Tempo di Natale, voglia di Panettone. Nove italiani su 10 lo preferiscono tradizionale, solo con uvetta e canditi, ma c’è anche chi non disdegna il cioccolato e le mandorle. C’è poi chi lo vuole stellato, e allora dà mano libera all’estro degli chef e ad ingredienti meno ortodossi, come riso, zafferano e liquerizia, scelti dal tristellato Michelin Massimiliano Alaimo nel suo ristorante Le Calandre di Rubano, la mela sostituita ai canditi dal patron del Pomiroeu di Seregno (1 stella) Giancarlo Morelli, che inserisce anche lime e bergamotto, o i semi di Panacea aggiunti dallo chef del ristorante Aqua Crua di Barbarano Vicentino (1 stella) Giuliano Baldessari. Il protagonista però è sempre lui, il Panettone, re delle festività natalizie e simbolo del ‘made in Italy’ richiesto in tutto il mondo. A volte anche in versioni molto creative, come quella del milionario indiano che lo scorso anno ne aveva commissionato uno del valore di 500 mila euro perché ricoperto d’oro e con una tiara in oro e diamanti. A prepararlo era stato Dario Hartvig della Pasticceria del Borgo di Carmagnola (Torino), che quest’anno ha deciso di crearne una versione più ‘popolare’ a 150 euro, ricoperta di una sfoglia d’oro e adagiata su una base di cristalli lunghi circa 50 centimetri. L’impasto però rispetta gli ingredienti della tradizione. Altra novità ‘eccentrica’ di questo Natale è il panettone alla cannabis: è fatto con uvetta, canditi siciliani, olio di semi di canapa e farina di canapa e si può trovare al Justmary di Milano ad un prezzo di 40 euro.
Insomma, di panettoni ce ne sono per tutti i gusti e da qualche anno anche la richiesta dall’estero sta lievitando. Secondo Aidepi, l’associazione delle industrie dolciarie e della pasta, nel nostro Paese vengono prodotti ogni anno circa 50 tonnellate di panettoni, che equivalgono circa a 50 milioni di unità (0,82 pro capite) per un giro d’affari complessivo pari a 331 milioni di euro, in costante crescita: (+4%). Il panettone artigianale invece, prodotto esclusivamente con lievito madre e ingredienti naturali, supera abbondantemente i 60 milioni di fatturato e la sua richiesta all’estero sta crescendo a tassi intorno al 5%. Un trend che potrebbe salire ulteriormente se si promuovesse, soprattutto all’estero, il panettone artigianale italiano come dolce da consumare tutto l’anno. Cosa che già fanno per esempio in Inghilterra, dove le vendite di panettoni e pandori sembra abbiano superato di gran lunga quelle del pudding, ma con prodotti spesso molto lontani dalla nostra qualità artigianale.
Tornando in Italia, in questi giorni si moltiplicano le manifestazioni che hanno il panettone come protagonista. Una delle più note, ‘Re Panettone’, a Milano ha già stilato la sua classifica dei migliori d’Italia: quest’anno il primo posto è stato assegnato al capo pasticciere della Pasticceria Incroissanteria di Carobbio degli Angeli (Bg), Italo Vezzoli. Le due menzioni, invece, sono andate a Vincenzo Mennella, capo pasticcere dell’omonima pasticceria a Torre del Greco (Na), e a Raffaele Vignola, capo pasticcere del Caffè Vignola a Solofra (Av). Nel week end dell’8 e 9 dicembre si svolgerà ‘Artisti del Panettone’, che porterà a Milano i più grandi pasticcieri d’Italia. Si parte dalla Lombardia, con il Maestro Iginio Massari, Vincenzo Santoro de La Martesana e Maurizio Bonanomi, per poi andare in Alta Badia insieme ad Andrea Tortora del ristorante St. Hubertus, regno dello chef tristellato Norbert Niederkofler. A Padova è la volta di Luigi Biasetto, mentre a Torino si incontra Fabrizio Galla e a Bologna e Prato, rispettivamente Gino Fabbri e Paolo Sacchetti. Il sud sarà rappresentato dai campani Alfonso Pepe,il grande pasticciere di Sant’Elgidio di Monte Albino (SA) pluripremiato vincitore delle passate edizioni di Re Panettone, da Sal De Riso e dal lucano Vincenzo Tiri. Sempre a Milano, dal 13 al 16 dicembre, si svolge la ‘Festa del Panettone’, con il tradizionale appuntamento con il panettone artistico più grande al mondo, firmato quest’anno da Davide Comaschi, campione mondiale del cioccolato nel 2013 e oggi direttore della Chocolate Academy.
