X

Pansa: “Fca è strategica per l’Italia ma lo è anche per la famiglia Agnelli?”

“Il passaporto di un’impresa ad alta tecnologia non è affatto irrilevante e Fca resta un gruppo strategico per l’Italia, ma la famiglia Agnelli dovrà prima o poi decidere che cosa vuol fare del suo futuro e se intende o no restare nell’auto con un ruolo centrale”. Chi parla è Alessandro Pansa, 55 anni, per metà lombardo e per metà piemontese, già amministratore delegato di Finmeccanica e ora docente di Impresa e Management alla Luiss, vicepresidente dell’editrice Feltrinelli e cofondatore della Spac Innova Italy. Pansa è nella finanza da una vita e cioè da quando, subito dopo la laurea in Bocconi, fu chiamato da Pietro Modiano all’Ufficio studi del Credito Italiano per entrare poi nella scuderia di Guido Roberto Vitale, palestra di talenti della consulenza finanziaria. Le vicende borsistiche di questi giorni di Fca, sulla scia delle offerte cinesi ma anche delle ipotesi di spin off, il cammino di Leonardo (già Finmeccanica) sotto la nuova guida di Alessandro Profumo e il debutto di Innova Italy, la Spac che ha fondato con Fulvio Conti, sono al centro di questa intervista che Pansa ha rilasciato a FIRSTonline senza rinunciare alla consueta franchezza.

L’interesse dei cinesi di Great Wall per Fca e soprattutto per il suo marchio Jeep è stato il tormentone di Ferragosto in Borsa: c’è chi dice che sia una bufala che ha solo alimentato la speculazione, ma c’è anche chi dice che, pur essendo un’operazione improbabile, l’interesse dei cinesi abbia portato alla ribalta due fatti rilevanti: l’appetibilità di un gruppo, che era partito da due debolezze iniziali come quelle di Fiat e di Chrsyler ma che Sergio Marchionne ha trasformato in una realtà di successo, e l’ineluttabilità di una grande alleanza internazionale nell’auto. Lei che impressione ha tratto da tutta la vicenda?

“Non credo che l’interesse per Fca sia una bufala di Ferragosto. I due elementi che la domanda segnala – il successo del riassetto di Fiat Chrysler operato da Sergio Marchionne e l’avvicinarsi di una grande alleanza internazionale nell’auto – sono incontrovertibili e il mercato ne ha tenuto conto. Ma da tutta la vicenda emerge un terzo elemento che va considerato e cioè il fatto che la Cina è alla ricerca di tecnologie di livello medio-alto in Occidente, che rispetto a vent’anni fa ha recuperato il suo primato tecnologico sul resto del mondo e che oggi offre occasioni importanti che attraggono i cinesi e non solo loro”.

Si è spesso sostenuto che in campo finanziario e ancor più industriale non conta il passaporto della proprietà ma la qualità dei progetti e del management delle imprese, salvo che non si tratti di asset di interesse nazionale perché strategicii: Fca come dobbiamo classificarla? Per l’Italia è importante il passaporto di Fca o lo è di più la certezza che, crescendo e rafforzando le sue tecnologie, il gruppo Fca potrà più facilmente salvare la produzione e il lavoro degli stabilimenti italiani?

“Io non sono tra quelli che considera irrilevante il passaporto di un’ impresa di spicco. Il passaporto conta eccome, per almeno due motivi: 1) conta per l’azienda, perché la sua origine e la sua base geografica determinano il comportamento del governo nazionale; 2) inoltre il passaporto conta per il Paese perché quando un’impresa – e non parlo solo di grandi imprese ma di tutte le imprese ad alto contenuto tecnologico – viene comprata da gruppi stranieri, diventa inevitabile che le decisioni strategiche vengano prese da un’altra parte. Da questo punto di vista non c’è dubbio che l’auto sia una settore industriale e tecnologico di prima importanza e che la Fiat, anche se ha la sede fiscale a Londra e quella legale ad Amsterdam, resti un asset strategico per l’Italia e per il sistema-Paese. L’errore, non di oggi, è stato quello di aver trasferito in passato fiumi di soldi pubblici alla Fiat senza pretenderne un adeguato sviluppo tecnologico, che solo negli ultimi anni ha ripreso quota anche nelle fabbriche italiane del gruppo”.

Pur ammettendo di non aver approfondito la questione, l’ex premier Enrico Letta ha detto nei giorni scorsi che a pelle l’idea di una Fca cinese non gli piace: sono giustificati i dubbi e i rischi di trasferimento di tecnologie quando una grande impresa italiana o occidentale finisce in mano ai cinesi?

“Quando un’impresa ad alto contenuto tecnologico finisce in mano a gruppi stranieri i dubbi e i timori ci sono sempre e non solo se a comprare sono i cinesi. La ragione è semplice e nasce dalla domanda: dove andranno a finire gli investimenti dopo la vendita della società? I rischi di un impoverimento tecnologico e di una perdita di ruolo sono evidenti e non è certamente casuale se negli Stati Uniti, ben prima dell’arrivo di Trump alla Casa Bianca, l’acquisizione di un’impresa da parte di gruppi stranieri deve normalmente essere esaminata e approvata da 16 enti che ne valutano la congruità rispetto agli interessi nazionali. Con la Cina i rischi e i pericoli sono maggiori”.

Perché in Cina tutto è guidato dal Partito comunista?

“Essenzialmente perchè in Occidente non abbiamo ancora ben capito come funziona il sistema cinese e se e come sia possibile conciliare una guida politica estremamente dirigista che si fa chiamare comunista solo per tradizione con l’economia di mercato e le attività imprenditoriali”.

