Paesi emergenti, nuovi ricchi, giganti del futuro. Oppure Brics, se si parla solo dei primi 5 di loro (Brasile, russia, India, Cina, Sudafrica). Chiamateli come volete, sono i 25 Paesi più dinamici economicamente nel mondo, che hanno gli occhi puntati addosso, ormai da anni, di stampa, mercati, opinione pubblica, istituzioni internazionali e soprattutto investitori.
Entro il 2020, questi 25 nuovi colossi mondiali peseranno da soli per oltre il 50% dell’attività economica globale (misurata sul potere d’acquisto). E’ quanto emerge dalla ricerca trimestrale di Ernst&Young, “Rapid growth markets overview”, pubblicata ieri.
I venticinque in questione sono, oltre ai già citati magnifici cinque: Corea del Sud, Kazakistan, Vietnam, Nigeria, Ghana, Indonesia, Egitto, Malesia, Argentina, Thailandia, Ucraina, Colombia, Polonia, Turchia, Cile, Arabia Saudita, Messico, Repubblica Ceca, Quatar e Emirati Arabi. La crescita di queste nazioni va a velocità doppia dall’inizio del millennio rispetto ai Paesi storicamente avanzati: mediamente 5,4% all’anno, con previsioni del 6,2% per il 2011. Questo dato, messo insieme a quello della popolazione (che rappresenta la stragrande maggioranza del pianeta) dovrebbe portare i top 25 ad accentrare entro il 2020 il 75% dei posti di lavoro mondiali.
Lo studio Ernst&Young prevede che nel prossimo decennio la loro crescita sarà non più doppia ma più che triplicata rispetto ai Paesi occidentali: si stima infatti che sarà 3,5 volte tanto. Ma non è tutto: entro 9 anni questi nuovi colossi dell’economia attireranno il 52% della domanda di automobili e il 38% di quella dei prodotti da consumo. Questo trend favorirà anche i Paesi per così dire “ex ricchi”, che vedranno pertanto duplicare le loro esportazioni dai 9.580 miliardi di dollari annui di oggi, ai potenziali 17.600 miliardi del 2020.
Ma non per questo i “nuovi” saranno dipendenti dai “vecchi”: il loro mercato interno è infatti anche lui destinato a crescere, soppiantando in alcuni casi le anemiche economie occidentali. Sperando tuttavia che le economie occidentali non si ammalino troppo gravemente, visto che l’export di Brics e compagni rappresenta spesso oltre il 100% del loro Pil. Nel caso in cui la crisi del debito precipitasse ulteriormente nell’eurozona, e altretanto facesse la stagnazione del sistema Usa, infatti, la crescita dei venticinque nel 2013 dovrà essere ridimensionata al 3,2%. Ma se invece l’Europa e gli Stati Uniti dovessero risollevarsi senza problemi, questa crescita è pronosticata addirittura a sfiorare il 7%.
Dunque, vecchi e nuovi non fa differenza: tifiamo tutti per l’Europa.
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