, mentre ci saranno investimenti per sostenere l’ecosistema del libro. Una dichiarazione che trova un riscontro diretto nei dati sulle vendite che vengono dagli USA: guardando il grafico sovrastante si nota come sul Kindle Store (il 65% del mercato degli ebook)  la quota degli editori tradizionali in un anno e mezzo si sia ridotta dal 58% al 41%. Un bel tonfo! Ma chi se ne importa, pensano gli editori.

La strategia di puntellare il libro è qualcosa che sta funzionando e che ha un riverbero anche sulle librerie. Infatti, sta favorendo la nascita di librerie indipendenti, un processo gradito agli editori perché sono più controllabili delle grandi catene come Barnes & Noble, che invece sta soffrendo parecchio.

I grandi editori possono darsi alle libagioni, ma hanno un problemino. Lo ha prodotto la loro ostilità per Amazon che alla fine si è trasformata in un‘ostilità nei confronti della tecnologia stessa. E allora come pensano gli editori di portare il loro business nel nuovo scenario digitale che non può essere bloccato con un paio di azioni commerciali ben assestate?

L’interpretazione più plausibile è che gli editori medio-grandi di libri stanno cercando di guadagnare tempo per portare a compimento un processo di consolidamento, di fusioni e di ristrutturazione anche all’interno dei conglomerati media a cui appartengono. Questo insieme di azioni dovrebbe accrescere il potere contrattuale con Amazon e con gli altri gruppi tecnologici, un effetto che già si comincia già a vedere. È qualcosa che ha una propria ratio. Finora tutti i tentativi degli editori di sviluppare una propria presenza nell’arena digitale sono falliti sia che si trattasse di iniziative dirette, sia che si trattasse di acquisizioni. Sono esperienze non ripetibili: Amazon, Apple e Google occupano già la scena, innovano a ritmi vertiginosi e sanno come farlo. Quello che gli editori devono trovare è un rapporto costruttivo con i tecnologici su un piano di parità, una cosa che non è per niente facile per l’istinto predatorio dei grandi gruppi di Internet che tendono a non fare prigionieri. Vediamo che cosa succederà e torniamo al nostro discorso.

 

2015:  Se il libro batte Kindle, cosa deve fare Amazon?

Nel 2015 il libro è diventato tremendamente competitivo. Mentre i Kindle e il software che li motorizza sono diventati obsoleti e non servono più per il nuovo livello a cui è salita la competizione. Anzi sono un ostacolo. Il Kindle è stato uno strumento di transizione eccezionale come avatar del libro, ha funzionato meglio di ogni aspettativa per trasportare i lettori forti sul digitale. Il Kindle non gli ha fatto sentire lo spaesamento che si prova nel trasferimento da un terreno familiare e conosciuto a uno che non lo è. Il Kindle è stato lo Spitfire della battaglia dei nuovi media per conquistare una delle più antiche e gloriose industrie, quella del libro. Il Kindle però non buca più, e lo si è visto anche nel calo delle vendite che è stato drastico. In cinque anni vendite di e-reader si sono quasi dimezzate, da 20milioni nel 2010 a 12milioni nel 2015. Nello stesso periodo le librerie indipendenti sono passate da 1660 a 2227. Che vuol dire questo?

Vuol dire che i Kindle, e soprattutto il loro software, non sono lo strumento con il quale può avvenire la “rimediazione” della narrativa e della saggistica. La rimediazione è quel processo che porta all’affermazione di un nuovo media sostenuto da una tecnologia innovativa. La rimediazione non è la mera riproduzione di un media in un altro. Questo concetto è sfuggito ai visionari di Amazon. Può succedere.

Finora tutti gli esperimenti di creare della narrativa e della saggistica adatta ad essere consumata su uno schermo connesso a Internet sono falliti proprio perché il Kindle non era in grado di recepirli appieno e trasmetterli ai lettori. Questi esperimenti dovevano essere veicolati attraverso i tablet e gli smartphone dove le persone leggono anche narrativa e saggistica, ma non in modo intensivo: non è ancora il club dei lettori, è piuttosto un parco giochi dove, da qualche parte, c’è anche una sala di lettura. È sui Kindle di Amazon che l’innovazione in questi campi deve essere accolta, attuarsi, propagarsi ed essere portata ai lettori. Ecco il punto. Ma qual è il primo passo?

 

È il momento dell’ePub3

Amazon dovrebbe abbondonare il formato proprietario mobi, un formato basico per la visualizzazione del testo, e passare all’ePub3 che ha tutte le funzioni del mobi più quelle che servono per creare contenuto mash-up. L’ePub3 è diventato lo standard di mercato: un consorzio di editori, costruttori di dispositivi e sviluppatori lo porta avanti cercando di bilanciare tutte le esigenze. Ad essere franchi, ancora non è quello che occorrerebbe per la rimediazione, ma è come il motore a scoppio rispetto al mulo nel confronto con il mobi. L’aspetto più interessante dell’ePub3 è che supporta, ancora parzialmente, l’HTML5/CSS3 e il  linguaggio Java, roba di cui è fatta tanta parte del web. Per esempio, se uno scrittore di thriller, dopo avere descritto con maestria la scena di un crimine o di un’azione, volesse mostrarla al lettore su una mappa, così da collocarci degli indizi importanti, con l’ePub3 potrebbe farlo all’interno della sua narrazione tradizionale. Potrebbe ricorrere ai media adeguati per arricchire gli scenari costruiti con le parole. Qualcosa potrebbe anche venire meglio.

