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“Ora l’hedge fund finanzia le Pmi”: parla Figna di Tenax Capital

INTERVISTA A MASSIMO FIGNA, fondatore e ceo di Tenax Capital che dal 2004 investe sui mercati finanziari a livello globale e che un anno fa ha lanciato il fondo Tenax Italian Credit Fund per finanziare con garanzia europea le piccole e medie imprese italiane che hanno sempre più difficoltà a trovare credito in banca -“Si aprono nuovi spiragli per le Pmi e per gli investitori in cerca di alternative ai titoli di Stato”

“Ora l’hedge fund finanzia le Pmi”: parla Figna di Tenax Capital

Tagli di sportelli e riduzione dei dipendenti. Il premier Renzi, intervenuto all’ultimo Forum Ambrosetti, ha avanzato la previsione che in dieci anni i bancari saranno più che dimezzati. Pochi giorni prima il ceo di Deutsche Bank aveva parlato di una drastica riduzione dei costi. Il comparto bancario sembra ancora nel mezzo del guado di una crisi che non è solo finanziaria ma anche strategica che investe il tradizionale modello di business. Nel frattempo le aziende, soprattutto le Pmi, continuano a faticare a trovare il credito allo sportello. E così la soluzione passa da modelli alternativi di finanziamento spesso messi in atto da soggetti non bancari.

E’ il caso dell’hedge fund Tenax Capital che dal 2004 investe nel settore finanziario a livello globale e che a fine luglio 2015 ha lanciato il fondo Tenax Italian Credit Fund che eroga finanziamenti alle piccole e medie imprese italiane attraverso lo strumento dei minibond. E che lo scorso giugno ha aggiunto un tassello importante: la garanzia dell’European Investment Fund (EIF) che coprirà il 50% dei finanziamenti fatti alle Pmi da tutti i fondi di credito di Tenax Capital. “Si aprono nuovi spiragli per le Pmi italiane con il coinvolgimento diretto delle istituzioni europee a supporto delle necessità di credito e per le tutte le famiglie e investitori che ricercano alternative ai titoli di Stato” ha spiegato in un’intervista a FIRSTonline Massimo Figna, ceo e fondatore di Tenax Capital. “La garanzia EIF – ha aggiunto – rappresenta un volano importante per dar seguito agli appelli rivolti ad una maggiore apertura del mercato dei capitali, dando nuovi sbocchi agli investimenti in economia reale”.

Qual è oggi la situazione degli istituti bancari?

“Le banche in Europa più che in Usa soffrono enormemente per la fortissima riduzione dei tassi. L’Euribor a 3 mesi è a -0,3%, a inizio anno era a -0,15, un anno fa era flat, piatto. Quindi nell’arco di 12 mesi è passato da zero a -30 punti base. Questo significa per le banche un’erosione del margine di interesse enorme, da inizio anno si tratta di circa il 22%. In questo contesto europeo di compressione degli utili bancari, la riduzione dei costi è molto lenta: il modello bancario tradizionale fa fatica ad aggiustare il business e i costi degli sportelli non sono coperti dal fatturato che generano. Non è un caso che nei giorni scorsi il ceo di Deutsche Bank abbia detto che i costi degli istituti devono calare drammaticamente”.

L’andamento dei titoli in Borsa riflette queste difficoltà?

“Tutte le banche hanno visto calare le proprie valutazioni borsistiche. Si pensi che le banche italiane tradano (vengono scambiate in Borsa al prezzo di Ndr) a 0,2-0,3 volte il patrimonio netto. Hanno sofferto più di altre perché sono appesantite dal noto problema dei non performing loans (Npl) che sono molto superiori alla media europea. In questo quadro il credito alle Pmi è ancora più difficoltoso”.

E le norme di Basilea 3 accentuano il problema?

