“Sei d’accordo che il MoVimento 5 Stelle faccia partire un Governo, insieme al Partito Democratico, presieduto da Giuseppe Conte?”. Questa la domanda cui i 115mila iscritti alla piattaforma Rousseau sono chiamati a rispondere entro le 18 di oggi.
L’Italia intera aspetta l’esito della votazione online per sapere se avrà presto un nuovo Governo o se il Presidente della Repubblica sarà costretto a vagliare le altre opzioni sul tavolo, elezioni anticipate comprese. Sempre che il tutto sia costituzionalmente possibile. Sono infatti in molti a chiedersi se le sorti del Paese debbano e possano dipendere da un voto espresso da pochi, pochissimi, su una piattaforma gestita da una società privata – l’Associazione Rousseau presieduta Davide Casaleggio e i cui soci soci sono Massimo Bugani, Pietro Dettori e Enrica Sabatini. In questo contesto occorre tener conto anche del fatto che in passato (ma era la vecchia versione) la piattaforma ha fatto anche sorgere numerosi dubbi relativi a privacy e sicurezza degli utenti.
Il costituzionalista Sabino Cassese sulle pagine del Corriere della Sera, si chiede cosa succederà se a prevalere saranno i No all’accordo:
“I gruppi parlamentari, smentiti dagli iscritti, dopo essersi pronunciati a favore della nuova formazione di governo, che faranno? Si dimetteranno?” Ma poiché è il capo dello Stato che ha dato l’incarico per la costituzione di un nuovo governo sulla base delle indicazioni dei gruppi parlamentari di M5S e Pd, che far? Revocherà l’incarico al professor Conte?”
Dalle domande, Cassese passa alle possibili conseguenze della votazione:
“Se la decisione dei parlamentari, comunicata al presidente della Repubblica, e quindi atto di una procedura pubblica, venisse smentita dagli iscritti, si produrrebbero le seguenti tre conseguenze paradossali. La volontà del maggior numero (i rappresentanti-delegati di 11 milioni di elettori del M5S) sarebbe cancellata da quella del minor numero (una maggioranza di 50-60 mila iscritti al M5S), smentendo le invocazioni populistiche del Movimento. I rappresentanti del popolo sarebbero smentiti dal partito, rinverdendo i fasti della migliore partitocrazia. La forza politica che invoca il popolo a ogni piè sospinto, lo metterà invece a tacere per dar voce ai propri esigui iscritti. Quando il capo politico del M5S smetterà di giocare con la democrazia?”
Da sottolineare che anche se gli iscritti alla piattaforma sono 115.372 non è detto che votino tutti, anzi. In occasione del voto sulla leadership del Movimento a Luigi Di Maio, le preferenze espresse furono la metà, 56.127. Nelle precedenti votazioni il numero di voti fu addirittura inferiore. Bisogna tenere in considerazione che non sempre il risultato delle votazioni ha ricalcato la linea della leadership. Un esempio può essere la consultazione tenuta nel gennaio del 2014, quando circa 16mila iscritti votarono a favore dell’abbrogazione del reato di immigrazione clandestina e 9mila per il mantenimento, nonostante sia Beppe Grillo che Gianroberto Casaleggio in precedenza si erano pronunciati contro l’emendamento che promuoveva l’abolizione del reato.
Tornando ai pareri sulla votazione odierna, non meno critico il giudizio di Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, su La Stampa.
“Avrei capito – osserva il presidente emerito – che il M5S avesse consultato la base dei suoi iscritti prima di avviarsi alle consultazioni del Quirinale. Sarebbe stato un atto di indirizzo politico interno. Ma quando si organizza la consultazione dopo che il Capo dello Stato ha dato l’incarico, questa consultazione è diretta ad avere un immediato effetto esterno”.
“Che un partito senta il polso dei suoi militanti, va benissimo – chiosa Mirabelli. Direi che è auspicabile. Che i sondaggi influiscano sull’elaborazione di una politica, accade ordinariamente. Che ci possa essere un collegamento continuo tra rappresentanti e rappresentati, va benissimo. Ma tutto questo – avverte – non può e non deve significare atti. Deve rimanere nella sfera dei processi interni a una forza politica”.
Netto anche il giudizio del costituzionalista Giovanni Maria Flick sulle pagine di Repubblica:
“Non è incostituzionale in sé, ma mi sembra contro lo spirito della Carta far diventare la piattaforma Rousseau, o un’altra simile, uno strumento per l’esercizio della sovranità”.