L’edizione di luglio dell’Osservatorio Swg fotografa una situazione politica indefinita, in cui tutte le forze in campo, preso atto della prossima conclusione dell’esperienza del governo tecnico (Monti stesso ha affermato la sua intenzione di non ricandidarsi nel 2013), temporeggiano, come attendessero che sia qualcun altro a fare la prima mossa, per non commettere passi falsi.
L’unico scossone ad uno scenario immobile l’ha dato, come spesso accade, Silvio Berlusconi, rinunciando, per lo stupore di pochi, a restare in disparte e annunciando, in un inquietante deja-vu, la sua nuova discesa in campo.
Anche così si spiegano le variazioni assai flebili nelle intenzioni di voto rispetto a giugno. Pd invariato rispetto al mese precedente (24%). Ciò che resta del Terzo Polo perde quell’1,5% necessario a rimpolpare gli esangui consensi di Lega (dal 5 al 5,5%) e Pdl (dal 15 al 16%), mentre si placa il Movimento 5 Stelle che, dopo la crescita poderosa tra maggio e giugno, si assesta sul 20% (dal 21%).
Sostanzialmente statico anche il quadro della fiducia nei principali leader: comanda Grillo, al 29%, seguito da Bersani al 26%, e poi a ruota da Di Pietro (25%) e Vendola, appaiato al 23% con Maroni, assestatosi su valori più consoni dopo il picco di aprile. Più giù Alfano (18%), che non ha mai scaldato i cuori dell’elettorato, e Berlusconi (17%) che cerca di risalire la china. Chiudono Fini e Casini, a braccetto al 14%, e l’ovvio fanalino di coda Umberto Bossi, staccato al 6%. Discorso a parte per Monti che, grazie alle sue posizioni internazionali, guadagna un punto percentuale, salendo al 34%.
Numeri eloquenti, che raccontano la continua emorragia di credibilità della politica italiana. Un’emoraggia che, partendo dai leader, si irradia sui loro partiti, che tirano a campare senza squilli, in precario equilibrio su fili sottili e spesso ambigui, quasi fossero spaventati dall’assoluta neccesità di risalire la corrente e riguadagnare la credibilità perduta presso i cittadini in tempo utile per le elezioni.
Il partito ritenuto “più credibile” dagli intervistati risulta al momento il Movimento 5 Stelle, che continua però a dividere l’opinione pubblica in modo manicheo tra chi vede nel partito di Beppe Grillo il bene assoluto e chi, invece, lo identifica con il male. Il Pd, dopo il picco delle elezioni amministrative dello scorso anno, si mantiene sui livelli di inzio 2011 (dal 32 al 31%), mentre qualcosina in più perdono l’Idv, che paga forse un po’ d’usura, e, soprattuto, Sel, che passa dal 31 al 21% e sconta molto l’assenza dal Parlamento.
A destra colpisce il calo vertiginoso del Pdl, passato nell’arco di un anno e mezzo dal 41% al 19%, anche se gli ultimi movimenti, per quanto sembrino essere più formali che sostanziali, rivestendo lo stesso corpo di un nuovo abito (o forse di un abito antico, ma assurto ad una rinnovata verginità, col possibile ritorno a Forza Italia) dovrebbero restituire linfa al partito.
Naturale anche il crollo di fiducia nella Lega Nord, passata dal 34% all’11%, a seguito degli scandali che hanno coinvolto la famiglia Bossi, mentre ristagnano Udc e Fli che, dopo l’abbandono del progetto mai decollato del Terzo Polo, si barcamenano al ribasso, in attesa di trovare una nuova strada da intraprendere.
Tutto sembra fermo, oggi, ma tutto sta cominciando a muoversi. Può succedere qualsiasi cosa, da qui alle elezioni del 2013, visto che i partiti italiani, nessuno escluso, si trovano tutti nelle stesse sabbie mobili, sprofondati nel baratro della loro poca credibilita. Del sabbie mobili dalle quali chiunque, muovendosi nel modo giusto, può riuscire ad emergere. Sarà un anno lungo.