La brusca caduta della produzione industriale getta ombre inquietanti sul futuro prossimo dell’economia italiana. Ma che cosa c’è realmente dietro l’angolo? La stagnazione o il ritorno per la terza volta in pochi anni alla recessione? E qual è oggi il vero male della nostra economia? Come aveva già denunciato il presidente della Bce, Mario Draghi, anche per Paolo Onofri, economista di grande esperienza e presidente dell’Associazione Prometeia di Bologna, troppe parole in libertà hanno fatto e fanno male all’economia e l’incertezza politica che ne deriva aggrava il rallentamento dell’economia. Un rallentamento che ha certamente origini anche internazionali ma che paga soprattutto la caduta degli investimenti sacrificati nella Legge di Bilancio dal taglio delle risorse risucchiate dal reddito di cittadinanza e dai pensionamenti anticipati della cosidetta Quota 100. E’ per questo che Prometeia, uno dei più brillanti centri di analisi e previsioni econometriche che ci siano in Italia, prevede che nel 2019 il Pil crescerà la metà di quanto immagina il Governo e cioè non più dell’0,5 per cento. Previsione troppo pessimistica? Forse troppo benevola se si guarda alle Legge di Bilancio.
Ma i nodi – spiega in questa intervista a FIRSTonline Paolo Onofri – verranno al pettine soprattutto a settembre, quando si vedrà che la crescita è anemica e che il deficit pubblico sarà superiore a quello previsto oggi. Allora si imporrà una “sterzata della politica economica in favore di una maggior crescita”, a meno che non si dia per scontato che dopo le elezioni europee ci sarà una nuova maggioranza di governo. Onofri, oltre ad essere un economista di razza, ha il vantaggio di potersi confrontare ogni giorno con gli analisti e i ricercatori di Prometeia, guidati dal Segretario Generale Lorenzo Forni e che nel proprio Consiglio scientifico comprende il fior fiore della cultura economica italiana, da Romano Prodi a Filippo Cavazzuti, da Marco Onado ad Alberto Quadrio Curzio, da Angelo Tantazzi agli stessi Onofri e Forni, solo per citare i più conosciuti. Ecco, dunque, che cosa Paolo Onofri vede dal suo osservatorio.
Nel suo ultimo Rapporto di previsione, del dicembre scorso, Prometeia prevede per l’economia italiana del 2019 un risultato molto deludente e molto al di sotto delle attese del Governo, ossia una crescita del Pil dello 0,5% che non è recessione ma è sicuramente stagnazione: colpa del rallentamento della crescita a livello mondiale ed europeo o dell’incerta politica economica italiana?
“La risposta è semplice: entrambi i fattori stanno agendo. Il rallentamento dell’espansione dell’attività economica mondiale è iniziato nel corso del 2018 e ha condizionato soprattutto l’evoluzione del secondo semestre del nostro Pil, ma il rallentamento della nostra economia è stato aggravato dall’incertezza sulle politiche che si è diffusa tra aprile e metà dicembre dello scorso anno. Nella seconda metà dell’anno il nostro Pil è stato sostanzialmente stagnante, crescita zero rispetto al semestre precedente; ciò vuol dire che il livello di Pil all’inizio del 2019 è grosso modo pari al valore medio del 2018 (trascinamento statistico nullo). Le tensioni sul commercio internazionale proseguiranno, le politiche monetarie non saranno altrettanto espansive di quanto lo sono state anche solo lo scorso anno; di conseguenza, la crescita nel corso del 2019 dipenderà dall’entità degli impulsi che la politica di bilancio potrà dare. Prometeia stima che l’effetto macroeconomico delle misure messe in atto non supererà i quattro decimi di punto; di qui la previsione di una crescita media dello 0,5% che può apparire pessimistica, ma che si può anche considerare benevola nei confronti della legge di Bilancio. Il danno è stato fatto nel corso del 2018 dalle troppe parole in libertà e ciò si ripercuoterà a lungo, visto che anche il 2019 si prospetta agitato dal punto di vista politico”.
Per il 2019 che cosa prevedete esattamente per investimenti, consumi, export e occupazione in Italia?
