Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti la studia con impegno ma con grande timore, in vista della prossima difficilissima manovra di bilancio. E l’Unem, l’associazione confindustriale dei petrolieri che sta tentando di aprirsi anche alle nuove forme di mobilità, ne conferma l’ineluttabilità. La ricarica dei mezzi elettrici sarà gravata da una super-accisa specifica che si aggiungerà alla mini-accisa che ora accarezza tutta l’elettricità che supera la soglia “sociale” dei contratti domestici con contatore da 3 chilowatt. Le conseguenze? I passi incerti dell’auto elettrica, compressa dagli obblighi ambientali europei che la vorrebbero egemone dal 2030 e da un sistema sociale-industriale-tecnologico tutt’altro che pronto alla sfida, potrebbero trovare un nuovo poderoso ostacolo.
Questione di soldi: quelli delle tasse che il governo vorrebbe garantirsi per compensare il poderoso calo di gettito che si realizza quando diminuiscono i consumi dei carburanti e quello dell’aggravio di costi per i consumatori. Conciliare le due cose appare davvero difficile, se non quasi impossibile. Il Governo può rinunciare ad un introito annuale miliardario in tempi di vacche magre per le finanze pubbliche? Certamente no. Il consumatore può accettare un aggravio che se applicato integralmente per salvaguardare gli introiti da tassazione finirebbe per quadruplicare il costo della ricarica, raddoppiandola rispetto ad un odierno rifornimento di carburante e uccidendo così l’auto elettrica? Certamente no.
Le cifre in campo. Il sollievo momentaneo, la mannaia futura
La ripresa economica post Covid allenta per ora la tensione. La crescita dei consumi petroliferi nel nostro paese è ripresa con vigore, tant’è che a maggio le vendite dei carburanti sono cresciute dell’1,7% rispetto a un anno fa, con un progresso del 4,7% rispetto alla fase pre-Covid del maggio 2019, segnando oltretutto un marcato progresso nella benzina, che supera del 20% quei livelli incrementando ulteriormente gli introiti da tassazione. Va infatti considerato che l’accisa sulla benzina è superiore a quella del diesel, la cui quota diminuisce sotto il peso delle normative antiinquinamento sempre più restrittive anche se del tutto irrazionali.
Grazie a un’incidenza della tassazione totale sul prezzo finale (Iva più accise) che supera il 50% la vendita dei carburanti porta nelle casse pubbliche poco meno di 33 miliardi di euro l’anno, a cui il governo Draghi rinunciò parzialmente negli scorsi anni per stemperare almeno un po’ i picchi di prezzo dovuti a rincari della materia prima. Un provvidenziale regalo agli automobilisti che il governo Meloni ha poi eliminato, in aperto contrasto con le vecchie promesse elettorali del centrodestra sulla “cancellazione delle accise” (a suon di proclami della stessa Meloni dinanzi alle pompe di benzina).
Le proiezioni su cui si basano le stime dei petrolieri italiani indicano che al 2030 le auto elettriche saranno comunque cresciute a circa 4 milioni di esemplari, con una diminuzione dei consumi di carburanti liquidi per 5 milioni di tonnellate l’anno e una conseguente riduzione del gettito da accise per 3, 8 miliardi di euro che potrebbe crescere a 9 miliardi di euro l’anno nel 2040. Compensare i mancati introiti trasferendo integralmente la tassazione sull’ elettrico avrebbe effetti devastanti.
Fa notare l’Unem che oggi per fare 100 km con auto elettrica costa in media, con le formule tariffarie più convenienti, tra i 5 e i 6,5 euro (a fronte dei 10-15 euro delle auto a benzina più efficienti). La compensazione integrale delle accise già nel 2030, con una sostituzione delle auto elettriche già pienamente in atto, “potrebbe quadruplicare” i costi della loro ricarica, raddoppiando quindi il loro costo rispetto ad un’auto ibrida a benzina.
Verso un compromesso. Ma la manovra è comunque difficile
Rinviare la manovra a quando il calo strutturale delle entrate ributarie si manifesterà davvero o anticiparla per avviarla subito contribendo alle coperture fiscali tendenziali? E in che misura? Giorgetti è fortemente tentato. Dalle riflessioni e proiezioni del suo team uscirà probabilmente una soluzione di compromesso, comunque ad alto rischio di fallimento. Il compromesso sarà sull’entità del travaso, che punterà probabilmente a ricavare, per ora, la metà del totale di quello che si perderà da benzina e gasolio. Il risultato sarebbe comunque indigesto: la ricarica dei mezzi elettrici costerebbe non meno, anzi probabilmente di più, di un classico rifornimento di carburante. Risulterebbe così vanificata una convenienza della ricarica elettrica che comunque già oggi non è scontata: nei periodi di picco dei prezzi dell’elettricità dello scorso biennio il costo delle ricariche elettriche “spot”, senza formule di abbonamento particolari, hanno superato quelli dei carburanti senza alcuna extra-tassazione.
Esistono poi pesanti incognite applicative su meccanismo di tassazione aggiuntiva marcatamente differenziata rispetto ai normali consumi elettrici. Come discriminare, ad esempio, le ricariche dei mezzi elettrici nelle colonnine private collegate all’impianto elettrico di casa, o magari quelle effettuate a prezzo di un processo molto più lento utilizzando le normali prese domestiche?
Tipico scenario, quest’ultimo, delle procedure di ricarica utilizzate per i motocicli o i ciclomotori, assai meno energia fuori delle auto e quindi ricaricabili in poco tempo senza colonnine specifiche, pagando la normale accisa elettrica di 0,0227 euro al kilowattora per i consumi oltre una certa soglia. Ma anche per la nostra auto varrà la pena, quel punto, attrezzarsi con un bel cavo per la ricarica notturna attaccato direttamente al nostro contatore. Lento, ma ben più economico. Per il Governo è un bel rebus.