Tra le variopinte idee del presidente degli Stati Uniti Donald Trump nel suo secondo mandato c’è anche quella che vorrebbe essere una mossa d’oro, è il caso di dirlo, per migliorare il bilancio del governo e far scendere i rendimenti dei Treasuries a lungo termine: la monetizzazione delle riserve auree del governo. Lo dice il Financial Times facendo riferimento a uno schema di massima messo a punto dal capo dei consiglieri economici della Casa Bianca, Stephen Miran e alle recenti dichiarazioni del nuovo Segretario al Tesoro di Trump, Scott Bessent, che la scorsa settimana ha detto: “Nei prossimi 12 mesi monetizzeremo il lato attivo del bilancio degli Stati Uniti”, anche se poi, successivamente Bessent ha smussato i toni e sfumato l’ipotesi.
Il prezzo dell’oro delle riserve auree Usa è stato iscritto a bilancio a 42,5 dollari l’oncia nel 1973 (il prezzo di Bretton Woods) e non è mai stato aggiornato, ben lontano dall’attuale prezzo di mercato che ha visto il metallo giallo sfiorare i 3.000 dollari. Al Tesoro è consentito impegnare le sue riserve di oro fisico alla Fed in cambio di denaro.
Un apporto di 750 miliardi al bilancio del Tesoro Usa
Se venisse messa a terra la sua rivalutazione, che dovrà avere l’approvazione del Congresso, si verrebbe a creare un apporto di circa 750 miliardi di dollari al bilancio del Tesoro, in aumento rispetto ai circa 11 miliardi di dollari attuali: ciò significherebbe innanzitutto una netta riduzione della necessità di nuove emissioni di debito. Il debito federale totale degli Stati Uniti detenuto dal pubblico ammonta ora a quasi 29 trilioni di dollari. Barclays in una nota ai clienti di questa settimana, ha detto che ciò ridurrebbe l’offerta di debito di circa il 12% e sposterebbe la data in cui il governo esaurirà il suo stock di emissini possibili, la cosiddetta data X, oltre il febbraio 2026, rispetto alle attuali previsioni attorno ad agosto 2025.
Meno emissioni di Treasuries e rendimenti a lunga durata in calo
Nella sua cavalcata verso nuovi massimi storici, quasi tutti i commentatori mettono in relazione i movimenti di prezzo dell’oro con la guerra commerciale e con l’inflazione. Ma ci sono altre ipotesi, come quella di Websim, che invece vedono una relazione tra i prezzi dell’oro e le obbligazioni. Facendo leva infatti sulle riserve aurifere, il governo degli Stati Uniti, con il benestare della banca centrale, otterrebbe quel calo dei tassi a lungo termine auspicato da Bessent, nelle sua ultime uscite pubbliche, e un minor fabbisogno di nuove emissioni.
Le conseguenze da manuale e le “risposte creative”
La Casa Bianca, dovesse decidere di monetizzare, potrebbe chiedere alla Federal Reserve di avere a disposizione le risorse generate dalla rivalutazione, nel Treasury Government Account (TGA). “Visto che stiamo parlando di istituzioni, non si tratta banalmente di spostare del denaro da una parte all’altra” dicono gli analisti. “La banca centrale può consegnare la cifra solo stampando più moneta“.
Ci sarebbe però da tenere conto dell’aumento dell’inflazione che potrebbe essere innescato dall’incremento della base monetaria, con possibile rafforzamento del dollaro, il che contrasterebbe con il mantra “MAGA” di aiutare l’industria degli Stati Uniti con una valuta più debole.
Ma Miran ha una risposta anche a questo dicendo che la manovra non è complessivamente inflazionistica: i dazi sono solo uno strumento negoziale per ottenere un aumento delle entrate, non quella specie di punizione auto inflitta di cui si parla in Europa e l’oro è il perno dell’intervento a tutto campo del Tesoro e alla fine del processo si vedrebbero tassi di rendimento dei Treasury a lunga scadenza più bassi e dollaro più debole, ma non così debole da mettere in discussione il ruolo di valuta di riferimento degli Stati Uniti.
“I benefici sarebbero minimi e il contraccolpo delle pubbliche relazioni potrebbe essere caotico” dice l’economista di Wrightson ICAP Lou Crandall. “Non saremo sorpresi tuttavia se il Tesoro troverà una risposta creativa ai cavilli legali questa primavera ed estate, se i vincoli del tetto del debito diventeranno impellenti. Tuttavia, non ci aspetteremmo che una rivalutazione delle azioni aurifere possa essere la prima risposta”.
In precedenza, c’erano segnalazioni di Hong Kong che considerava la tokenizzazione dell’oro e sono sorti dibattiti sulla verifica delle riserve auree degli Stati Uniti, con la comunità delle criptovalute che supportava il valore delle riserve di Bitcoin.
Poco più della metà delle riserve auree del Tesoro sono conservate presso l’US Bullion Depository di Fort Knox, nel Kentucky, dove l’oro è stato trasferito da New York e Philadelphia negli anni ’30, in parte per renderlo meno vulnerabile agli attacchi militari stranieri attraverso la costa orientale. Gran parte del resto dei lingotti è conservato in strutture a Denver e West Point, New York.