Così come sostenuto nel mio J’accuse n.1 ( http://scenarieconomici.it/jaccuse-di-paolo-savona/ ) che il mancato riavvio del motore delle costruzioni non permetterà una crescita tale da riassorbire disoccupazione, anche per la crescita complessiva del nostro PIL vado indicando da tempo che la considerazione del dato aggregato maschera il vero problema da affrontare, quello del Mezzogiorno.
Continuando ad avvalermi del team di Scenari economici – che Antonio Rinaldi mi dice essere impegnato e agguerrito e che ringrazio per la collaborazione – presento un nuovo grafico per sostenere che il problema dell’Italia non è tanto la crescita, quanto la spaccatura del Paese: le prospettive di crescita del Centro-Nord paiono positive, mentre il Sud continua a regredire.
Rispetto all’inizio della crisi nel 2007, il Centro-Nord ha perso gli 8-9 punti percentuali di cui si parla e il Sud 12-13 punti. Una crisi che ufficialmente comincia come congiunturale, ma finisce con l’essere strutturale, quella che in effetti era già in atto, come testimoniano gli andamenti divaricanti emersi in precedenza. Come noto attribuisco questo andamento all’aver trascurato gli effetti del dualismo Nord-Sud nella decisione affrettata di firmare il Trattato di Maastricht e entrare da subito nell’euro.
Il mio ulteriore atto di accusa ai gruppi dirigenti del passato e attuali è l’aver ignorato gli effetti della doppia spaccatura testimoniata dai due grafici di Scenari economici che ritengo non possa essere superata da una crescita tout court dell’economia europea e italiana, già di per sé insufficiente per far diminuire la disoccupazione, nell’arco triennale che ci viene proposto.
Ho già insistito che, in queste condizioni, le medie usate non hanno significato perché la distribuzione delle frequenze non è normale e non rappresentano quindi le caratteristiche dell’universo. Siamo nel caso tipico noto come “il paradosso del pollo di Trilussa”, secondo cui se due persone hanno un pollo e uno solo lo mangia, le statistiche registrano che ciascuno ne ha mangiato metà. E’ il caso dello sviluppo europeo e di quello italiano.
Trascuro il fatto di chi ha mangiato e mangia il pollo europeo, né in questa sede tratto il perché il pollo italiano se lo mangia (in prospettiva) solo il Centro-Nord, un problema che tratteremo in altra occasione, una volta che ne venga riconosciuta l’esistenza.
E’ incomprensibile che non venga percepito che il problema della spaccatura del Paese è ben più grave di quello del ritardo nella crescita complessiva, che tanto preoccupa il Governo, senza considerare che questa è correlata con l’assenza di crescita nel Mezzogiorno.
Perciò la spaccatura territoriale è il problema politico principale che Roma e Bruxelles, oltre ovviamente Francoforte, devono affrontare. Accuso analisti e politici di rifiutare in modo persistente l’esistenza e la gravità di un siffatto problema e ritenere invece che, se il Nord cresce, anche il Sud lo seguirà. Balle.
Se aspettiamo che il Sud, attraverso le riforme richieste dall’Europa, riesca a lanciare un modello export-led, che peraltro in quell’area non ha mai funzionato, invece di rilanciare gli investimenti, partendo dalle grandi opere e dall’edilizia, e anche i consumi azionando le leve esogene dello sviluppo, ad esempio detassando, la situazione peggiorerà e, con essa e a causa di essa, la media italiana di crescita resterà bassa.
Se si ritiene che la crescita del Centro-Nord possa più che compensare la decrescita del Sud puntando solo a maggiori esportazioni, coltiviamo illusioni, tesi espressa nel J’accuse n.1.
Il male è molto più profondo, perché i divari di produttività Nord-Sud sono strutturali e, perciò, si spingono in profondità e non sono certo le politiche blande e fuori fuoco di quelle europee “di coesione” che possono sradicarli. Trascurarli, come va accadendo, non è un grande indicatore di civiltà, anzi è un’involuzione sulla strada intrapresa (male) dall’Italia fin dagli anni ‘50.
L’economia del Centro-Nord si trova oggi con prospettive di ripresa produttiva a livelli tedeschi perché si è “riformata” volontariamente, non certo per le politiche di austerità europee e per quelle così poco austere italiane.
Questa area ha espulso gli imprenditori inefficienti, ha scaricato sulle banche il peso dei loro errori, si è maggiormente impegnata nei mercati esteri, anche se ha anch’essa patito la crisi delle costruzioni. Se non avesse la palla al piede della pressione fiscale e dell’inefficienza della pubblica amministrazione correrebbe anche di più.
Del peso della corruzione è anch’essa responsabile, per non averla combattuta. Al Nord, in molti sono convinti che hanno anche una specifica palla al piede dovuta al Sud, nonostante le statistiche da me prodotte con Zeno Rotondi indichino il contrario, ossia che il loro sviluppo beneficia di quel mercato di sbocco.
Può anche darsi che costoro abbiano ragione nel dire che la colpa sia del Sud, ma non ce l’hanno se pensano che un paese civile abbandona parte dei suoi cittadini alle loro sorti, senza tenere conto che una nazione seria è legata dal vincolo della solidarietà. De Gasperi e Vanoni lo avevano capito: perché dicono il contrario quelli che si dichiarano loro eredi? Si rileggano il contratto sociale di Rousseau nella versione di Rawls (per citarne una), ma anche le idee di Croce e Calogero sul liberalismo e socialismo democratici, invece di correre dietro ai pifferai di Hamelin-Grimm.