Questa passaggio da mobi ad ePub3 avrebbe per Amazon il costo di una decisione. Già adesso l’ePub3 è incorporato nel file che il lettore scarica dal Kindle Store per leggere sui Kindle o le app kindle. Basterebbe passare la postazione di guida all’ePub3 e quella del passeggero al mobi. Gli utenti non ne risentirebbero assolutamente, non come è accaduto agli svedesi alle cinque del 3 settembre 1967 quando la guida è passata da sinistra a destra. Sarebbe una decisione così semplice e così importante da cambiare il quadro generale del mercato. Avrebbe un effetto paragonabile alla decisione di Apple di inserire iBooks tra le app preinstallate su tutti i dispositivi iOS e sul Mac.

Con Amazon allineato sull’ePub3, l’intero ecosistema di costruttori e sviluppatori di app di lettura di ebook adotterebbe, senza indugi, l’ePub3 quando oggi qualcuno c’è al 100% (come Apple), altri ci sono al 70% e altri ancora non ci sono affatto. Adesso c’è soltanto gran caos che contribuisce alla minorità degli ebook. Poi ci sarebbero le conseguenze sugli autori. È certo che alcuni di questi, i pionieri, inizierebbero a produrre contenuti per questo nuovo scenario nel quale è finalmente disceso il player maggiore, Amazon appunto. Altri autori seguirebbero e poi si svilupperebbe quella competizione virtuosa che porterebbe allo sviluppo di un mercato vibrante degli ebook, che, senza sopprimere quello del libro, gioverebbe anche a quest’ultimo.

Di seguito riportiamo uno stralcio dal volume in uscita di Angela Maiello, dal titolo L’archivio in rete. Estetica e nuove tecnologie, pubblicato da goWare. In questo saggio il concetto di rimediazione viene individuato come il fattore centrale della crescita e dell’affermazione di un nuovo media. Prima di essere tecnologico la rimediazione è un processo estetico e culturale. L’altro concetto fondamentale è quello di interattività, ma di questo ce ne occuperemo in un differente contributo.

La rimediazione

La nascita di un medium è sempre frutto di una rimediazione. Questo termine è stato introdotto da due autori americani, J.D. Bolter e R. Grusin, per definire il processo tecnologico, estetico e culturale all’origine dello sviluppo di nuove forme di organizzazione della percezione e della rappresentazione. Rimediazione significa rappresentare un medium in un altro, cioè rappresentare attraverso un nuovo dispositivo una prassi estetica e culturale che trovava espressione in un’altra configurazione tecnica.

La rimediazione non è, però, una trasformazione neutra, un mero processo di passaggio da una tecnologia all’altra; in questa trasformazione, infatti, avviene una riconfigurazione del medium stesso; la rimediazione agisce su specifiche caratteristiche dei singoli dispositivi riattivandole e rinnovandole in forme nuove. In questo senso rimediare vuol dire anche porre rimedio, emendare la prestazione tecnica dei media più vecchi, intervenendo su quegli aspetti manchevoli o che esibiscono del potenziale da sviluppare.

Facciamo un esempio: si può sostenere che YouTube abbia rimediato la TV, stabilendo una nuova modalità tecnologica dell’esperienza televisiva; in realtà questo processo ha abilitato l’utente a svolgere funzioni che certamente non facevano parte di quella esperienza mediale della TV e che invece definiscono la fruizione di video online, come la creazione dei contenuti e la condivisione di essi. In altre parole è nato un nuovo medium.

La rimediazione, allora, non è la mera riproposizione di un mezzo in un altro, semplicemente il risultato del processo evolutivo tecnologico che porta ad inglobare alcune funzioni di vecchi media in dispositivi tecnicamente più avanzati. Rimediare significa rimettere in questione, riconfigurare ogni volta le norme che definiscono e regolano la comune esperienza estetica a partire dall’instaurazione di specifiche pratiche e strategie mediali.

 

Immediatezza e ipermediazione

Il processo di rimediazione si basa su una doppia logica che consiste nella complementarità di immediatezza ed ipermediazione. Ad una maggiore pretesa di immediatezza – nella sua duplice accezione di tempo reale, di istantaneità, ma anche di accesso ad una realtà senza filtri, così come è – corrisponde un più alto grado di mediazione, ovvero la moltiplicazione ed organizzazione di diversi strati e livelli mediali.  L’efficacia dell’immediatezza dipende dal livello di ipermediazione e l’una (l’immediatezza) non può essere ottenuta senza l’altra (l’ipermediazione). Risulta anche in questo caso paradigmatico l’esempio di Periscope: l’accesso diretto allo streaming di un video realizzato da un utente collocato in una qualunque parte del mondo è possibile a partire dalla moltiplicazione degli strati mediali, che vanno dalla webcam del dispositivo mobile dell’utente che effettua lo streaming all’interfaccia dell’app utilizzata dall’utente che visualizza il video.

La doppia logica della rimediazione non vale soltanto per i nuovi media, ma può essere rintracciata, ogni volta differentemente declinata, in diversi momenti della storia della rappresentazione visiva. Tuttavia nel caso dei media digitali tale processo viene esplicitamente esibito: la rimediazione è la regola esplicita di formazione dei nuovi media.  Ciò non basta, però, a distinguere i media digitali dai media analogici. Resta infatti da chiarire il principio specifico a cui rispondono le strategie e le prassi abilitate dalle nuove tecnologie che si condensano esemplarmente nella rete, il medium contemporaneo che più di ogni altro ha segnato l’instaurazione di un nuovo regime estetico. Tale principio è quello dell’interattività.

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