Non è più solo un’indiscrezione, ma qualcosa di più concreto: sul tavolo del vertice Open Fiber (OF) – e perciò dei suoi azionisti Enel e Cdp – c’è il dossier Rete Telecom. Ed è bene chiarire subito: in ballo non è solo, o non tanto, la rete ultraveloce in fibra ottica, come si era supposto in un primo momento – per le evidenti sovrapposizioni nelle aree più commerciali – ma la rete di accesso con la R maiuscola, quella che collega milioni di famiglie attraverso il classico doppino in rame. L’ipotesi allo studio riguarda dunque l’acquisto della rete da parte di Open Fiber che diventerebbe così la “Terna delle Tlc”: un’unica società, a controllo pubblico ma potenzialmente quotabile e aperta a investitori e risparmiatori privati, proprietaria della rete di telecomunicazioni, separata dagli operatori Tlc ai quali offrire connessione all’ingrosso come è nella sua missione aziendale e come Of sta già facendo.
Il progetto è diverso dalla “società delle reti” di cui si è tanto parlato e che, sì, metteva insieme le diverse reti realizzate nel corso del tempo – da Telecom Italia, Fastweb, Vodafone e via dicendo – ma prevedeva anche la compartecipazione azionaria dei diversi concorrenti. Soluzione che non è contemplata in questo caso tanto che l’operazione avverrebbe attraverso l’acquisto da parte di Open Fiber della rete Telecom valutata su una base di circa 10 miliardi. Il vantaggio di poter concentrare la proprietà in una sola mano, d’altra parte, comporterebbe il riconoscimento da parte di OF di un premio, che potrebbe essere rappresentato dall’accollarsi una parte del debito Tim.
Molte cose sono cambiate da un anno a questa parte e ripropongono la fattibilità del progetto. Innanzitutto, vi è stata una forte accelerazione dei “livelli di concorrenza sulle infrastrutture grazie all’ingresso nel mercato di nuovi soggetti” ha riconosciuto per primo il presidente Agcom Marcello Cardani nella sua relazione annuale, riferendosi evidentemente a Open Fiber. Che ha costretto Tim a rifare i suoi conti. Non solo. A cambiare le carte in tavola è stato anche l’arrivo del Fondo Elliott che si è imposto sulla governance di Tim dopo il ribaltone che ha messo in minoranza Vivendi nonostante la quota azionaria in mano ai francesi rimanga attualmente la più “pesante” con il 23,94%. Il raider americano ha detto con chiarezza di essere favorevole alla cessione dell’asset infrastrutturale per liberare risorse per la crescita, fortemente rallentata a suo dire dalla montagna di debiti scesi a 29,6 miliardi in marzo da 31,1 miliardi in dicembre 2017. E’ così che l’Ad Amos Genish ha velocemente cambiato indirizzo e il gruppo italiano delle tlc da che era fortemente restio a qualsiasi ipotesi di scorporo, non solo si pronuncia ora a favore ma ha anche lanciato Flash Fiber, la nuova società (80% Tim, 20% Fastweb) per la realizzazione di una rete in fibra concorrente a OF.
Il governo legastellato benedice l’ipotesi di una unica società della rete in mano pubblica: Lega e M5S non ne hanno fatto mistero in campagna elettorale. Così come anche il governo Renzi – che ha battezzato OF e sostenuto la sua scesa in campo – aveva spinto vigorosamente sulla via dell’accelerazione verso la rete in banda ultralarga in FTTH (Fiber to the Home) la sola in grado di assicurare connessioni a 1 Gigabit/secondo.
Insomma, una serie di fatti e concatenazioni muovono nella direzione indicata a suo tempo da Franco Bassanini quando era presidente di Cdp e pienamente condivisa oggi dall’Ad di Open Fiber Elisabetta Ripa.
I passi da compiere tuttavia non sono brevi, né semplici né immediati. Si tratta di realizzare tre condizioni fondamentali. Innanzitutto bisogna arrivare allo scorporo della rete e dei suoi asset in una società separata, cosa che Tim pensava di poter realizzare nell’arco di un anno. Poi sarebbe verosimilmente necessario che Cassa Depositi – stratega dell’operazione per conto del governo – aumentasse la propria quota azionaria in Tim, oggi ferma al 4,9%, per garantire una navigazione più sicura al progetto al momento delle votazioni assembleari. Il Fondo Elliott è in grado di coagulare intorno a sé fondi d’investimento e piccoli azionisti, come si è visto in maggio, ma ha in mano l’8,8% del capitale sotto forma di diritti e quindi non vota. Infine, serve un vertice Cdp nei pieni poteri. Il governo finora ha preso tempo e non solo per l’inevitabile gioco di pesi e contrappesi tra Lega e 5 Stelle, caratteristico di ogni nomina pubblica. Da decidere infatti sono proprio i termini del mandato da affidare ai prossimi manager. E la questione Rete Tlc è, a quanto si dice, parte del pacchetto. Quest’ultima incognita dovrebbe sciogliersi a breve: venerdì 13 luglio è fissata la data dell’assemblea. Le Fondazioni bancarie hanno già presentato la propria lista con Massimo Tononi presidente. Il Mef dovrà designare a breve i suoi consiglieri e indicare l’Ad, a meno di nuovi colpi di scena, attualmente non previsti ma pur sempre possibili.