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Oil&Gas addio, il Fondo sovrano norvegese vuole uscire dall’industria del petrolio

L’annuncio del Fondo sovrano norvegese di voler considerare l’uscita dagli investimenti nell’Oil&Gas, apre nuovi scenari anche se il parlamento di Oslo se ne occuperà probabilmente nella seconda metà del 2018. Il Fondo è il secondo più importante azionista di Eni dopo il Tesoro italiano

Oil&Gas addio, il Fondo sovrano norvegese vuole uscire dall’industria del petrolio

Scossone in arrivo nel mondo del petrolio e dell’industria dell’Oil & gas. Il Fondo sovrano norvegese sta valutando una possibile uscita dagli investimenti nelle azioni di società che operano nel settore. La notizia, comunicata dallo stesso Fondo, è doppiamente significativa. Da un lato perché la Norvegia, attraverso la compagnia di Stato Statoil, è un importante produttore di petrolio e gas nel Mare del Nord. Dall’altro perché il Fondo sovrano Norvegese, con una potenza di fuoco di 1000 miliardi, attraverso i suoi investimenti nel settore degli idrocarburi controlla circa l’1,7% del mercato mondiale. I suoi investimenti nell’Oil & Gas rappresentano ora il 6% del totale investito, vale a dire circa 36 miliardi di dollari.

La banca centrale norvegese, che usa il fondo per reinvestire i proventi dell’industria petrolifera nazionale, ha spiegato che reinvestire i fondi nel settore dell’energia amplifica l’esposizione del governo alle variazioni dei prezzi del greggio, considerato che il governo di Oslo controlla una quota di maggioranza di Statoil Asa. La proposta di uscire dagli stock del settore energia è stata presentata formalmente giovedì dalla banca centrale norvegese al ministero delle finanze. Ne ha dato notizia lo stesso Fondo. “Il nostro parere è semplicemente eliminare il settore petrolio e gas, così com’è definito nell‘indice Ftse, dall‘indice di riferimento del fondo”, ha detto il vice governatore della Banca centrale Egil Matsen in una intervista giovedì.

Il Petrolio ha reagito con un altalena ed è poi risalito mentre l’indice Stoxx Europe 600 Oil & Gas è in calo dello 0,53% a metà mattina. Per avere un’idea dei contraccolpi che la notizia può avere in prospettiva, vale la pena ricordare che il fondo norgevese (Government Pension Fund Global, Gpfg) è il secondo azionista di Eni dopo il Governo italiano, con una quota dell’1,7%. A fine 2016 possedeva il 2,3% di Royal Dutch Shell, l’1,7% di Bp, l’1,6% di Total, lo 0,9% di Chevron, lo 0,8% di ExxonMobil. 

La decisione del Fondo norvegese va anche inquadrata in un disegno strategico più ampio e si inquadra nella rivoluzione energetica in corso, con la transizione verso le fonti rinnovabili. Non è solo il Fondo norvegese – la Norvegia è lanciata sull’auto elettrica ed è tra i Paesi dell’Unione europea più determinati sulla svolta verde nonostante ricavi gran parte dei suoi introiti dalle fonti fossili – ad avere imboccato la strada del disinvestimento dai settori Oil & Gas. Uno dei primi a muoversi in questa direzione è stato il Rockfeller Brothers Fund che, insieme al Fondo sovrano norvegese, aderisce a #Divestment, un movimento internazionale che ha raccolto l’adesione di università e fondazioni, investitori di vario tipo e tra questi tanti enti religiosi tra cui la Chiesa d’Inghilterra, quella di Svezia e via scendendo. Gli impegni al disinvestimento dai carburanti fossili ha raggiunto quota 5,57 trilioni di dollari da parte di 800 investitori istituzionali (il 27% istituzioni religiose): E ora anche la Conferenza episcopale italiana ha deciso di scendere in campo con l’emissione di un ETF agganciato ad un indice low carbon, in corso di definizione, che aprirà un nuovo capitolo della Chiesa italiana nella lotta al cambiamento climatico, dopo l’eciclica “Laudato sii” emessa da Papa Francesco.

Tornando alla Norvegia, per ora è stata innescata la miccia. Ora sulla scelta di disinvestimento dovrà pronunciarsi il Parlamento norvegese ma se ne riparlerà probabilmente nel secondo semestre del 2018.

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