“Grazie alle mie fonti di ispirazione, i Talking Heads, Federico Fellini, Martin Scorsese, Diego Armando Maradona. Mi hanno insegnato tutti come fare un grande spettacolo, che è la base per il cinema”. Con queste parole Paolo Sorrentino non solo ha ritirato il suo primo (ci va di essere ottimisti) premio Oscar, ma ha anche disegnato il suo personalissimo pantheon, il tempio che ospita i numi tutelari della sua arte.
Niente di nuovo, in fondo. Niente che non sapessimo già: “This must be the place” è un omaggio di due ore a David Byrne, che ne ha anche composto la colonna sonora, e soci. E poi c’è Scorsese, che in fondo e la divinità protettrice del cinema italiano in America. In qualche modo uno di noi, un Paisà.
C’è Fellini, il maestro: non c’è stata una sola critica della Grande bellezza che non abbia tirato in mezzo La dolce vita. Per i temi trattati, per il ritratto di una Roma diversa, ma in fondo profondamente simile. Per i due protagonisti, soprattutto, Mastroianni e Servillo, due perdenti di classe che passeggiano con enorme distacco sopra la vita, divisi tra arte e rotocalco, senza accorgersi di essere impaludati anche loro come tutti gli altri.
E alla fine c’è Maradona. Normale per un napoletano nato negli anni ’70 guardare a lui, anche quando si parla di cinema. E in fondo Sorrentino potrebbe essere il Maradona dei nostri registi, l’unico capace di fare certe cose, di portare un lampo di luce vivissima anche all’interno delle partite, o se preferite dei film, meno riusciti.
Ma intanto l’Italia torna a fregiarsi di una statuetta dopo 15 anni, dai tempi de La vita è bella. A Hollywood, Los Angeles, mentre qui da noi, a diecimila chilometri di distanza, incombe il tempo materiale, e non è più (o forse non è mai stata) l’ora dell’arte. Diremo comunque che l’Italia piace ancora, anche se non piace a se stessa, e forse in pochi diranno che l’Italia piace soprattutto quando racconta l’unica cosa che può ancora raccontare, la sua perdita di valori e orientamento, la “metafora del proprio declino”.
La vittoria di Sorrentino è una vittoria molto bella. Sarà utile solo se ammetteremo che non è la vittoria del nostro cinema, ma il lampo del suo unico fuoriclasse.