X

Oscar: trionfa The Artist, premiati per la scenografia Ferretti e Lo Schiavo

Scivola via lenta e senza sussulti la (troppo) lunga notte del Kodak Theatre (che, con tutta probabilità, ospitava l’evento per l’ultima volta). Tutto è andato come doveva andare: tra gli attori vengono rispettati tutti i pronostici, con Jean Dujardin, secondo attore non di lingua inglese a riuscire nell’impresa, che trionfa sul Clooney dimesso, ma intensissimo, di Paradiso amaro (che ha vinto per la sceneggiatura non originale), mentre, tra le donne, come da copione, Meryl Streep si è portata a casa la terza statuetta su 17 nomination per la sua Iron Lady.

Tra i non protagonisti premiati Christoper Plummer (il vincitore più vecchio di sempre, coi suoi 82 anni) per la sua interpretazione in The Beginner, nella parte coraggiosa di un anziano rimasto vedovo, che decide di confessare e vivere la propria omosessualità, e Octavia Spencer, cameriera nera nel Mississipi razzista in The help.

C’è gloria anche per Woody Allen, premiato per la migliore sceneggiatura originale per il suo Midnight in Paris e, come ampiamente previsto, per Una separazione, dell’iraniano Asghar Fahradi, mentre sono stati snobbati Spielberg e Malick, tornati a casa a mani vuote.

A trionfare è stato, però, The Artist, il film muto di Michel Azanavicius (premiato anche come miglior regista), che ha vinto la sfida a due con Hugo Cabret di Scorsese.

Era una sfida suggestiva, questa, tra due pellicole profondamente legate tra loro e allo stesso tempo profondamente diverse, due storie di perdita e redenzione, di discesa negli inferi (magistralmente messa in scena in Hugo Cabret dal nostro Dante Ferretti, che disegna nei meandri della stazione di Parigi una vera e propria selva oscura, in cui a farla da padrone è il tempo implacabile, scandito da lancette ovunque che sembrano pugnali) e ritorno, di abbandono e salvezza. Salvezza che, in entrambi i film, può essere ottenuta solo attraverso l’amore.

Ma soprattutto sono due film in cui il cinema si fa metacinema e finisce per parlare, soprattutto, di se stesso, celebrando malinconicamente ciò che è stato e che ormai non può più essere. In tal senso è anche curioso, se vogliamo, che un regista francese abbia celebrato la Hollywood che fu, mentre un autore americano omaggiava il pioniere francese Meliès.

Detto questo, però, i film smettono di assomigliarsi e iniziano a divergere, fino a trovarsi al capo opposta di una stessa linea. Perché The Artist regala, con maturità e anche con una certa furbizia che non guasta, la breve illusione di una nuova vita del muto Hollywoodiano degli anni d’oro, riesumandolo per due ore, e raccontando allo spettatore una verità, questa sì, rivoluzionaria, e cioè che per emozionare e divertire si può fare a meno della tecnologia, anche di quella più vecchia e più scontata (il sonoro), se si hanno delle idee forti e dei grandi attori.

Mentre la pellicola di Hazanavicius porta il cinema di oggi, con la sua sensibilità, all’interno di un abito antico indossato con tanta grazia da sembrare nuovissimo, l’omaggio di Scorsese procede nella direzione esattamente inversa, portando il cinema che celebra dentro quello di oggi, trascinandolo nell’ipertecnologia avvolgente del 3d e mettendolo in scena con potenza (rifacendo addirittura “L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat”), ma anche con troppa ingenuità, pagando una trama a tratti infantile e sempliciotta e la recitazione zoppicante dei due ragazzini. 

Ha vinto The artist ed è stato giusto così, non soltanto perché l’operazione compiuta è in certi termini davvero rivoluzionaria, ma anche, molto semplicemente, perché The artist era il film migliore in concorso.

A rappresentare il contingente italiano c‘era il giovane Enrico Casarosa, nominato, ma non vincitore per il poeticissimo corto d’animazione “La luna”, incontro riuscito tra una produzione americana (la Pixar) e una fantasia, e dei personaggi, tipicamente italiani (vedere per credere i due adulti protagonisti del corto, di professione spazzini della luna, che bofonchiano e gesticolano, baffoni scuri e coppola in testa).

Oltre a lui, ovviamente, c’erano Dante Ferretti e la moglie Francesca Lo Schiavo, premiati per la scenografia di Hugo Cabret (che ha ricevuto altri 4 premi, tutti in categorie tecniche). L’uomo che sapeva dare forma, per solito imponente, alle visioni di Pasolini e soprattutto Fellini, e che poi è sbarcato con successo ad Hollywood vincendo, con questa, ben tre statuette, era visibilmente emozionato nel ritirare l’ambito premio. Dopo il ringraziamento, di rito (ma molto sentito) a Scorsese, a prendere la parola è stata la moglie, che con voce rigida e accento marcatamente italiano ha dichiarato, anche lei molto emozionata, ma stentorea :”This is for Italy”.

Related Post
Categories: Cultura
Tags: Cinema