“Con Basilea 3 tanto più l’azienda è piccola tanto maggiore cresce l’assorbimento di capitale se si presta a quell’azienda. Inoltre, se una banca finanzia aziende medio piccole su un orizzonte di sei mesi, il peso dell’assorbimento di capitale è medio-basso ma se allarga il finanziamento a 3-4 anni l’assorbimento di capitale cresce in maniera esponenziale. Il risultato è che una Pmi riesce ad avere dalla banca in genere solo prestiti a 6-12 mesi. E questo è vero nonostante i costi di rifinanziamento per gli istituti siano molto bassi, se non negativi, dopo gli interventi della Bce. Il problema delle banche non è infatti quello di guadagnare di meno se prestano a 3-4 anni ma di avere un assorbimento di capitale troppo alto che non fa funzionare l’equazione dell’operazione nel suo complesso. La conclusione è che il combinato disposto di Basile 3 più il fardello dei non performing loans fa sì che per le aziende più grandi ci sia credito in abbondanza mentre per le Pmi non ci siano finanziamenti a lungo termine. Dal momento che il nostro tessuto economico è costituito soprattutto da Pmi, si capisce perché il Pil continua a soffrire. Da qui nasce l’esigenza di mettere in campo strumenti come i minibond”.

Proprio grazie ai minibond, voi siete entrati nel settore dei finanziamenti alle Pmi. A luglio 2015 avete lanciato il Tenax Italian Credit Fund, di cosa si tratta?

“Si tratta di un fondo chiuso, della durata di 7 anni, con un periodo di investimento di tre anni senza possibilità di estensione. Il credito viene garantito a medio termine, con una flessibilità di erogazione creata su misura per ogni azienda. TICF investe esclusivamente in strumenti di debito senior garantiti (senior secured), con una media di circa 3-7 milioni di euro per investimento, un tasso di rendimento del 6-7% (dopo le commissioni) ed un target recovery rate del capitale investito pari al 100%”.

Chi sono i vostri investitori?

“Abbiamo raccolto capitale quasi esclusivamente dalle compagnie di assicurazione. Non solo i grandi gruppi ma anche le compagnie di medie dimensioni con manager illuminati. Il comparto assicurativo ha bisogno di investimenti della durata di 5-6-7 anni per allinearsi alla durata delle polizze. Ma nei prossimi anni si trova ad affrontare il problema colossale della discesa dei rendimenti dei Btp in cui sono massicciamente investiti, che si allineeranno all’1,1% del decennale”.

Proprio sui titoli di Stato lei ha scritto il libro “La fine del Btp è la rinascita dell’Italia”.

“Sì, la tesi è che alla radice della mancanza di capitali delle Pmi italiane e di una certa cultura c’è il fatto di aver avuto per anni, con i Btp, una delle rendite migliori al mondo che non ha spinto a cercare alternative”.

Come e a quali condizioni finanziate le Pmi?

“Prestiamo mediamente a tassi superiori al 5% e chiediamo una garanzia all’imprenditore. Per farlo costruiamo minibond ad hoc con garanzie reali, che variano per percentuale, date dall’imprenditore. Da luglio però siamo la prima società di gestione, con un funding al di fuori dal perimetro prettamente bancario, ad aver ricevuto il via libera in Italia alle garanzie dal Fondo di emanazione della UE e Commissione UE, finanziato dal piano Juncker da 300 miliardi”.

Cosa comporta?

“La garanzia del Fondo Europeo copre il 50% dei nostri finanziamenti fatti alle Pmi italiane e consente di abbassare significativamente il “capital charge” (spesa di capitale Ndr) per gli investitori istituzionali che si avvicinano ai fondi di credito gestiti da Tenax. In sostanza il profilo di rischio per gli investitori si riduce ulteriormente avendo alle spalle le garanzie di un fondo di massimo merito creditizio. Il vantaggio si concretizza in misura particolarmente evidente per le assicurazioni che possono contare, nell’ambito dei requisiti di capitale di Solvency2, della forza del rating AAA dell’EIF. Si riduce così il loro assorbimento di capitale e allo stesso tempo migliora il rendimento perché il default rate si abbassa”.

