Non c’è da stupirsi che i mercati abbiano reagito così negativamente alla notizia che il Governo si sia trovato a non disporre più della maggioranza dei voti in Parlamento e alla volontà del presidente del Consiglio di rassegnare le proprie dimissioni solo dopo l’approvazione del provvedimento richiesto dall’Europa.
In entrambi i casi si è introdotto un aumento dell’incertezza delle aspettative perché un governo senza maggioranza ha certo ulteriori difficoltà a far approvare un provvedimento già di per sé tormentato e le dimissioni solo annunciate non potevano contribuire di certo a rendere più determinato il quadro.
L’intervento del Presidente della Repubblica che ha indicato non solo tempi rapidi ma anche modalità determinate per ciò che accadrà e ciò che guiderà la sua azione nei prossimi giorni, è stato decisivo per fare chiarezza.
Immediatamente dopo le dimissioni del Presidente Berlusconi, che a questo punto sono attese per la giornata di sabato, si apriranno le consultazioni per verificare la praticabilità di un Governo che fronteggi l’emergenza e solo in caso di un esito negativo si passerebbe all’alternativa di indire elezioni anticipate.
Non c’è bisogno di dire, dopo le esperienze di questi giorni, quanto sia necessario porre in essere provvedimenti decisi e tempestivi per rispondere alla crisi in atto e, quanto sia necessario avere un Governo nella pienezza dei suoi poteri.
La legge di stabilità che verrà approvata nei prossimi giorni dal Parlamento è stata in effetti superata dagli eventi. Basta, per convincersene, leggere le osservazioni contenute nel questionario articolato in ben 39 punti trasmesso al Governo italiano dal Commissario europeo Rehn in cui sono toccate le questioni della previdenza e delle pensioni, dell’uso dei fondi strutturali europei per il mezzogiorno, degli investimenti in istruzione e infrastrutture, delle liberalizzazioni e delle rriforme del mercato del lavoro.Questo elenco dà l’idea del numero e della complessitaà dei problemi su cui l’Europa vuole risposte precise dal nostro Paese. Non c’è da stupirsi.
Intanto il tempo che è trascorso e il peggioramento delle aspettative di crescita per gli anni immediatamente a venire richiedono, già così, una revisione delle scelte da fare. Ma, soprattutto, non emerge dalle indicazioni del Governo un chiaro disegno degli interventi da mettere in atto sui due versanti della riduzione, sia pure graduale, del debito nei prossimi anni e della scelta dei motori su cui puntare per lo sviluppo.
Non basta indicare una lista di interventi se non si rendono espliciti, ad un tempo, le priorità e il disegno a cui si richiamano gli interventi. Questo è il difficile compito a cui è chiamato il nuovo governo se, come c’è da sperare ci sarà.
E che il compito sia difficile lo dice l’esigenza di un sostegno parlamentare assai ampio con posizioni ovviamente assai più differenziate di quel che è accaduto nel Governo Berlusconi. Può riuscire un nuovo Governo laddove non è riuscito l’attuale?
Al di là dei dubbi che pur sono stati manifestati, non c’è dubbio che esso avrebbe dalla sua la situazione di assoluto allarme per le sorti della nostra economia che nessun parlamentare dovrebbe prendersi la responsabilità di trascurare.
Ciò che va affrontato e superato sono le resistenze corporative al cambiamento sia nell’area del privato che nel pubblico che rappresentano il maggior ostacolo alla crescita.
I costi della politica e i privilegi sono solo uno degli aspetti del problema. Quello che c’è da fare è cambiamento radicale nel modo di intendere le relazioni tra economia e politica. Politica degli incentivi, interventi per il mezzogiorno, rapporto pubblico-privato sono i titoli principali delle questioni da affrontare.
Non c’è dubbio che il messaggio da dare subito ai mercati deve essere come si intende ridurre la spesa e debito pubblico nei prossimi anni. La scelta che, in principio, dà maggiori assicurazioni che questo avvenga regolarmente negli anni avvenire è la riduzione della spesa pensionistica, che ha un’evoluzione del tutto certa e prevedibile. Ma, a dispetto dell’evidenza, non è la questione centrale che dobbiamo affrontare.
Il debito continuerà a gravare su di noi, minaccioso, se non usciremo dal tunnel di produttività e crescita vicini allo zero. Occorre fare scelte precise a favore della crescita. Gli interventi a costo zero per lo sviluppo, a cominciare da apertura dei mercati e liberalizzazioni, vanno fatti ma non bastano.
Occorre usare bene, accentrando le scelte strategiche, i fondi europei per il Mezzogiorno e fare pochi ma importanti investimenti in infrastrutture materiali ed immateriali.
E’ necessario recuperare risorse oltre che con la lotta all’evasione con una patrimoniale che accoppi la necessaria equità con il reperimento di risorse da destinare alla riduzione del cuneo fiscale, distribuendone il risultato in modo da dare alle famiglie una maggiore capacità di spesa e alle imprese un minor costo del lavoro.
Naturalmente non c’è da illudersi che esistano provvedimenti taumaturgici. Ma c’è da credere che un Governo che esprima indirizzi determinati e ne persegua la realizzazione molto può fare per fare uscire il Paese dalla situazione in cui si trova.