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Oro, tutte le incognite del referendum in Svizzera

Il “sì” domenica imporrebbe alla Banca Nazionale svizzera di acquistare in 5 anni più di 1600 tonnellate di metallo, ma il parere negativo del presidente Jordan probabilmente farà pendere la bilancia dalla parte del “no”. Dopo di che le quotazioni potrebbero tornare giù, spinte anche dalla debolezza del petrolio.

Oro, tutte le incognite del referendum in Svizzera

“Save Our Swiss Gold” è lo slogan dei promotori del referendum su cui si confronteranno i cittadini svizzeri domenica. Non si tratta dunque di salvare le anime, come invoca l’Sos, ma l’oro. I conservatori dell’Unione Democratica di Centro sostengono che le riserve valutarie, specialmente la componente in euro, sono assai meno sicure rispetto al metallo pregiato. E in nome dell’indipendenza del paese e delle sue scelte vogliono anche il ritorno nei loro caveaux di quelle riserve auree svizzere custodite  a tutt’oggi in Canada e in Gran Bretagna.Il voto dovrà decidere se imporre alla Banca Nazionale Svizzera (Bns) di acquistare entro cinque anni abbastanza oro da costituire scorte auree pari al 20% delle riserve valutarie totali. Con l’impegno di non alienarne più neppure un grammo. Il successo di questa linea, che viene chiamata Gold Initiative, sarà decretata soltanto se riceverà l’assenso sia della maggioranza dei votanti, sia della maggioranza dei cantoni.

Oggi le riserve valutarie svizzere sono pari a 1040,1 tonnellate e sono superate solo da quelle di Usa (8133,5 tonn.), Germania (3384,2), Fondo Monetario Internazionale (2814), Italia (2451,8), Francia (2435,4), Russia (1185) e Cina (1054,1). Nella graduatoria del quantitativo di oro pro-capite la Svizzera balza al primo posto, mentre come quota delle riserve valutarie totali la percentuale per Berna è poco inferiore all’8%, contro il 72% negli Usa, il 68% in Germania, il 67% in Italia, il 65% in Francia, il 10% in Russia e poco più dell’1% in Cina. 

Portare questo 8% fino al 20% significa acquistare in cinque anni da 1600 a 1730 tonnellate d’oro, un quantitativo che equivale a più di metà della produzione mineraria mondiale annua. Significa anche sconfessare la strategia del recente passato: nel 1997 le riserve auree svizzere erano pari a 2590 tonnellate, ma nel ’99 venne sancita la fine della parità tra oro e franco svizzero e venne anche decisa la vendita di un forte quantitativo di metallo (1550 tonnellate infatti vennero dismesse tra il ’97 e il 2005) con la scusa di creare un fondo di solidarietà che risarcisse le vittime di crimini contro l’umanità. La destinazione però, più prosaicamente, venne modificata a favore delle finanze dei cantoni.

Il desiderio di tornare verso l’oro, come si è detto, riflette la paura che continuino a svalutarsi tutti gli euro che sono stati comprati dalla Banca centrale allo scopo di frenare il rafforzamento del franco svizzero. Nel solo 2012 le riserve in valuta del paese sono balzate da 257 a 432 miliardi di franchi, in buona parte però denominate in euro, quindi soggette negli ultimi mesi a consistenti flessioni.

Thomas Jordan, presidente della Bns, è assolutamente contrario all’iniziativa, che gli imporrebbe di detenere un forte quantitativo di oro senza possibilità di muoverlo, di prestarlo, di venderlo. Con in più il rischio di pagarlo gradualmente sempre più caro, proprio grazie al sostegno che gli acquisti potrebbero dare al mercato internazionale dei metalli preziosi. Il suo parere ha influito sui sondaggi condotti tra gli elettori: le ultime proiezioni davano il sì al 38%, il no al 47% e gli indecisi al 15%. Il sì è considerato vincente in particolare nel Canton Ticino. Intanto i fautori del referendum cercano di portare dalla propria parte coloro che ancora sono incerti. Non li aiuterà però il parere espresso da Citigroup, secondo cui non si deve attribuire all’oro un valore intrinseco reale. È come comprare bitcoins, dicono, e sarebbe meglio piuttosto investire in una paniere di Etf legati a diverse materie prime.

Il mercato nel frattempo dimostra la cautela degli investitori: l’oro il 5 novembre era sceso al minimo quadriennale di 1142 dollari per oncia, al fixing di Londra, ed è risalito intorno a 1200 dollari, un range che ha mantenuto nelle ultime otto sessioni, ma resta ben lontano sia dai 1385 dollari di metà marzo, sia ancor più dal record storico superiore a 1921 dollari, stabilito nel settembre 2011.

Il legame tra gli investitori e il metallo prezioso è sostanzialmente emotivo. Le quotazioni oggi sono in linea con quelle di fine 2013 e rispetto al 31 dicembre 2012 sono scese (in dollari) del 28%. Una caduta che ha fatto dimenticare, con un colpo di spugna, che nei dodici anni precedenti l’oro si era sempre apprezzato: l’ultimo fixing del 2000 infatti era fermo a 272,65 dollari. O forse i recenti tracolli hanno proprio fatto temere un ritorno ai bassissimi valori di fine millennio. 

L’impatto di un voto a favore degli acquisti è tutto da verificare. L’oro, sostiene qualche analista, potrebbe risalire fino a 1350 dollari. Ma non è detto che le transazioni fisiche siano sufficienti a contrastare la concorrenza di strumenti finanziari e titoli azionari. C’è anche un forte legame tra oro e petrolio, da non sottovalutare. Un calcolo di Société Générale dice che con il Brent a 70 dollari al barile ci si può aspettare un ulteriore stop all’inflazione e un conseguente calo del 5% circa per le quotazioni dell’oro. Situazione che sta diventando molto verosimile, alla luce del meeting dell’Opec a Vienna. I ribassi dovrebbero però successivamente essere frenati dal fatto che il break-even di moltissime miniere aurifere è già pericolosamente vicino.

Un altro terreno inesplorato riguarda il franco svizzero e la Bns: vendere franchi per acquistare oro dovrebbe, in teoria, frenare la corsa al rialzo della moneta di Berna, ma rischia di esercitare l’effetto opposto, sul medio termine, anche perché la Bns potrebbe usare l’occasione per ridurre la presenza di titoli in euro nelle proprie riserve. Né si può dimenticare che la Russia, afflitta da una grave debolezza del rublo, ultimamente ha intensificato gli acquisti di oro proprio per dare un sostegno alla propria valuta.

Il presidente Jordan, che guida la Banca centrale svizzera, ha affermato che il programma di acquisti potrebbe anche non indebolire la valuta, ma sicuramente indebolirebbe la Bns e renderebbe più difficili i suoi obiettivi, in particolare quelli di tenere l’inflazione al 2% e frenare il rapporto euro/franco svizzero perché rimanga intorno a 1,2. È da notare che se l’oro calasse, nonostante gli acquisti di Berna, la Bns rischierebbe una perdita superiore a quella che potrebbe accusare sulla la moneta unica.

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