“La frenata del secondo trimestre dell’economia tedesca e conseguentemente dell’Europa non mi sorprende più di tanto perchè era prevista, ma quel che conta davvero è capirne le ragioni che saranno chiare solo fra qualche settimana: se tutto dovesse dipendere dalla riduzione dell’export nei Paesi emergenti e in particolare dal rallentamento della crescita della Cina e dei Paesi asiatici allora sì che dovremmo preoccuparci tutti, perchè sarebbe un segnale d’allarme per tutto il mondo, per l’Europa e naturalmente anche per noi”. E’ questa la prima lettura a caldo che dei dati congiunturali odierni sulla Germania e sull’Europa fa Paolo Onofri, economista tra i più fini che ci siano, ordinario di economia politica all’università di Bologna e autore di un apprezzato Rapporto previsionale per Prometeia che costituisce da tempo un punto di riferimento per tutti. Ecco che cosa ha detto a Firstonline.
FIRSTONLINE – Professor Onofri, nel secondo trimestre dell’anno l’economia tedesca è rimasta al palo (+0,1%) e quella europea ha frenato (+0,2%). Delle due notizie qual è quella più sorprendente e qual è quella più preoccupante?
ONOFRI – Le frenata della Germania e conseguentemente dell’economia europea non mi sorprende più di tanto perchè era previsto ma quello che davvero conta è capirne le ragioni: se il rallentamento tedesco fosse dovuto al calo di fiducia o alle dinamiche del settore delle costruzioni dopo il boom del primo trimestre, poco male. Se invece la frenata della Germania dipendesse dal calo dell’export nei Paesi emergenti e in particolare dal rallentamento della crescita della Cina e degli altri Paesi asiatici allora sì che sarebbe una spia allarmante e sarebbero dolori per tutti, per il mondo intero, per l’Europa e naturalmente anche per noi.
FIRSTONLINE – Per l’Italia quali saranno le conseguenze del rallentamento tedesco?
ONOFRI – Dipende dalla cause. Ripeto: se la frenata della Germania dipende dalla crisi di fiducia interna o dal calo dei consumi o dalle dinamiche del settore delle costuzioni, non c’è da preoccuparsi. Se invece tutto dipendesse dall’export e dal rallentamento della Cina allora sarebbero guai. Si tratta di capire se dietro il dato congiunturale tedesco c’è o no la risposta cinese all’espansione monetaria americana e il tentativo della Cina di raffreddare la propria crescita per arginare i pericoli di importare inflazione dagli Usa. In attesa di accertare le cause della frenata tedesca è evidente che i dati di oggi stimolano una riflessione più generale e non solo sull’Italia.
FIRSTONLINE – Quale?
ONOFRI – Nella classe politica, nei media e nell’opinione pubblica c’è poca consapevolezza che la crisi che stiamo vivendo è completamente diversa dall altre vissute dal Dopoguerra ad oggi perchè è una crisi che ha origini finanziarie, si trasmette all’economia reale e torna alla finanza e che, sulla base dei dati statistici raccolti sulle crisi di questo tipo vissute da singoli Paesi, ha inevitabilmente una durata lunga.
FIRSTONLINE – Quanti anni ci vogliono per tornare al Pil precedente la crisi?
ONOFRI – In media almeno sette anni perchè, ripeto, questa è una crisi diversa e, per di più, è una crisi ormai generalizzata. Siamo ancora a metà del guado. Dalla crisi si esce quando tutti gli operatori finanziari avranno ridotto le leve finanziarie, cioè l’indebitamento. Ma la miopia politica che abbiamo visto ultimamente sulla Grecia o sul debito americano rischiano di peggiorare le cose e di allungare i tempi del rientro.
FIRSTONLINE – Ci spieghi meglio.
ONOFRI – Finora abbamo visto i primi due atti della crisi : la caduta della domanda delle famiglie come effetto della trasmissione della crisi finanziaria all’economia reale e il tentativo degli Stati di compensare il debito privato con il debito pubblico. Adesso stiamo vivendo il terzo atto: il rientro troppo accelerato dal debito pubblico rischia di avere effetti depressivi sulla crescita. E’ come un gatto che si morde la coda.
FIRSTONLINE – Sia come sia l’Italia resta il fanalino di coda della crescita in Europa: dopo il rallentamento della congiuntura internazionale e dopo la nuova manovra del Governo come chiudiamo il 2011?
ONOFRI – Non credo che l’Italia riesca a centrare l’obiettivo di crescita dell’1,1% fissato dal Governo per il 2011. Secondo le stime di Prometeia la previsione ad oggi più attendibile è che il nostro Pil si collochi nel 2011 tra lo 0,7 e lo 0,8% e che nel biennio successivo, in assenza di politiche correttive, si posizioni tra lo 0,5% e lo 0,8%.
FIRSTONLINE – Un orizzonte italiano men che modesto che sfiora la stagnazione.
ONOFRI – Non siamo alla recessione ma il rallentamento c’è in tutto il mondo. Ragioni internazionali e ragioni interne rendono particolarmente deludente la nostra performance che rischia di essere appena sopra la soglia della stagnazione.
FIRSTONLINE – Quali sono gli effetti della nuova manovra del Governo sull’economia italiana.
ONOFRI – I conti esatti si potranno fare quando il decreto sarà stato approvato dal Parlamento ma fin da ora si può dire che la manovra rischia di deteriorare ulteriormente la già bassa fiducia degli operatori economici e dei cittadini.
FIRSTONLINE – Tra le tante misure immaginabili per stimolare la crescita dell’economia italiana, qual è quella che può avere effetti più immediati?
ONOFRI – Non dimentichiamo che, al di là dei problemi legati alle dinamiche della produttività, ci sono precise ragioni demografiche legate all’invecchiamento della popolazione che riducono la crescita probabile attorno all’1-1,5%. Se migliorassimo la produttività del sistema e recuperassimo la capacità produttiva inutilizzata potremmo avvistare un orizzonte di crescita dell’ordine del 2% annuo. Ma tutto questo non avviene automaticamente.
FIRSTONLINE – Qual è la prima cosa che servirebbe per crescere di più?
ONOFRI – Prioritario è il recupero di fiducia nella classe politica, dalla quale ho sentito sciocchezze sulla riduzione delle tasse anche quando infuriava la crisi irlandese o quella greca. In secondo luogo serve il recupero di fiducia nel debito pubblico italiano perchè se i rendimenti dei nostri titoli di Stato non scendono sotto il 5% senza l’intervento della Bce gli effetti negativi sui finanziamenti alle imprese sono inevitabili.