In ogni caso, prima o poi le dinamiche del mercato spingeranno l’industria dell’auto verso un nuovo consolidamento: per la Fca sarebbe meglio un matrimonio con General Motors o con Volkswagen?

“Il consolidamento è più che probabile e la storia insegna. Quella dell’auto è una storia principalmente tedesca nella quale i gruppi tedeschi (da Mercedes a Bmw, a Volkswagen, all’Audi e ad altri ancora) hanno sempre avuto il primato. C’è quindi un aspetto  fondamentale da non dimenticare: non ci sarà mai alcuna alleanza con i tedeschi senza un ferreo controllo tedesco e questo Fca lo sa. Un’alleanza con Volkswagen o con un altro gruppo tedesco sarebbe inevitabilmente asimmetrica. Tutto il resto delle alleanze internazionali è aperto”.

Vuol dire che per Fca, come ha intuito da tempo Marchionne, sarebbe meglio allearsi con General Motors?

“Per allearsi bisogna essere in due, ma quel che ancora non è chiaro è che ruolo voglia realmente giocare l’azionista di controllo di Fca in questa partita. La famiglia Agnelli-Elkann è ancora interessata ad avere in portafoglio l’auto oppure no?”

Dipende da quale auto: Fca o Ferrari? Sia Marchionne che Elkann non sembrano certamente interessati a vendere Ferrari dopo averla tirata a lucido: non le pare? Semmai c’è da chiedersi se pensino davvero allo spin off dell’Alfa Romeo e della Maserati da Fca per integrarle con la Rossa di Maranello. Lei che opinione ha?

“Bisogna capire se per Fca contano di più i marchi o le tecnologie. Se contano di più i marchi, mettere insieme Ferrari, Alfa Romeo e Maserati per creare un grande polo dell’auto di lusso ha un senso. Se invece la priorità va alle tecnologie, allora gli obiettivi non possono che essere altri e il gruppo non può che pensare alle economie di scala, anche in vista di futuri accordi internazionali. Ma, ripeto, il nodo è strategico ed è inevitabile che la famiglia Agnelli si domandi che cosa vuol fare in futuro e se vuole contare o no nelle alleanze che si costruiranno nell’industria dell’auto”.

Pansa, al di là di Fca, Lei è stato per anni a capo di Finmeccanica, oggi Leonardo, che il nuovo Amministratore delegato, Alessandro Profumo, sta iniziando a riorganizzare, pensando – a quel che è finora dato di sapere – di rafforzarsi laddove c’è la possibilità di primeggiare e di cedere asset dove la presenza di Leonardo è marginale: quale è oggi lo stato di salute di quel gruppo e che consiglio darebbe a Profumo?

“Non ho consigli da dare perché mi pare che Profumo abbia capito benissimo che cosa c’è da fare per salvare e rilanciare Leonardo dopo gli errori della gestione Moretti che in tre anni, al di là delle rappresentazioni contabili, non ha prodotto alcuna idea strategica e nessun nuovo prodotto. Penso cioè che per Leonardo restino centrali l’elicotteristica e l’elettronica di difesa, mentre resta da valutare il ruolo del gruppo nell’aeronautica civile e militare, anche in considerazione degli enormi investimenti che vengono effettuati da altri Paesi. Ci vorrà tempo per raccogliere i risultati, ma mi sembra di poter dire che Profumo sia già sulla strada giusta”.

Malgrado si sia spesso occupato nella sua carriera professionale di grandi gruppi, oggi la sua attuale attività di operatore finanziario che ha fondato la Spac Innova Italy la sta portando ad interessarsi soprattutto di medie imprese, che sono il segmento più dinamico del sistema industriale italiano: come sta andando questa sua nuova esperienza e avete già individuato la società sui cui investire per quotarla in Borsa?

“Sono molto soddisfatto di Innova Italy: abbiamo raccolto sul mercato 100 milioni di euro per partire, siamo quotati all’Aim della Borsa italiana e nel giro di 3 o 4 mesi individueremo la società da quotare all’inizio del 2018. Mi sto convincendo ogni giorno di più che la Spac, pur essendo stata inventata negli Stati Uniti, è un veicolo particolarmente adatto alla realtà italiana, dove ci sono molte belle medie imprese da valorizzare aiutandole a crescere e a ricapitalizzarsi, senza nulla togliere al ruolo dell’imprenditore, che mantiene il controllo della società, a differenza di quanto avverrebbe se si affidasse a un fondo di private equity. La cintura di sicurezza della Spac ha peraltro il vantaggio di rendere la quotazione della società target meno rischiosa di una normale Ipo”.

Le Spac insieme ai Pir sono le grandi novità del sistema finanziario italiano di quest’anno: può essere la volta buona in cui la Borsa italiana faccia finalmente un salto di qualità?

“Ce ne sono tutte le condizioni purchè gli imprenditori sappiano cogliere le opportunità senza avidità e senza l’ossessione del controllo al 100% delle società ma avendo a cuore più l’interesse dell’azienda che il proprio. Allo stesso tempo gli investitori non dovranno avere l’ossessione della liquidità e della massimizzazione del dividendo ma saper guardare lontano. Solo così si potranno smentire le conclusioni di una recente ricerca inglese secondo cui le società non quotate investono mediamente di più di quelle che stanno in Borsa perché non hanno l’incubo dei risultati a breve. L’occasione delle Spac e dei Pir non capita sempre e sarebbe davvero un delitto perderla”.

Related Post
Categories: Interviste