L’Italia resta fanalino di coda in Europa per tasso di occupazione. Ma anche chi è in fondo alla classifica ha possibilità di migliorare la sua performance, anche se non riesce a salire di posizione. In una gara anche chi arriva negli ultimi posti ha dei record personali.
Così, nel 2023, il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni dell’Italia si è attestato al 66,3%, ed ha segnato un aumento maggiore della media Ue con 1,5 punti in più a fronte dei 0,9 Ue; tuttavia è rimasto lontano di quasi 10 punti dalla media Ue (75,4%). L’handicap più rilevante riguarda l’occupazione femminile. Nel nostro Paese tra i 20 e i 64 anni lavora solo il 56,5% delle donne a fronte del 70,2% in media Ue. Il tasso di occupazione maschile è al 76% (80,5% in Ue). Il divario con le donne è di 19,5 punti, quasi il doppio della media Ue (10,3%).
Tasso di crescita delle donne nettamente superiore a quello degli uomini
Tutto ciò premesso, non è inutile apprezzare progressi compiuti anche nell’occupazione femminile. Ci aiuta in questa ricerca una pubblicazione della Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro dal titolo ‘’Tendenze dell’occupazione femminile nel 2024’’, da cui risulta che lo scorso anno, l’occupazione femminile ha corso più di quella maschile. Se nel dopo covid, le donne avevano fatto più fatica a recuperare i livelli occupazionali, nel 2024 (il dato si riferisce alla media dei primi nove mesi) il tasso di crescita delle lavoratrici (+2,3%) è stato di gran lunga superiore a quello degli uomini (+1,4%).
Complessivamente l’occupazione femminile ha avuto un incremento netto di 227 mila lavoratrici su 413 mila nuovi occupati; ciò significa che le donne hanno determinato il 55% del saldo occupazionale dell’anno. Anche con riferimento al quinquennio 2019-2024, l’occupazione femminile registra una crescita più sostenuta con un tasso di crescita del 3,9%, superiore al 3,2% degli uomini. Il positivo andamento si riverbera su tutti i principali indicatori del mercato del lavoro. Aumenta infatti il tasso di occupazione, passato dal 50,1 del 2019, al 52,2 del 2023 al 53,6 del 2024 (riferimento al terzo trimestre) mentre si riduce sensibilmente quello di disoccupazione, passato dal 10,3 del 2019, all’8,7 del 2023 al 6,2 del 2024.
La crescita occupazionale ha riguardato – come per gli uomini – in modo significativo le fasce d’età più adulte, in particolare le 55-64enni. Tra 2019 e 2024, l’incremento è stato di 354 mila occupate (+18,9%) mentre il tasso di occupazione è passato dal 43,9 al 49,1.
Determinante è stata la creazione di maggiori opportunità occupazionali
La creazione di maggiori opportunità occupazionali ha avuto un ruolo determinante nel favorire la permanenza al lavoro in una fascia d’età che per molte donne presenta rilevanti problemi di conciliazione tra vita professionale e famigliare. Ma non vanno trascurati anche gli effetti derivanti dal progressivo innalzamento dell’età di pensionamento e dall’invecchiamento della forza lavoro, che tendono a far crescere la rilevanza di tale componente anagrafica.
Anche tra le giovani si riscontrano dinamiche molto positive. Tra le 25-34enni, l’occupazione aumenta del 6% con un saldo di oltre 100 mila occupate. Mentre tra le under25 la crescita è dell’1,6%. Tra le prime, il tasso di occupazione passa dal 54,3 al 60,8. Si registra invece una diminuzione importante dei livelli occupazionali nelle fasce d’età centrali. Tra le 35-44enni, l’occupazione cala di 190 mila unità (-7,6%), ma il dato è riconducibile al forte decremento demografico che sta interessando tale componente.
E’ un aspetto che caratterizza l’insieme del mercato del lavoro, anche per quanto riguarda gli uomini, Infatti secondo i dati Istat (gennaio 2025) l’aumento dell’occupazione (+0,6%, pari a +145mila unità) riguarda gli uomini e le donne, i dipendenti e gli autonomi, tutte le classi d’età ad eccezione dei 35-49enni tra i quali il numero di occupati diminuisce.
Nel complesso tuttavia il tasso di occupazione sale al 62,8% (+0,4 punti). I livelli femminili di partecipazione al lavoro crescono di misura anche nella fascia d’età 45-54 anni (dal 62,3 al 67,5), dove invece il saldo delle occupate, in termini numerici, risulta più contenuto (+1,6%).
Per l’occupazione, resta una zavorra l’impegno familiare
Tali dati sono riconducibili alle dinamiche demografiche che stanno avendo un impatto profondo sul mercato del lavoro e su quello femminile in particolare, determinando un sempre più rapido slittamento in avanti dell’età media delle lavoratrici, pur in presenza di un innalzamento dei livelli occupazionali in tutte le fasce d’età. Nel caso del lavoro delle donne a determinare il calo dell’occupazione soprattutto nell’età intermedia non concorre solo il trend demografico, ma anche la particolare funzione femminile nell’ambito familiare. Si direbbe quasi che le diverse componenti (demografiche, occupazionali, motivazionali e personali) siano pezzi del medesimo incastro.
Dalla lettura di un paper dell’Inapp ‘’L’insostenibile inattività. Il lavoro delle donne che manca, nella transizione demografica in Italia’’ a cura di Valentina Cardinali, emerge che le donne che dichiarano una disponibilità condizionata al momento o alla ricerca di lavoro (1 milione e 260 mila di donne in Italia), si distribuiscono secondo le seguenti motivazioni: una quota del 18% (prevalente dai 15 ai 29 anni) motiva la propria condizione di inattività per studio e formazione; il 23% per pensione e un ulteriore 14% (prevalentemente over 50) per motivi di non bisogno od età. Se si escludono queste motivazioni, molto connotate dall’età anagrafica, il 27% lega la propria condizione di inattività a esigenze di carattere familiare, intese sia nella componente di accudimento diretto di figli o persone non autosufficienti, sia nel generale profilo di esercizio di un ruolo familiare di riferimento in ambito casalingo.
La rilevanza di queste motivazioni (che per l’80% riguarda donne coniugate) emerge sin dalla classe 25-29 e raggiunge il suo picco tra i 30 e 40 anni, in quella fascia di età definita sandwich generation, per la simultanea presenza di più esigenze di cura da gestire e ove, infatti, la cura pesa complessivamente come motivazione per circa il 60% del totale. Parallelamente, la condizione di casalinga cresce in incidenza al crescere dell’età. Il fattore “scoraggiamento”, invece, ossia il ritenere di non riuscire a trovare un lavoro, incide solo sul 5% delle motivazioni e presenta la punta più alta per le donne tra i 45 e i 49 anni ove l’ingresso o il rientro nel mercato del lavoro appare più problematico.