Quando si parla di gas si ha sempre l’impressione di trovarsi davanti a un enorme puzzle in cui manca sempre qualche pezzo. Al momento è soprattutto il tassello-prezzi a catturare l’attenzione, ma nei suoi dintorni sono determinanti anche i tasselli del tetto al prezzo, dei finanziamenti delle infrastrutture, le attese degli incentivi, le tassazioni, mentre sullo sfondo la Commissione cerca di costruire un contorno regolatorio che presenta non pochi reticoli incrociati che per di più continuano a cambiare disegno.
È quadro che emerge dall’ultimo rapporto del Laboratorio REF Ricerche relativo alla regolazione del gas dell’Unione Europea nell’attuale contesto geopolitico ed energetico.
La spirale dei prezzi: guerra sì, ma soprattutto timori scarsità
Quella che sembrava una risorsa scontata e alla portata di tutti, all’improvviso per un susseguirsi di eventi è apparsa in tutta la sua precarietà e sono state proprio le preoccupazioni per una sua carenza a innescare la prima spirale dei prezzi.
Lo scoppio della guerra a fine febbraio non ha fatto che esacerbare tensioni che erano già in atto.
“Già il 2021 aveva visto i prezzi del gas a livelli record, con punte giornaliere di oltre 10 volte i livelli minimi raggiunti nel 2020 all’apice della pandemia, collocandosi su valori superiori di 5 volte alla media degli ultimi dieci anni” dice l’istituto di ricerca.
La spiegazione non è nei costi di produzione, bensì proprio nella scarsità della materia. Le concause sono le più svariate: temperature più fredde nell’Asia nord-orientale, scarsità dell’offerta (rallentata dalla pandemia e dall’incertezza per le politiche ambientali), il debole riempimento degli stoccaggi in Europa (specialmente di quelli controllati da Gazprom) e l’elevato svuotamento estivo perseguito dai traders a fronte della crescita dei prezzi spot e, infine la ripresa economica mondiale, superiore alle previsioni, in particolare della Cina. Il risultato è che, per la prima volta, il prezzo del gas è salito al di sopra di quello del greggio, in termini di potere calorifico equivalente. Poi è arrivata la guerra in Ucraina a rincarare la dose.
Mentre le forniture russe non sono state finora intaccate dalle sanzioni e sono anzi cresciute rispetto al 2021, è ancora il timore di una nuova stretta – per esempio con un blocco delle forniture – a far schizzare i prezzi con punte di oltre 220€/MWh, per poi vedere una relativa e precaria stabilizzazione intorno a 100 euro. Tali rincari – con ripercussioni anche sui mercati elettrici – hanno provocato effetti complessi su imprese e consumatori, spesso difficilmente calcolabili.
Anche dal lato dei consumatori il quadro è complesso
Con la liberalizzazione dei mercati, molti hanno scelto contratti che prevedono prezzi fissi o un’indicizzazione solo parziale ai prezzi spot. Per esempio, in Italia, secondo dati dell’autorità di regolazione, l’84% dei clienti del mercato libero dell’energia elettrica e il 74% del gas ha scelto contratti a prezzo fisso per almeno un anno, risultando quindi temporaneamente protetti dall’evoluzione dei prezzi internazionali dei combustibili, anche se il beneficio potrebbe essere significativamente ridotto alla scadenza dei contratti stessi.
L’impervia strada del tetto ai prezzi
L’ipotesi di fissare i prezzi in linea con i costi medi di approvvigionamento, in un contesto in cui il mercato è suddiviso tra molti operatori, non è praticabile. Si tratterebbe di fissare prezzi diversi per ciascun operatore e probabilmente per ciascun Paese, ma questo richiederebbe il blocco della concorrenza, a meno di consentire agli operatori con costi inferiori di svuotare le quote di mercato di quelli con costi maggiori. Si avrebbe dunque un totale rovesciamento dei principi del mercato europeo, che non appare possibile neppure su base temporanea, dice ancora Ref.
Più promettente sembra essere un uso maggiore della leva fiscale, già utilizzata sia pur timidamente in vari Paesi, tra cui l’Italia, e che può valersi dell’esperienza accumulata soprattutto dalle nazioni ricche di materie prime energetiche, che da decenni hanno familiarità con le fluttuazioni dei prezzi delle fonti fossili e hanno imparato a fronteggiarle.
Molti di questi Paesi hanno una triplice tassazione delle imprese produttrici di petrolio, gas e carbone: una tassa fissa commisurata alla produzione, che di fatto entra a far parte del costo della stessa (royalty), la tassazione ordinaria dei profitti d’impresa, comune alla maggior parte dei settori produttivi e una tassa specifica sui profitti delle vendite di combustibili fossili, calcolata sulla base di costi di produzione standard e dei prezzi di vendita, che entra in funzione solo quando si manifestano profitti straordinari con aliquote superiori.
