L’oro limita i danni dopo un crollo spettacolare che lo ha portato a perdere oltre 60 dollari nel giro di pochi minuti. Dopo aver chiuso la settimana scorsa a 1.763 dollari l’oncia, nella notte fra domenica e lunedì le quotazioni del metallo giallo sono precipitate a quota 1.684, salvo poi ricucire parzialmente lo strappo risalendo fino a 1.746.
A innescare la caduta – accompagnata dal parallelo rafforzamento del dollaro – sono stati due dati macro annunciati venerdì sera e relativi agli Stati Uniti: la forte crescita degli occupati (943 mila posti di lavoro in più a luglio, il numero più alto da quasi un anno) e il calo del tasso di disoccupazione al 5,4%. Numeri del genere, secondo gli operatori, indurranno quasi certamente la Fed ad avviare già da settembre il tapering (ossia la riduzione degli acquisti di titoli sul mercato).
Oltre ai dati migliori del previsto sul fronte del lavoro, hanno influito sulle aspettative del mercato anche le parole del presidente della Fed di Dallas, Robert Kaplan, secondo cui la Banca centrale statunitense dovrebbe iniziare a ridurre i suoi acquisti di asset prima piuttosto che dopo, e in modo graduale.
Rodrigo Catril, senior FX strategist di NAB, spiega che “in generale i mercati concordano sul fatto che l’annuncio del tapering arriverà tra settembre e dicembre, per essere seguito dall’avvio dell’operazione tra novembre e gennaio. Tuttavia, c’è ancora incertezza sul ritmo del tapering, che sarà decisivo per capire quando arriverà davvero l’aumento dei tassi”.
Ad oggi, la Fed acquista titoli per 120 miliardi di dollari ogni mese, per cui una riduzione di 20 miliardi al mese porterebbe il quantitative easing ad azzerarsi nell’arco di un semestre, mentre con un decremento di 10 miliardi al mese passerebbe un anno prima della chiusura completa del programma.
Intanto, parallelamente al crollo dell’oro e al rafforzamento del dollaro, si è registrato anche un aumento dei tassi d’interesse sui titoli di Stato americani a 10 anni, saliti di otto punti base, all’1,31%.