Altro concorso, La Tenzone del Panettone che ha visto sfidarsi al circolo del Castellazzo di Parma, ‘ 58 maestri pasticcieri più importanti d’italia ha laureato Andrea Tortora, del St. Hubertus, col titolo di “Panettone dell’anno 2018”, Valter Tagliazucchi, del Giamberlano di Pavullo nel Frignano, con il suo panettone all’olio di Ama e zibibbo ha vinto il titolo per la categoria Panettone innovativo. La medaglia d’argento, per i panettoni tradizionali, è andata al pastry star Mauro Scaglia di Brescia, che ha battuto di misura il maestro panificatore di Viareggio Stefano Gatti. Sul podio degli innovativi, al sercondo posto è salito il panettone pere e cioccolato della star piemontese Fabrizio Galla, già vincitore nel 2017, mentre al terzo posto si è classificato il Panbabà del maestro Ampi Salvatore Gabbiano da Pompei.
Ma come fare a distinguere un panettone artigianale 10 e lode? Innanzi tutto bisogna sempre controllare l’etichetta. Il logo “Panettone Tipico della Tradizione Artigiana Milanese” può essere utilizzato solo dalle aziende autorizzate dal Comitato dei Maestri Pasticcieri e l’artigianale non può essere venduto oltre trenta giorni dalla data di produzione. Inoltre bisogna sempre diffidare dei prezzi molto bassi perché sono segnali di difetti e ingredienti di scarso pregio. Ma cosa dire dell’odore, la forma, il colore? Per il maestro dei pasticcieri artigianali Iginio Massari un panettone artigianale deve avere un profumo delicato ma intenso, una consistenza soffice e con la giusta umidità ed un colore giallo uovo, con tanta frutta ben distribuita all’interno. La crosta deve essere marrone chiaro tendente al dorato e le cavità interne allungate ed omogenee. Buchi molto grossi segnalano difetti nella lievitazione, così come una forma esterna piatta e non a cupola.
Uno dei dolci italiani più conosciuti all’estero, icona delle feste natalizie, Messer Panettone, invero non è stato concepito alla nascita da un famoso panettiere. Stando alle leggende sembra sia nato quasi per errore fra il ’400 . e il ‘500. La prima parla di un falconiere Ulivo degli Atellani, che abitava nella Contrada delle Grazie a Milano. Innamorato di Algisa, bellissima figlia di un fornaio, si sarebbe fatto assumere dal padre di lei come garzone e, per incrementare le vendite, avrebbe realizzato un un dolce di sua invenzione: con la migliore farina del mulino impastò uova, burro, miele e uva sultanina. Poi infornò. Il dolce piacque, tutti vollero assaggiare il nuovo pane e qualche tempo dopo i due giovani innamorati si sposarono e vissero felici e contenti.
Altra leggenda vede invece per protagonista Il cuoco al servizio di Ludovico il Moro incaricato di preparare un sontuoso pranzo di Natale cui erano stati invitati molti nobili del circondario, ma il dolce, dimenticato per errore nel forno, quasi si carbonizzò. Vista la disperazione del cuoco, Toni, un piccolo sguattero, propose una soluzione: «Con quanto è rimasto in dispensa – un po’ di farina, burro, uova, della scorza di cedro e qualche uvetta – stamane ho cucinato questo dolce. Se non avete altro, potete portarlo in tavola». Il cuoco acconsentì e, tremante, si mise dietro una tenda a spiare la reazione degli ospiti. Tutti furono entusiasti e al duca, che voleva conoscere il nome di quella prelibatezza, il cuoco rivelò il segreto: «L’è ‘l pan del Toni». Da allora è il “pane di Toni”, ossia il “panettone”.
Pietro Verri va invece più indietro nel tempo e narra di un’antica consuetudine che nel IX secolo animava le feste cristiane legate al territorio milanese: a Natale la famiglia intera si riuniva intorno al focolare attendendo che il pater familias spezzasse “un pane grande” e ne porgesse un pezzo a tutti i presenti in segno di comunione. Nel XV secolo, come ordinato dagli antichi statuti delle corporazioni, ai fornai che nelle botteghe di Milano impastavano il pane dei poveri (pane di miglio, detto pan de mej) era vietato produrre il pane dei ricchi e dei nobili (pane bianco, detto micca). Con un’unica eccezione: il giorno di Natale, quando aristocratici e plebei potevano consumare lo stesso pane, regalato dai fornai ai loro clienti. Era il pan di scior o pan de ton, ovvero il pane di lusso, di puro frumento, farcito con burro, miele e zibibbo.