Il gettito della tassazione straordinaria può essere utilizzato per predisporre fondi, a durata limitata, idonei a offrire una protezione temporanea dei consumatori (civili e industriali) particolarmente colpiti dagli aumenti, nonché a finanziare programmi di efficienza energetica. La temporaneità consente di mantenere “in vita” tali consumatori, senza togliere loro l’incentivo ad adottare strategie industriali, contrattuali e finanziarie idonee ad affrontare meglio shock futuri, anche modificando, ove necessario, prodotti e processi produttivi o passando all’uso di fonti rinnovabili.
L’idrogeno potrebbe essere la strada principale
Probabilmente sarà l’idrogeno a svolgere il ruolo principale, ma si dovrà affrontare il tema dei finanziamenti per poter sviluppare le reti e qualcuno potrebbe voler attendere gli incentivi prima di compiere qualunque passo.
Per l’accesso dell’idrogeno, viene stabilito un limite generale del 5% per la miscelatura nelle reti del gas naturale e l’accesso al mercato (in particolare agli hub che si dovrebbero formare in analogia a quelli del gas naturale) dovrà essere consentito anche a partire dall’eventuale connessione alle reti di distribuzione, dice Ref. Il frazionamento (unbundling) è previsto all’inizio, in modo da evitare la formazione di operatori integrati che controllino sia la produzione e la vendita sia il trasporto e la distribuzione, con la separazione proprietaria delle reti di trasporto quale soluzione normale.
Tuttavia, fino al 2030, le reti dell’idrogeno potranno evitare le tariffe regolate e prevedere invece un sistema di accesso negoziato, purché trasparente e non discriminatorio. Sarà concesso l’automatico trasferimento delle licenze ed autorizzazioni già in possesso dei gestori di rete del gas naturale nel caso che queste siano destinate al trasporto di idrogeno (repurposing).
Non sono da trascurare anche altri gas rinnovabili come biogas o biometano derivante dall’agricoltura e dal ciclo dei rifiuti urbani, senza trascurare l’idrogeno prodotto a basso contenuto di carbonio e si accetta la prospettiva dello sviluppo di una rete di trasporto parallela a quella del gas, anche se non ci sono previsioni ufficiali.
Il nodo delle reti: chi le costruisce e soprattutto che le paga ?
Ma uno degli aspetti maggiormente controversi è certamente il finanziamento dello sviluppo delle reti. Si prevede da una parte la possibilità di sussidi incrociati dalle reti gas, che probabilmente fornirebbero buona parte dei finanziamenti, dall’altra la possibilità di meccanismi di compensazione tariffaria, in particolare (dopo il 2030) per lo sviluppo di interconnessioni mancanti tra diversi sistemi nazionali.
Questa previsione potrebbe tuttavia portare qualche Paese (e i suoi operatori) ad attendere gli incentivi, ritardando di fatto lo sviluppo del mercato e la competizione nello stesso.
Il tema degli stoccaggi e delle riserve strategiche
In materia di sicurezza dell’offerta, il balzo senza precedenti dei prezzi sembra aver spinto l’Europa ad accettare l’opinione – finora minoritaria – circa l’utilità di misure di riempimento obbligatorio degli stoccaggi o di creazione di riserve strategiche, accettando così la visione finora difesa da Francia, Italia, Spagna, Ungheria e pochi altri. Anche in quest’area, l’attuazione contiene numerose trappole e temi controversi, come quella della definizione dei meccanismi di condivisione delle risorse disponibili e del loro costo.
A volte gli eventi costringono a fare un’inversione a U
La crisi è giunta proprio mentre erano state appena lanciate dalle istituzioni europee le proposte di riforma del mercato del gas -con il nuovo Pacchetto Gas – che stava andando in tutt’altra direzione: sotto la stella della decarbonizzazione esso punta a definire un quadro regolatorio per poter abbandonare proprio il gas naturale che ora tutto vogliono e andare verso altri gas di natura rinnovabile, tra i quali l’idrogeno.
Infatti negli ultimi anni gli operatori sembrano aver accettato la possibilità e l’opportunità di produrre, trasportare ed utilizzare gas di tipo rinnovabile, facendo valere i propri vantaggi strutturali rispetto all’energia elettrica: in particolare i notevolmente minori costi di trasporto e stoccaggio, attraverso modalità di integrazione con il settore elettrico (quali le tecnologie power to gas) e con quello petrolifero, oltre che attraverso le soluzioni di sequestro, stoccaggio e riutilizzo del carbonio. Si tratta di un’ampia gamma di soluzioni tecnologiche, spesso innovative ed in competizione tra loro, il cui futuro è tutt’altro che scontato, dice Ref.
L’attuazione del pacchetto potrebbe richiedere meno tempo e sforzi di quanti furono necessari per il gas naturale, data l’esperienza precedente, la minore resistenza di interessi precostituiti e il rafforzamento dei poteri di surroga della Commissione.
Tuttavia, alcuni aspetti delicati, come i meccanismi di compensazione tra gestori diversi, potrebbero essere fonte di lunghe dispute e ritardi, come avvenne ad esempio per il sistema di compensazione necessario tra gestori della trasmissione elettrica.
In Europa, la percezione stessa di trasferimenti di risorse tra Paesi, anche limitate, suscita sempre grandi sospetti, ed è stata finora generalmente evitata nel settore gas.