“È importante tenere conto che già nel 2018 gli andamenti dei consumi delle famiglie e delle esportazioni hanno visto un rallentamento importante della loro crescita, come pure non va trascurato il fatto che gli investimenti in macchinari, impianti e mezzi di trasporto dopo una ottima performance nel secondo trimestre, nel terzo sono caduti di più del 2%. Il profilo temporale di questi andamenti condiziona pesantemente il comportamento delle medesime variabili nel 2019: essendo cadute molto le esportazioni nel primo trimestre 2018 ed essendo tornate a crescere seppur lentamente nella seconda parte dell’anno, la performance delle esportazioni passerà da +1% l’anno scorso a +2,4% quest’anno. Più lineare l’andamento dei consumi che passano da una crescita dell’1,5% nel 2017 a +0,6% sia nel 2018 che nel 2019. A prima vista ci si può chiedere il perché di questa stabilità del tasso di crescita dei consumi, nonostante l’attivazione in corso d’anno del reddito di cittadinanza. Innanzitutto va ricordato che l’ordine di grandezza delle spese di consumo delle famiglie è 1100 miliardi di euro circa, per cui i 5 miliardi previsti come spesa prevista dalla Legge di Bilancio 2019 per i tre trimestri di quest’anno non arrivano al 5 per mille dell’intero ammontare dei consumi anche nell’ipotesi che vi si applichi, come plausibile, una propensione marginale al consumo unitaria. Leggermente più percettibile l’impatto il prossimo anno quando la spesa, riferendosi all’intero anno, salirà a 7 miliardi. Infine, gli investimenti in macchinari e impianti subiranno una vera e propria recessione quest’anno dal +5,5% nel 2018 al -1% nel 2019; oltre all’effetto ritardato del rallentamento della crescita delle esportazioni, un ruolo fondamentale è svolto dall’incertezza politica presente e prospettica”.
Se il Governo, anziché puntare sulle misure-simbolo della Lega e dei Cinque Stelle e cioè sulla Quota 100 per le pensioni e sul reddito di cittadinanza, avesse destinato le stesse risorse agli investimenti, che crescita aggiuntiva avrebbe potuto registrare l’economia italiana?
“Va da sé che l’impatto sarebbe più favorevole alla crescita, soprattutto tenendo conto che nella versione finale della Legge di Bilancio 2019 gli investimenti pubblici sono stati ridotti di circa 1,5 miliardi rispetto alla prima versione. Non va dimenticato che gli effetti di spese per investimenti pubblici si manifestano molto lentamente. Più importante sarebbe stato non modificare gli incentivi fiscali che erano già in vigore e quindi non dare l’idea della aleatorietà dell’atteggiamento di governo verso l’innovazione. Ciò incide sui programmi di investimento di medio termine da parte delle aziende e le disorienta. Una diversa composizione della manovra da Reddito di Cittadinanza e Quota 100 a investimenti privati e pubblici avrebbe trovato ovviamente un minor consenso politico ed elettorale, ma avrebbe lasciato trasparire una lungimiranza delle politiche che avrebbe rassicurato l’attività di impresa e di sviluppo dell’occupazione. In ogni caso non si sarebbe potuto evitare un ampliamento della platea del Rei. Diverso è il caso di Q100 in presenza di una popolazione che è già entrata nella fase acuta dell’invecchiamento. Nel corso di questa legislatura la popolazione ultrasessantacinquenne crescerà di quasi un milione di persone; ad esse, in termini pensionistici, con Q100 si vanno ad aggiungere nel triennio 2019-21 poco meno di mezzo milione di persone, con una concentrazione degli effetti dell’invecchiamento che avremmo potuto risparmiarci”.
Prometeia ha sede in una città (Bologna) e in una regione (l’Emilia-Romagna) piene di multinazionali tascabili e di medie imprese del cosiddetto Quarto capitalismo: sulle loro performance peseranno di più le nuove criticità internazionali (dai dazi al rallentamento della Cina e della Germania e al possibile rialzo dei tassi) o lo scarso sostegno della politica economica italiana alla crescita, all’innovazione e alla modernizzazione delle infrastrutture materiali e immateriali?
“Nel corso del 2018 ha pesato molto il rallentamento della crescita delle esportazioni. Come già detto, sono prevalentemente le imprese che esportano a effettuare investimenti di innovazione, sollecitati dalla concorrenza internazionale, favoriti dall’essere più prossimi per i loro processi produttivi alla frontiera delle tecnologie e sostenuti dai flussi di cassa che le esportazioni consentono. Per queste imprese gli incentivi fiscali e i sostegni pubblici in generale sono ancora più necessari quando la dinamica delle esportazioni rallenta per non far loro perdere il passo con l’evoluzione della tecnologia”.
Al di là della manovra di bilancio, quanto pesano l’incertezza politica e l’altalenante rapporto con l’Europa sulla fiducia dei consumatori e delle imprese?