Ci sono benefici anche per le Pmi?

“La protezione del fondo europeo si aggiunge al collaterale fisico che le imprese mettono tipicamente a garanzia del prestito, favorendo così un interesse più ampio nella platea di investitori e tempi più rapidi nell’ottenimento delle erogazioni. Allo stesso tempo si allarga la platea di Pmi che possono potenzialmente accedere ai finanziamenti”.

Qual è il totale degli asset under management del fondo?

“Abbiamo circa 100 milioni di euro di masse. Si tratta di un mercato che deve partire e che ha la potenzialità per crescere. Da un lato in Italia il mercato di private debt ha ancora una dimensione microscopica rispetto alle esigenze, un miliardo a fronte di 25 miliardi necessari solo per il rifinanziamento dei crediti attuali, non si parla di nuovo credito. Dall’altro, le assicurazioni hanno investito un’inezia rispetto alle loro dimensioni. A tendere aumenteranno molto questo tipo di investimento, soprattutto se ci saranno garanzie come quella del Fondo europeo”.

A che tipo di Pmi vi rivolgete?

“Ci rivolgiamo ad aziende con fatturati inferiori a 100 milioni di euro che non siano distressed e che abbiano necessità di risorse per la crescita, l’ampliamento, il mantenimento della produzione e la sostenibilità del debito esistente. Il tema di fondo è sedersi e avere la flessibilità che la banca non permette, chiedendo alle aziende di adeguarsi ai suoi parametri. Noi siamo molto flessibili nelle condizioni. Però abbiamo la necessità di avere dei collaterali perché nei nostri fondi sono investite le pensioni delle persone. Anche per questo di solito i nostri minibond non sono quotati, perché ci permettono una maggiore possibilità di due diligence”.

A che punto è il mercato dei minibond in Italia?

“Il minibond è uno strumento che è partito con il piede sbagliato perché è stato usato da alcune banche per risolvere i propri problemi piuttosto che per aiutare l’impresa a svilupparsi. Possono essere quindi strumenti molto rischiosi e devono essere analizzati e gestiti da operatori professionali. Questo atteggiamento iniziale che ha un po’ snaturato lo strumento è stato ultimamente corretto e oggi noi abbiamo sviluppato diverse relazioni con istituti bancari che lavorano come originator e che guadagnano una fee su questo servizio, quindi senza conflitto di interesse”.

Anche qui si va nella direzione di un nuovo modello di banca?

“Sì, la banca è destinata a fare servizi, pagamenti e credito a breve termine. E si può avvalere di terzi per il credito a lungo termine. All’inizio ci vedevano come un competitor, ora capiscono che siamo un alleato che può dare un servizio che loro non riescono a dare e su cui possono generare ricavi attraverso una fee”.

Per le banche quando arriverà la luce in fondo al tunnel?

“Le banche per poter stare in piedi non solo devono avere capitale ma anche fare soldi. E fino a oggi i loro utili sono scesi in maniera importante per una combinazione di fattori finanziari e, come detto, di modello di business, quindi di problemi strategici. In Paesi dove ci sono poche banche questo problema è inferiore, dove ce ne sono tante come in Italia è più grande. La luce in fondo al tunnel sta nel fatto che possiamo pensare di aver raggiunto un livello di relativa stabilità. E’ qualche mese che i tassi sono stabili e l’effetto Brexit si sta riassorbendo. Una volta che i tassi si sono stabilizzati possiamo iniziare a vedere un graduale recupero, che però deve passare da un processo di aggregazione e taglio dei costi. Detto questo, a livello di investimenti in azioni bancarie di Tenax Capital, noi siamo più investiti in Europa che negli Usa. Crediamo che nel Vecchio Continente ci possa essere un recupero finanziario più forte e siamo selettivamente presenti in alcune realtà e in quelle con un dividendo maggiore”.

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