Il film è un dejà-vu pazzesco: i soliti balletti e giochetti di ogni tipo davanti alle telecamere, il record di turno (non quello mondiale, stavolta, ma uno strepitoso primato dei Giochi in 9’63”), il cognome che guarda caso in inglese signfica “fulmine”, i bocconcini di pollo fritto a qualsiasi ora del giorno, che stonano non poco con la perfezione di un campione, la piccola isola da 3 milioni scarsi di abitanti, la Giamaica, che porta cinque uomini a scendere quasi 50 volte sotto i 9’85” sui 100 metri.
Il più forte dei cinque, e del mondo, e di tutti i tempi è il solito Usain Bolt: in attesa della conferma sui 200 e in quella sempre più possibile anche nella staffetta (vista la medaglia d’argento dell’attesissimo connazionale Yohan Blake), tutto sembra finora replicare le magiche notti di Pechino 2008. Cosa c’è di diverso? Il tempo, migliorato, gli avversari sempre più numerosi e accaniti, l’ingresso nella leggenda come primo uomo a vincere due medaglie d’oro – e consecutive – sui 100 metri. Oltre a tutto il resto: record, titoli mondiali, simpatie e/o antipatie che si porta dietro questo ragazzone di quasi due metri che proprio non può lasciare indifferenti.
Così come i suoi compagni originari di quell’isoletta del centro America che sta scrivendo la storia della velocità e anche delle Olimpiadi (ridendo e scherzando 35 medaglie, tutte dall’atletica). E’ il fenomeno Giamaica, del quale Bolt è soltanto il miglior frontman possibile. “Siamo cresciuti in un Paese dove i primi amici sono gli animali e le prime corse le fai con le capre”, dice forse esagerando Yohan Blake, campione del mondo 2011 a Daegu e capace di battere Usain ai Trials nazionali. Sarà la natura, il dna, l’abbondanza di frutta, verdura e legumi, la povertà diffusa, la cultura rurale, fatto sta che da quegli 11mila km quadrati nel mezzo del Mar dei Caraibi arrivano i migliori velocipedi del mondo. E della storia, e non solo quelli che hanno poi effettivamente gareggiato per i colori giallo-nero-verdi della Giamaica, che fanno molto Bob Marley ma che in realtà sono quelli d’origine di gente che ha dominato la disciplina regina dell’atletica ben prima dell’era Bolt come il britannico Linford Christie (oro a Barcellona ’92), il canadese Donovan Bailey (vincitore quattro anni dopo ad Atlanta) e persino, ma questo non è un vanto, l’indimenticabile imbroglione Ben Johnson.
Ma è pensabile che il merito di tutto questo, e dell’ennesima impresa di Bolt, sia davvero solo merito della magiche atmosfere del Caribe? O, ancora più suggestivo, delle mitiche crocchette di pollo fritto delle quali il gigante Usain fa incetta mentre la maggior parte dei suoi colleghi si sbatte tra diete e privazioni? In realtà dietro tutto questo c’è un altro nome: è quello di Glen Mills, allenatore federale per 22 anni e ora coach di Blake e Bolt, di cui è stato lo scopritore dopo le Olimpiadi di Atene, trasformandolo da un ottimo duecentista (quale è rimasto) a un capolavoro di centometrista. Personaggio spesso nell’ombra, di cui si sa molto poco (sulla sua pagina Wikipedia non è nemmeno dato sapere la data di nascita), Mills è stato il fautore di oltre 100 medaglie giamaicane tra Giochi e Mondiali.
Nel 2003, a Parigi, ha portato al titolo mondiale persino il piccolo Kim Collins di Saint Kitts and Nevis: 175 centrimetri per 67 chili, l’esatto opposto del colosso Bolt. Trionfo storico per la microscopica isola di 13mila abitanti situata anche lei nel cuore dei Caraibi, non lontanissimo dalla Giamaica: che si inizi anche lì correndo dietro alle capre?