“La natura della Legge di Bilancio è la espressione implicita della incertezza politica: nel caso attuale, non si tratta di un vero e proprio bilancio pluriennale; risolve i problemi elettorali per il 2019 e ha spazzato tutti i problemi sotto le clausole IVA relative al 2020 e 2021. Questo, ad onor del vero, si è verificato, per entità minori, anche nel passato, ma nel passato le forze di governo avevano una lealtà dichiarata nei confronti delle istituzioni europee, il che garantiva percorsi futuri di gestione del bilancio pubblico nel solco molto ristretto di un lento rientro del rapporto debito pubblico/Pil. Ciò non impediva uno spread sul rendimento del Bund decennale più elevato rispetto alla Francia (prima della formazione del nuovo governo era poco sopra i 110 punti base, come nel 2010), ma simile a quello di Portogallo e Spagna. L’incertezza attuale è molto più radicale sembra mettere in discussione il progetto secolare dell’Unione Europea. Anche se questa possibilità può considerarsi remota, si è comunque profilata all’orizzonte rendendo imprevedibile il futuro se una tale eventualità dovesse verificarsi. Gli investimenti delle imprese, è banale dirlo, proiettano le imprese in un futuro non immediato. Tutto ciò è reso ancor più realistico dalle elezioni europee che si terranno il 26 maggio di quest’anno”.
Che effetti potrà avere sui conti pubblici e sullo spread nel 2019 una crescita del Pil pari a circa la metà di quella prevista dal Governo e quando arriverà il momento della verità?
“Innanzitutto, va osservato che attualmente lo spread fatica a scendere sotto i 260 punti base: tutte le incertezze già dette sia di natura politica che con riferimento alla Legge di Bilancio, la modificazione della politica monetaria della Bce che si prospetta ancora espansiva, ma in misura minore degli anni del QE, simultaneamente alla prospettiva di rallentamento della crescita del commercio mondiale dal 4,1% del 2018 al 2,9% di quest’anno, prospettiva che mette in difficoltà i paesi a prevalente attività manifatturiera e, nel nostro caso, in condizioni finanziarie più fragili, sono all’origine della difficoltà a far scendere lo spread. Quando tutti questi nodi verranno al pettine? A settembre, quando saranno disponibili i dati del Pil del primo semestre e la crescita si sarà aggirata tra lo 0,3% e lo 0,4% rispetto al primo semestre del 2018 e il disavanzo pubblico si prospetterà superiore a quello attualmente previsto per l’intero 2019, una sterzata della politica economica in favore di una maggiore crescita sarà necessaria. Si dovrà far fronte all’andata a regime del Reddito di Cittadinanza e di Q100 e ai 23 e 29 miliardi di aumenti di Iva previsti rispettivamente per il 2020 e 2021. O il governo si prepara sin d’ora, oppure dà per scontato che dopo le elezioni europee sarà un’altra maggioranza a governare”.
Malgrado tutte le criticità del momento, il rapporto di Prometeia di dicembre sostiene che “un debito pubblico inferiore al 90% del Pil nei prossimi vent’anni è alla portata dell’Italia” ma che cosa dovrebbe succedere per centrare l’obiettivo?
“Quello che Prometeia ha fatto è una analisi del ruolo centrale che lo spread svolge nel lungo periodo per la dinamica del rapporto debito pubblico/Pil per l’economia italiana. Prima considerazione che si ricava è che se anche ammettessimo un percorso relativamente virtuoso che nel corso dei prossimi venti anni porti molto gradualmente lo spread dai 270 punti attuali agli 80 pb nel 2038, e il disavanzo pubblico resti fermo nello stesso periodo all’incirca al 2% del Pil, il rapporto debito pubblico/Pil non scenderebbe sotto il 113% per l’onere da interessi che perdurerebbe a lungo al 4% del Pil. Supponiamo, per incanto, che lo spread nel giro di due o tre anni da oggi scenda a 30 pb e vi rimanga fino al 2038, il disavanzo pubblico scenderebbe nello stesso periodo allo 0,8% rimanendovi per i successivi sedici/diciassette anni, il rapporto debito pubblico/Pil scenderebbe sotto il 95%. Il problema è quindi come far scendere lo spread, il quale non esprime che il rischio di detenere debito pubblico italiano, ovvero esprime l’aspettativa degli operatori sulle politiche fiscali che nel futuro verranno condotte dai governi che si susseguiranno alla guida del paese. Il problema diventa quindi, come annunciare in modo credibile politiche credibili che simultaneamente riducano il debito, sostengano la crescita e che non siano smontate da alternanze di governo. Un esempio di condivisione politica delle politiche di rientro dal debito pubblico è quello del Belgio che a metà anni novanta aveva grosso modo lo stesso nostro rapporto debito pubblico/Pil attorno al 125% e prima della crisi finanziaria del 2007 l’aveva portato al 90%. Quali politiche potrebbero conciliare crescita e riduzione del debito? Brevemente: come ho già detto nel 2020 entreranno in vigore aumenti di Iva per 23miliardi che diventeranno 29 nel 2021. Il governo ha già dichiarato che troverà il modo di abrogare tali norme compensandole con riduzioni di spesa. Bene, una volta trovati, tali fondi potrebbero essere utilizzati, anziché per non far aumentare l’Iva per ridurre i contributi sociali a carico delle imprese. Il deprezzamento fiscale che così si determinerebbe potrebbe essere una prima mossa che innesca una nuova fase di crescita”.